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Una sentenza non è un romanzo
Martedí 15.05.2007 17:19

"Sabato si è tenuta la 2235ma udienza contro di me. Un record assolutamente imbattibile nella storia dell'uomo". E’ vero quel che dice Silvio Berlusconi. Ma oggi, dopo la lettura della sentenza Sme, le sue parole hanno un suono diverso rispetto al passato. Perché sono le parole non di un imputato ma di un uomo assolto. Dopo 22 anni dai fatti della Sme, dodici dalle accuse di Stefania Ariosto che innescarono la valanga.

Un periodo lungo, troppo lungo. Che ha alterato il corso della storia politica di questo paese. Basti ricordare l’avviso di garanzia recapitato all’allora premier Silvio Berlusconi a mezzo stampa, in apertura del Corriere della Sera, durante un vertice mondiale sulla criminalità da lui presieduto con i grandi della Terra. E rammentare le successive rotture politiche. La crisi del primo governo Berlusconi, l’uscita della Lega, il ribaltone guidato dal presidente della Repubblica Scalfaro che fece nascere il governo tecnico di Lamberto Dini violando lo spirito del maggioritario, il successo nel ’96 dell’Ulivo con la tentata liquidazione di Silvio Berlusconi che pure era stato scelto dalla maggioranza degli italiani e che poi ritornerà in auge riprendendosi Palazzo Chigi alle elezioni successive.

E poi leggi ad hoc, questioni giudiziarie rimaste per anni priorità della vita parlamentare e governativa(a discapito della regolare dialettica politica e istituzionale), dibattito politico avvelenato dalle contrapposizioni e dai sospetti. Per concludere solo ora, aprile 2007 che no, Silvio Berlusconi non ha corrotto magistrati per ottenere che la cessione della Sme a Carlo De Benedetti fosse annullata. Così ha sancito la Corte d’appello di Milano. Le cose raccontate dall’Ariosto? Suggestive nel descrivere un milieu, ma labili e talora stupide e poco credibili al riscontro dei fatti, delle date, dei test obiettivi.

Le indagini del primo grado della Procura di Milano, che aveva schierato Gherardo Colombo, Ilda Boccassini, Francesco Greco? Ipotesi seducenti ed intriganti, ma politicamente più che processualmente. Previti? Si può dire di lui quel che si vuole, ma non lo si può accostare a Silvio Berlusconi, se non con un processo di identificazione, scherzano i giudici nella sentenza che Affaritaliani.it pubblica in anteprima e in esclusiva.

Hanno scoperto un sacco di cose, i magistrati milanesi. Conti neri, prassi oblique, magistrati dallo stile di vita e di lavoro talora opaco. Ma una sentenza non è un romanzo, né un giallo d’appendice. Richiede che vi siano dei fatti certi, posti in sequenza tra di loro, nel rispetto della logica e del principio delle cause e degli effetti. Non c'è questo, nonostante tanti anni di lavoro e migliaia di atti istruttori, valanghe di carte, decine di udienze. Vi sarà chi, accecato dalla passione politica o da un inguaribile machiavellismo, dirà che la sentenza è discutibile, o addirittura addomesticata (sbagliando una seconda volta, in modo diabolico).

Noi, per rispetto dello Stato e delle sue istituzioni, rispettiamo le parole dei giudici di secondo grado. Saremmo dei terroristi se dubitassimo di una sentenza che si colloca a valle di un lavoro di anni, in un processo tenutosi con un pubblico dibattimento, discusso e appellato, pronunciato in nome del popolo italiano, sulla base di carte che sono a disposizione di tutti.

Un pronunciamento aperto e trasparente, ora messo per iscritto e dunque confutabile.Ma nel merito, con le stesse carte,non con gli argomenti della prevenzione e del pregiudizio politico-giornalistico.Sennò si deve tacere, come suggeriva l'epistemologo e filosofo della logica Wittgenstein( "di ciò di cui non si può parlare si deve tacere"). Prendendo atto, con sportività e civismo, della sconfitta dei colpevolisti.Senza mantenere retropensieri. E domandandosi come sarebbe stata la storia d’Italia senza questa pervasiva e ingombrante vicenda.

http://canali.libero.it/affaritaliani/cronache/sentenzaromanzo1505.html



( 15/5/2007 19:52:24 - N. 251504 )

Foibe, Napolitano: Congiura silenzio

Celebrazioni nel Giorno del Ricordo

"Un imperdonabile orrore contro l'umanità": il presidente della Repubblica ha ricordato al Quirinale l'eccidio delle foibe. Parlando di "congiura del silenzio", Giorgio Napolitano ha detto: "Non dobbiamo tacere, dobbiamo assumerci la responsabilità dell'aver negato o teso a ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica e dell'averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali".
Consegnando al Quirinale diplomi e medaglie agli eredi delle vittime delle foibe, Napolitano ha voluto ammettere senza attenuanti le responsabilità di un'intera classe politica per il silenzio tenuto sulla tragedia del popolo giuliano-dalmata. Il presidente ha voluto richiamarsi esplicitamente al suo predecessore, Carlo Azeglio Ciampi, dicendo che ne raccoglie l'esempio circa "il dovere che le istituzioni della Repubblica sentono come proprio, a tutti i livelli, di un riconoscimento troppo a lungo mancato" delle tragedie di un intero popolo di istriani, fiumani e dalmati, che al confine orientale dell' Italia, dopo l'8 settembre '43, furono vittime di un "moto di odio e di furia sanguinaria e di un disegno annesionistico slavo che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica".

Una tragedia la cui memoria "ha rischiato di essere cancellata" e che invece, ha aggiunto il capo dello Stato, deve essere trasmessa ai giovani nello spirito della legge del 2004 che ha istituito il Giorno del Ricordo. Nell' autunno 1943, ha aggiunto Napolitano citando recenti riflessioni e ricerche, "si intrecciarono giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento della presenza italiana da quella che era e cessò di essere la Venezia Giulia".

"La disumana ferocia delle foibe fu una delle barbarie del secolo scorso, in cui si intrecciarono in Europa cultura e barbarie. Non bisogna mai smarrire consapevolezza di cio' - ha sottolineato - nel valorizzare i tratti piu' nobili della nostra tradizione storica e nel consolidare i lineamenti di civilta', di pace, di liberta', di tolleranza, di solidarieta' della nuova Europa che stiamo costruendo da oltre 50 anni, e che e' nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi e oppressivi, da quello espresso nella guerra fascista a quello espresso nell' ondata di terrore jugoslavo in Venezia Giulia. La nuova Europa esclude naturalmente anche ogni revanchismo".

Napolitano ha rivolto un omaggio affettuoso a tutti gli eredi di quella buia pagina della nostra Storia e un omaggio altrettanto affettuoso al professor Paolo Barbi, gia' presidente dell' Associazione dei profughi giuliano-dalmati (Anvd), che ha rievocato al Quirinale, in pochi tratti, i termini di quella disumana tragedia. Poco prima, il ministro della Cultura Francesco Rutelli aveva testimoniato l'impegno di tutto il governo a rompere il silenzio su questa "dolorosa pagina" e a illuminarne i tratti e a sviluppare alcune iniziative per far conoscere il patrimonio storico culturale di italianita' che rimane sulle coste dalmate, su quei territori che furono italiani.

Napolitano, dal canto suo, ha detto che oggi, "che in Italia abbiamo posto fine a un non giustificabile silenzio e siamo impegnati in Europa a riconoscere nella Slovenia un amichevole partner e nella Croazia un nuovo candidato all'ingresso nell'Unione, dobbiamo tuttavia ripetere con forza che dovunque, in seno al popolo italiano come nei rapporti tra i popoli, parte della riconciliazione che fermamente vogliamo e' la verita'. E quello del Giorno del Ricordo e' un solenne impegno di ristabilimento della verita"'.

10/02/07

http://www.tgcom.mediaset.it/politica/articoli/articolo348333.shtml




( 12/2/2007 01:51:15 - N. 227347 )

“Un corvo bussa con il becco su una lapide del cimitero, sta chiamando qualcuno...
E’ passato un anno da quella maledetta notte in cui Eric e la sua amata Shally sono stati straziati dalla follia omicida di Top Dollar e dei feroci criminali al suo servizio.
Ma adesso è arrivata: è la notta del grande ritorno, della resa dei conti! E’ la tua notte, Eric, e il Corvo che volteggia alto ti aiuterà a portare a termine la tua missione in nome dell’amore e della vendetta.”
“Non può piovere per sempre!”


BRANDON LEE
Brandon nasce il primo febbraio 1965 ad Oakland, in California. Suo padre è il famoso Bruce Lee, eroe del Kung-fu star e del cinema di Hong Kong. Già da bambino, quindi, Brandon non può fare a meno di essere un piccolo talento delle arti marziali, ma quando nel 1973 Bruce Lee muore per un infarto (provocato, pare, dallo stress per il super-allenamento), Brandon ha un rifiuto per le dottrine insegnategli dal padre e delude tutti quelli che insistono perché sia lui a portare avanti la sua gloriosa tradizione. Studente all’Emerson College di Baston, Brandon si appassiona ai corsi di teatro e di recitazione e s'iscrive alla prestigiosa Strasberg Academy. Ma il primo ruolo lo ottiene proprio grazie alla sua abilità nelle arti marziali. Nel 1993 con The Crow - Il Corvo gli si presenta la grande occasione. Il 31 marzo 1993, sul set di The Crow -Il Corvo Carolco studias di Wilmington, la pistola che Brandon ha in mano per una scena esplode uccidendolo a soli 28 anni, un'altra versione dei fatti dice invece che Lee viene colpito da un proiettile a salve che si rivela mortale. Il giornalista Gus Payne sosterrà invece la tesi dell’omicidio. Il film sarà completato con l’ausilio di una controfigura e del computer. Comunque siano andate le cose, la figura di Brandon Lee è tuttora circondata dal mistero e si è fusa con quella di Eric, protagonista de Il Corvo. Animale che, nella cultura anglosassone, è associato alla morte ed al destino.



( 21/1/2007 03:36:4 - N. 220611 )
blog modificato il: 21/01/2007 03:41:28

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