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La fine della specializzazione
Chi scrive è un ragazzo 21enne di Monza che si è diplomato un paio di anni fa or sono con
una maturità scientifica tecnologica all’istituto Enrico Fermi di Desio.
Dopo aver finito gli studi, contando che avevo tanto nella mente ma nulla nell’esperienza, ho
deciso di seguire la strada che reputo sarà quella maestra nel prossimo futuro: l’informatica.
Essendo un ambiente vastissimo ho deciso di specializzarmi perché le mie ottime conoscenze
nell’hardware (non hai idea di cosa vuol dire “giocare con un pc”. Se lasci un attimo da parte
il gioco in sé e ti applichi sulla configurazione dei dettagli grafici e sonori rischi di passare
giornate a fare test su componenti con il fattore mamma che continua: ”quand’è che finisci
di giocare? Piuttosto prendi un libro e studia!&rdquo non mi portavano a un livello elevato ma
ad un approccio più commerciale come ad esempio un fornitore o un rappresentante (non
che adesso disdegno i 2 lavori, anzi!). Così ho deciso di seguire un corso convenzionato
dalla Comunità Europea sulla protezione e amministrazione di reti informatiche della durata
di 1 anno imparando i fondamentali e qualcosa di più sull’argomento. Il corso doveva
comprendere anche l’attestato Ecdl con i 7 esami anche questi convenzionati a 15 euro
a esame... probabilmente gli organizzatori del corso sono scappati con i soldi (non è una
palla) e non si sono fatti più sentire... Con i miei compagni aspettiamo ancora un po’ e poi
avvisiamo Striscia (unico metodo per avere giustizia in queste cose, purtroppo!).
La gente non capisce (come tu sostieni da tempo) la straordinaria utilità della rete: velocità
(e-mail) e informazione (forum): nel periodo in cui una vignetta può inclinare i rapporti tra
Oriente ed Occidente, che un virus kamasutra è capace di metterti a 90° ma è impossibile che
ti trovi, e che il comando dei vigili di Milano sono in balia di 4 hacker novelli (un po’ godo...).
La psicosi da internet è elevata... indovina dopo 1 anno cosa faccio? Il call-center!

Quanto costa un’assenza
Lavoro per un’importante società telefonica a 5 euro l’ora più incentivi in base ai contratti
venduti. Contratto a progetto di 6 mesi, ma il bello è che se sto a casa più di 2 giorni in un
mese, non solo non vengo pagato per i due giorni di assenza, ma in più la mia paga oraria
scende a 4 euro l’ora per l’intero mese, se rimango a casa più di 6 giorni la retribuzione
scende a 3,5 euro l’ora.
Se sto a casa, non solo non vengo pagato ma devo restituire i soldi all’azienda. Grazie legge
Biagi! il mio futuro a 38 anni ora è più roseo.

Lavoro di famiglia
Ho 25 anni. Ieri mi sono licenziato da un call-center in cui mi pagavano 6 euro all’ora. No,
non mi sono licenziato per la paga, scherzi? La paga è buonissima. Mi sono licenziato perché
facendo poche ore sono arrivato addirittura ad accumulare, a gennaio, 60 euro di stipendio.
Ok, ci sono anche altri motivi, ma non è questo il punto. Il punto è che anche la mia mamma
e il mio papà, in un’altra città, lavorano in un call-center. Hanno entrambi più di 50 anni, e
ora guadagnano poco meno di 5 euro all’ora. Prima erano disoccupati (da un anno); prima
ancora avevano una bellissima attività artigianale, da molti anni. L’attività è stata chiusa,
non mi pare necessario riportare i motivi. Anzi, mi piacerebbe me li spiegassero i nostri
dipendenti. Ora hanno un bel contratto co.co.co.co.co.co.co. Una volta andavamo in vacanza,
in pizzeria e al cinema. Ora chiamiamo la padrona di casa per chiedere se possiamo pagare
l’affitto (di 200 euro!) in un periodo migliore e stiamo attenti a quanti caffè prendiamo al
giorno. Ah, ho una sorella di 17 anni, un’adolescente a costo zero, per sua fortuna. Se avesse
interesse nelle cose che la tv del popolo nano propina sarebbe depressa. Dimenticavo: nel
lavoro dei miei genitori, se non sei produttivo, ti lasciano a casa, senza pensione, ma pieno di
ferie. Speriamo che vada in ferie anche la padrona di casa.

Come stanno le cose
Sono uno studente universitario. Lavoro ormai da un anno in un call-center del meridione.
Per ovvi motivi non rendo pubblico né il mio nome (dato che lo dico al telefono ogni giorno)
né il nome dell’azienda per cui lavoro, però posso dirti che ogni giorno per sei ore (e a volte
anche di più, anche se il contratto resta sempre uguale: senza “straordinario&rdquo rispondo
a centinaia di “dubbi, incertezze, perplessità e reclami” di gente che usa il telefonino del
“Tronchetto dell’infelicità”. Il mio stipendio (dopo innumerevoli, vani tentativi di capirci
qualcosa, anche andando a “pestare i piedi” ai burocrati aziendali) ammonta a 5 euro “lordi”
l’ora. Il mio contratto (co.co.pro.) dice espressamente che lo stipendio non è basato su
compensi orari, ma è un mix di percentuali varie sulla produttività e sui risultati raggiunti
“globalmente dall’intero novero degli operatori” più incentivi di rendimento ecc.
Il mio contratto (trimestrale) dice che non posso percepire meno di 1.000 euro/mese (lordi)
e non più di 1.300 euro/mese; da circa 5 mesi non riesco a percepire più di 750 euro/mese
perché (mi è stato risposto) la mia percentuale di “non fatturato” è salita al 20,03%! Sai
perché? Perché da circa 5 mesi sto tentando di dare risposte “certe e comprensibili” a
centinaia di migliaia di persone che sottoscrivono offerte al limite della “truffa” (per come
vengono pubblicizzate) e che chiamano ogni giorno sempre più incaz...te; la durata di ogni
chiamata che prendo, in questo modo, supera ampiamente i 3 minuti (di mediocrità nellerisposte, che il Committente considera uno standard di ottima produttività perciò ho deciso
di “accontentarmi” dei 650-700-750 euro/mese che mi passa l’Azienda. Per lo meno mi
levo lo sfizio di dire a tutte le persone che mi chiedono legittimi chiarimenti come stanno
veramente le cose! Con buona pace del Tronchetto e di tutti gli Italiani che usano il telefono
cellulare!

Quando cade la linea...
Ho 36 anni e lavoro nel più grande call-center italiano precario ormai da oltre 5 anni con
contratto di collaborazione a progetto: no ferie; no malattie; no paga fissa, ma lavoro a
cottimo; si guadagna in base ai contatti utili, alle telefonate ricevute portate in porto; penso
sempre più di non aver futuro e se non vivessi ancora con i miei (l’unico mio ammortizzatore
sociale) sarebbe ancora più pesante per me; le buste paga si aggirano sui 600 euro mensili
quando va bene ma ne ho avute tante che non superavano i 400 euro; mi accorgo di
non esistere per gli apologeti di questa legge; questi pensano che questo schifo di legge
Maroni riguardi solo giovani che devono farsi la paghetta mensile per pagarsi le tasse
universitarie e l’uscita del sabato sera; non hanno capito che c’è gente (la maggioranza)
che con quei contratti precari e quelle paghe da fame ci deve vivere! E che ci sono tantissimi
ultratrentenni; non capisco perché il lavoro precario debba costare meno di un lavoro a
tempo indeterminato; in proporzione non costa di più affittare un auto o magari un dvd che
acquistarli? Ecco: dovrebbero fare in modo che per un azienda questa forma di contratto costi
più di uno a tempo indeterminato, proprio perché i rischi e l’aleatorietà sono maggiori. Voglio
concludere solo ricordandovi che quando chiamate un call-center perché avete un problema
o solo per un informazione, non stupitevi se cade la linea, se l’operatore è impreparato o a
volte scortese; l’azienda impone e preferisce la quantità alla qualità e se la chiamata dura
troppo vieni “invitato” a tagliare e oltre un certo lasso di tempo non guadagni più per cui...
cade la linea.
Io non ho più stimoli; faccio il mio lavoro ma non ci metto quella passione e quel sovrappiù
di professionalità perché l’azienda non mi gratifica né economicamente (anzi sono
frequentissimi gli errori in busta paga sempre a perdere) né in altra maniera.
( 14/9/2007 21:40:57 - N. 280277 )

Tutti a casa
Lavoravo per meno di 5 euro l’ora. Io studio e vivo coi miei, quindi ancora ancora mi poteva
andare bene. Ma le storie che vedevo in quel call-center erano paurose. Studenti ma anche
laureati, operatori turistici, ingegneri, gente in gamba, con famiglia, che conosceva 5 lingue,
costretti a sottostare a contratti che cambiavano (in peggio) ogni mese a piacimento dei
datori di lavoro e senza preavviso, e in sostanza a un lavoro monotono e sottopagato (300-
350 euro al mese in media). Tutto ciò fino a quando un giorno siamo stati avvisati che dal
giorno dopo non ci saremmo più dovuti presentare al lavoro perché il call-center sarebbe
stato chiuso. Fine del gioco, tutti a casa e non importa se senza preavviso. Magari non hai
un’altra offerta pronta sottomano e per un mese o due magari non lavori affatto e devi
trovarti un modo per mangiare e pagare le bollette. Le aziende chiaramente fanno il loro
gioco ma sono le leggi che devono tutelare i lavoratori ca..o!

Il cliente non conta nulla
Quarantadue anni, laureato con 110/110 e lode in sociologia, dopo anni di piccoli lavori
saltuari, approdo come co.co.co. presso un call-center di una nota compagnia telefonica.
Si guadagna a chiamata, ma si è ben formati, e se si vuole, si offre un ottimo servizio al
cliente... Lo scorso anno con la legge Biagi il contratto diventa di somministrazione... 550
euro al mese per 4 ore.... Da allora il cliente che chiama non conta nulla... la formazione
precipita... conta solo vendere... c’è una pressione psicologica su noi addetti da parte di chi
gestisce il call-center pazzesca... obiettivo è solo uno: vendere servizi e prodotti, e guai se
non ci si riesce... Resisto un anno... poi mi dimetto: ora sono senza lavoro...

Aspettando una telefonata
Nei call-center non si impara un mestiere. Non si costruisce il proprio futuro.
Si aspetta una telefonata che permetta di guadagnare meno di un euro, e se la telefonata
non arriva non si guadagna. Si sta lì, in attesa che il telefono squilli. Oppure che qualcuno
risponda, e si faccia convincere ad attivare linee, tariffe, a comprare prodotti, sottoscrivere
abbonamenti. E la flessibilità d’orario comincia presto ad andare in un’unica direzione. Se in
sei ore non si guadagna abbastanza per poter sopravvivere, si resta seduti sette, otto, nove
ore. Si fa richiesta per il doppio turno. E nonostante ciò, non si costruisce nulla. Il futuro resta
un discorso ancora da affrontare. Ma non oggi. Oggi bisogna chiamare. Vendere. Capita
talvolta, a taluni fortunati, di ricevere un vero stipendio. Una busta paga.
Che c’è per tre, quattro mesi. E poi chissà? E poi puoi restartene a casa perché il contratto è
scaduto. A cercare lavoro, sperando di trovare l’impiego per il quale anni di studio sono stati
investiti. E finire in un altro call-center. Ho la fortuna di aver finalmente trovato un impiego
vero, ma vedo mia moglie, e molti dei miei amici arrancare fra una cornetta e l’altra.
Si capisce questo quando si parla di precariato?
Che non si tratta di cambiare semplicemente lavoro ogni tanto, ma di lavorare spesso
praticamente gratis, chiusi in cubicoli alienanti innanzi a un pc?
( 10/9/2007 22:36:16 - N. 279137 )


Tutti a urlare nel microfono
Ho lavorato presso un call-center di Torino: una schifezza. Con 5,50 euro all’ora, lordi,
contratto in prova, a loro dire durante la formazione, che poteva andare da una settimana a
2 mesi ma che poi si rivela durare necessariamente 2 mesi onde evitare malumori e scontri
interni. Tutti in uno stanzone, tutti che urlano a ‘sto benedetto microfonino, che poi, voglio
dire, c’hai il microfono apposta per non urlare ed invece tutti ad urlare, un caldo allucinante,
pausa di 10 minuti dopo 2 ore e poi dritti fino alla fine ed obbligo di fare 4 contratti al giorno.
Spingevano addirittura a non dire tutto quanto e i miei “capi” erano meno informati di me sul
mondo delle tlc. Sono durato 3 giorni. Poi me ne sono andato, a tutto c’è un limite. Insomma,
meglio in cantiere, davvero...

Freddo, ma corretto
Io lavoro in un call-center outbound (vendita telefonica). Il lavoro è part-time per scelta mia,
e la retribuzione oraria è di 7 euro + un buono pasto giornaliero di 6 euro (rarissimo nel parttime),
inoltre al raggiungimento degli obiettivi (budget di vendita) ci sono anche dei premi
che permettono di aumentare lo stipendio anche di un buon 20%. L’azienda è di prim’ordine
e storicamente conosciuta nell’ambito del servizio che offre (per intenderci spazi editoriali
e non bond argentini). L’ambiente di lavoro è sicuramente un po’ “freddino”, all’americana
con i tutor che ti controllano e ti incentivano alla vendita. Ho anche lavorato in ambienti
meno sani, sottopagato, e schiavizzato da ex impiegati di call-center che diventati una volta
tutor sono alla stregua dei secondini. Io, per mia scelta e per tutta una serie di motivazioni
extra lavoro, non ho grossi problemi o insoddisfazioni, ma ciò non toglie che la situazione
non possa e non debba essere migliorata. Innanzi tutto il caro e vecchio sciopero anche se
non tutelato o autorizzato, procurerebbe a queste aziende danni economici notevoli rispetto
alla perdita, da parte dell’impiegato, di qualche giorno di stipendio, se non alla perdita
dello stesso impiego (questi posti sono sempre alla ricerca di qualcuno da assumere quindi
trovare un’altra posizione di m... non sarebbe poi così difficile). Volendo esagerare un bel
licenziamento in massa sarebbe ancora più efficace, in quanto non bisogna dimenticare che
solitamente in certe aziende, una volta assunti si fanno dei corsi di formazione della durata
di almeno una settimana, lasso di tempo che in caso di un assenteismo totale provocherebbe
danni considerevoli ai fatturati delle stesse (aziende telefoniche, assicurative ecc. ecc.). EQuesto libro è concesso in licenza Creative Commons. E’ vietata ogni forma di vendita.
queste sono solo alcune soluzioni, chissà quanti di voi potrebbero dalla loro esperienza
proporne altre... o forse il problema è proprio questo?

Lavoratori intestinali
Ho lavorato per due mesi in un call-center, assunto tramite un’agenzia di lavoro interinale.
Paga lorda, 6,70 euro l’ora, con due pause da un quarto d’ora. Non potevi chiacchierare se
nessuno chiamava, non potevi sentirti libero di andare al bagno, non potevi nemmeno
protestare se qualcosa non era giusto. Il clima era più simile a quello di una scuola
elementare, con la perfida maestrina che cazziava tutti coloro i quali non si conformassero
a sufficienza. Sono stato ripreso per aver osato mangiare una caramella tra una telefonata
e l’altra, (NB: non mentre rispondevo). In caso di contestazione, sempre queste parole: “Oè,
_intestinali_... Entrate dalla porta principale ma uscite dalla porta di servizio, e nessuno ci
farà caso. ricordatevelo”. Ho lavorato per due mesi, giusto per coprire il boom di contratti. Poi,
appena inutile, di nuovo a casa. Però mi hanno costretto a fare la media di 70 attivazioni
al giorno. Penso che se avessi lavorato meno, magari avrei ancora quel lavoro... Oggi?
Disoccupato, con una laurea, un master da pagare (sì... ma come???), esperienza, tirocinii
gratuiti in tutte le salse, ma quando si tratta di chiedere la tua “pagnotta”, ti si ride in faccia.
Ultima offerta di lavoro, 20 euro per 8 ore al giorno, per seguire un ragazzo autistico. In nero.
Al peggio non c’è mai fine. Coraggio.

Non posso concedermi nulla
Ciao a tutti. Sono un ragazzo neo diplomato in informatica. Dopo diverse domande di
lavoro sono stato chiamato da un’azienda informatica del posto che mi ha inviato in un
presidio presso l’amministrazione comunale della mia città. Il mio compito, come già citato
nel post, è quello di rispondere al call-center per l’assistenza tecnica informatica. Ho un
contratto co.co.pro. a 4 ore al giorno per 580 euro al mese circa. Non ho trovato nessun altro
impiego. Il contratto mi è stato fatto inizialmente di 4 mesi (15 sett 2005 - 15 gen 2006)
successivamente rinnovato per altri 8 mesi fino al 14 settembre 2006. Forse sono fortunato
perché dalle voci che sento dire l’azienda vuole cercare di formarmi al fine di uscire da questobuco di ufficio e rispondere in continuazione al telefono. E meglio ancora da quello che sento
dire, teoricamente l’azienda dopo circa un anno di co. co. pro. cerca di assumere tutti con un
contratto a tempo indeterminato. Sta di fatto però che io per un anno non posso concedermi
nulla, né una macchina né nulla. Anche perché con 500 euro non si va molto lontano.
Vorrei sottolineare che anche l’amministrazione comunale stessa non assume più, ma sempre
co. co. co. co. co. co. co. pro. e compagnia bella. A volte mi chiedo... ma con tutti questi co co co
co co forse non siamo noi i polli? E potremmo paragonare la Legge Biagi a un’aviaria che non ci
dà speranze di crescita! Vado via salutando tutti con un co.co.co.co.co.co.dé!
( 31/8/2007 18:50:6 - N. 276647 )

Tempo rubato

Ho lavorato quattro anni per un famoso call-center di Bologna. Per carità la paga era
accettabile ed ero assunta (una delle ultime fortunate) a tempo indeterminato. Ma, superati i
27 anni, mi sono sentita addosso una specie di “pressione” dall’alto. Diciamo che sentivo che
comunque qualcuno stava dando al mio lavoro una data di scadenza. Risultato: la maggior
parte del mio stipendio è servita per la psicanalisi, i corsi di Yoga ecc. Ora mi sono licenziata,
vivo in campagna e amo la vita. Figuriamoci quei poveri ragazzi che vendono Adsl & Co. per
200 euro al mese: Basta... non lasciate che rubino il vostro prezioso tempo.

Zero euro fissi

Mi pagavano (udite udite) 30 centesimi a contatto utile (cioè la telefonata chiusa con un “no
grazie&rdquo e 10 euro ad attivazione. Quindi zero euro fissi. Lavorando 3 ore al giorno 5 giorni
arrivavo in periodi di grazia a 200 euri, negli ultimi mesi invece, quando erano finiti i nomi
da chiamare e riciclavano i numeri di gente che aveva rifiutato (e che continuava a rifiutare),
prendevo max 50 euro. Insomma era possibile che se in un giorno nessuno rispondeva
tornavi a casa con un pugno di mosche. Lavoravi gratis, anzi facevi pubblicità gratis. Il mio
contratto era di 3 mesi rinnovato ogni volta di 3 mesi se mantenevi una media di attivazioni
l’ora superiore ad un tot: una logica che portava alcuni biechi colleghi a raccontare cazzate
al telefono per vendere. In finale: lavoravi col patema del rinnovo, col patema di attivare e di
riuscire a spiegare il prodotto a chi rispondeva altrimenti manco pagavano! Meglio fare come
i rumeni, aspetti che la mattina ti raccolga qualcuno e ti porti al cantiere, almeno ti metti in
tasca 50 euro con un giorno non con un mese!

Voglio metter su famiglia
Ho 33 anni e lavoro da 13. L’unico contratto a tempo indeterminato che ho avuto è stato
nel 1993 quando lavoravo presso un fast food. Al tempo lavoravo per mantenermi agli
studi e oggi lo ricordo come il periodo più ricco della mia vita... poi... co.co.co. e contratti a
tempo determinato. Ho lavorato per 1 anno a tempo determinato presso un famoso tour
operator italiano ma l’11 settembre ha fatto chiudere gli uffici a Bologna, poi dopo altri
2 Questo libro è concesso in licenza Creative Commons. E’ vietata ogni forma di vendita.
tempi determinati sono approdata in aeroporto a Bologna come impiegata di scalo (agente
di rampa), con tanto di professionalità acquisita con corsi Iata ed esperienza. Dopo 3 anni
e ben 7 o 8 contratti a tempo determinato, (scusate, ho perso il conto) mi hanno lasciato
a casa insieme ad altri 40 colleghi. La società per la quale lavoravo è in rosso, ma nessuno
ne parla... anzi l’aeroporto di Bologna è ormai considerato un aeroporto internazionale. Da
settembre sono praticamente disoccupata... ah, no... lavoro presso un call-center per 5,30
euro lorde l’ora... e mi piacerebbe mettere su famiglia. Ma con quale coraggio?

Aspettando la scena
Laurea 110 e lode nell’ambito delle arti visive nel 2004. Da quel luglio c’è mia sorella che
deve continuare a studiare, esco di casa e comincio la mia vita di 24enne emancipata
economicamente. A sentire la destra cacchio, son tutti lì che m’aspettano. Spasmodica ricerca
del lavoro nel mio campo, durata tutta l’estate. Cazzo, dopo una settimana ho già un lavoro!
Allora è proprio vero, aspettavano tutti me! Un call-center di un corriere espresso. Bene, per
sentirmi cazziare al telefono quattro ore al giorno, meno di cinque euro all’ora. Spazio lavorativo
circa trenta centimetri quadrati, in cui gestire telefono anteguerra e computer antidiluviano. Un
caldo boia. Per refrigerarci ci si piantava i ventilatori nella schiena. Le finestre non si aprivano
completamente. Se il tuo collega posto alle tue spalle è ciccione ti tocca stare tumulato nella
tua postazione con pochissima possibilità di movimento, le sedie cozzano tra loro. Dopo una
settimana mi rompo decisamente i coglioni. Comincio a girare per i laboratori artigianali, di
scenografia, in cerca di lavoro e quando va bene mi offrono uno stage per qualche mese in cui
mi dicono che, cazzo, lo stage è gratis, cioè non devi pagarli per lavorare, e che un pranzo non
mi verrà negato. Manco un’opera di mutuo soccorso... Trovo finalmente un lavoro in uno studio
scenografico, l’esperienza finisce a gennaio. A gennaio punto e a capo. Altro call-center, altra
storia. Altro contratto mensile rinnovabile. Dopo un mese a vendere alimentari e a sentirmi dire
che sono la peggiore del call-center, checcavolo, prendo 5,20 all’ora, potevo autoconvincermi
di che privilegio fosse smerciare burrate per telefono, mi rompo di nuovo le palle. E ripunto e
a capo. Tra un lavoretto e l’altro per tirar su 700 euro devo fare due lavori. Ho trovato un buon
lavoro a fine primavera 2005, con contratto sempre a termine. Per me ormai è un alibi per
mettere da parte soldi, e in futuro aprire un laboratorio tutto mio. Al 26 sera!!!
( 30/8/2007 14:33:32 - N. 276345 )

Piange il telefono

Nel 1850 il costo di uno schiavo in America era
1.000 dollari, circa 38.000 dollari di oggi. Un
investimento. Meglio del mattone. Lo schiavo andava
istruito, la sua salute tutelata, la sua famiglia protetta.
La legge Biagi, co.co.co. e co.co.pro. hanno portato
insicurezza e stipendi da fame. Fare lo schiavo sudista
era più conveniente. Almeno poteva farsi una famiglia.
Lo slogan ‘Lavorare tutti, lavorare meno’ è stato
raggiunto. L’Italia si è trasformata in una nazione
di precari, di sotto-occupati e di senza lavoro. Di
universitari che rispondono nei call-center a cinque
euro all’ora. Lordi naturalmente.

Un master alle spalle
Sono anch’io un lavoratore di call-center. Ho 27 anni, sono laureato e ho un master
alle spalle. Sono uno di quelli altamente qualificati che stentano a trovare un lavoro
dignitoso e che ripiegano nei call-center per avere qualche centinaio di euro in più in
tasca. Sono anch’io uno schiavo moderno. Circa un mese e mezzo fa sono stato assunto
come operatore outbound (in pratica rompere le balle alle persone fino alle 9,30 di
sera!) per una scuola di inglese di Napoli a 5 euro lordi l’ora. Inutile dirti che in questo
call-center siamo tutti laureati o laureandi (potendo scegliere scelgono il meglio,
mi pare ovvio!). Questa mattina sono stato convocato dal mio supervisore in merito
al mio recente rendimento: a detta sua scarso e aggravato dal mio comportamento
“strafottente nei suoi confronti”. Che tradotto significa: rifiutarsi di venire a lavorare
prima senza che il tempo in più venisse conteggiato, richiedere la copia del contratto
che abbiamo firmato senza che ci fosse la data di fine rapporto e, cosa più grave di
tutte, esprimere le mie idee (ci tengo a precisare comunque che il mio rendimento non
è poi così scarso: non sono mai stato assente nel mese di marzo e ho già fatto un paio
di contatti utili ai fini dell’obiettivo mensile). Tutti quelli che lavorano, hanno lavorato
e, sono sicuro, lavoreranno in questo call-center firmano contratti di collaborazione a
tempo determinato nei quali è lasciata in bianco la data di fine e soprattutto senza che
ne venga data la copia firmata (i più fortunati hanno al massimo una fotocopia!).
Il supervisore, dopo aver ricamato in modo patetico sul mio comportamento “sovversivo”
mi ha invitato a firmare le dimissioni e al mio rifiuto è andato su tutte le furie dicendomi
che solo per tale comportamento meritavo di essere mandato a casa (rinunciare di
firmare le dimissioni?). In evidente difficoltà mi ha fatto parlare con il direttore dicendo
che non voleva altri casini e che stavo dando i numeri.
( 30/8/2007 14:28:37 - N. 276343 )

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