Blog di HermannSimon

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I MIEI FILM PREFERITI DEL del 2010





1. L’illusionista (Sylvain Chomet)

http://www.ondacinema.it/film/recensione/illusionista

2. Toy Story 3 – La grande fuga (Lee Unkrich)

http://www.ondacinema.it/film/recensione/toy_story_grande_fuga

3. Il profeta (Jacques Audiard)

http://www.ondacinema.it/film/recensione/profeta

4. Le quattro volte (Michelangelo Frammartino)

http://www.ondacinema.it/film/recensione/quattro_volte

5. L’uomo che verrà (Giorgio Diritti)

http://www.ondacinema.it/film/recensione/uomo_che_verra

6. The social network (David Fincher)

7. Il tempo che ci rimane (Elia Suleiman)

8. La bocca del lupo (Pietro Marcello)

9. L’uomo nell’ombra (Roman Polanski)

10. Noi credevamo (Mario Martone)



11. Lourdes (Jessica Hausner)
12. Tra le nuvole (Jason Reitman)
13. La prima cosa bella (Paolo Virzi’ )
14. Gli amori folli (Alain Resnais)
http://www.ondacinema.it/film/recensione/gli_amori_folli
15. Bright Star (Jane Campion)
16. Uomini di Dio (Xavier Beauvois)
17. La pecora nera (Ascanio Celestini)
18. I gatti persiani (Bahman Ghobadi)
19. Scott Pilgrim vs. the World (Edgar Wright)
20. Draquila – L’Italia che trema (Sabina Guzzanti)


Miglior regista: Michelangelo Frammartino (“Le quattro volte” ), Elia Suleiman (“Il tempo che ci rimane” )
Miglior attore: Tahar Rahim (“Il profeta”
Miglior attrice: le giovani o giovanissime Saoirse Ronan (“Amabili resti” ), Greta Zuccheri Montanari (“L’uomo che verrà” ), Asia Crippa (“Non è ancora domani (La pivellina)”.




Ancora da recuperare: “Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti” di Apichatpong Weerasethakul, “Post Mortem” di Pablo Larraín, “Pietro” di Daniele Gaglianone.


( 31/12/2010 15:04:29 - N. 376812 )
blog modificato il: 31/12/2010 15:08:49

La sera del 30 aprile 2009 alle ore 22.15 circa sul palco della Galleria Toledo sale il gruppo italiano che forse ho più amato nella mia carriera di ascoltatore, senza dubbio tra i più originali della storia della musica italiana (post-rock? Un po’ math? Non è cosi’ semplice!): i Massimo Volume. Sono giunto al concerto in maniera desiderata ma rocambolesca. Quante volte Emidio ha declamato il suo vissuto sullo scorrere di mie notti insonni? Sarà per questo che la familiarità al progetto ha ricalcato emozioni già vissute, storie di vita quotidiana (Leo siamo noi… ) che hanno abbracciato porzioni di una realtà "cinematograficamente" trasfigurata eppur palpabilissima, con squarci di visioni più propriamente poetiche.
E’ tutto quello che mi aspettavo: la parole di Clementi, la chitarra di Egle Sommacal e la batteria di Vittoria Burattini hanno sempre dominato in fondo al cuore nella cerchia di musicalità di casa nostra che sono riuscito ad apprezzare/ amare. Ed il post-concerto, con foto ed autografi Lungo i Bordi di un album ascoltato decine e decine di volte, capolavoro assoluto della musica italiana.




( 2/5/2009 11:17:7 - N. 370301 )
blog modificato il: 02/09/2010 23:32:12

GRAN TORINO di Clint Eastwood

A quel punto gli occhi dello spettatore avevano già percorso la sua parabola. Lui era lì nel bar e le umide vetrate attraverso le quali potevamo scorgerlo grondavano di pioggia, così come il nostro volto era inumidito da lacrime di assoluta e pura commozione. Così scompariva il Frankie/Clint di "Million Dollar Baby", che in quell'epilogo faceva intravedere il suo spettro, uno spirito che ci aveva condotto attraverso interrogativi morali poggiati su una retta linea dalle valenze fortemente religiose. Ed è con il medesimo passo che Walt Kowalski/Clint ci accompagna nel limbo dei suoi giorni ultimi. Il territorio che delimita i confini di Walt è fatto di tanti piccoli grandi tasselli, ognuno dei quali potrebbe raccontare una storia indipendente eppur legata alla precedente e alla successiva dallo stesso sguardo etico che continua a permeare le gesta di Clint. C'è la porzione bellica di un dittico di guerra che restituisce un uomo vecchio e burbero che sa cosa significa uccidere un essere umano ("non un eroismo, ma una cosa orrenda che non scorderai per il resto della tu esistenza" ) e c'è il sergente dall'umorismo caustico che ridicolizza la gioventù contemporanea sputacchiandogli contro. C'è uno spietato che vuol portare a termine la sua ultima missione ed una pistola impolverata e non più giustizialista. Figli senza padri e padri senza figli. E c'è una storia. Un'altra grande storia fatta da tante grandi storie, quelle che Clint Eastwood ha saputo narrarci con una classe che con il passar degli anni è divenuta un'intaccabile maestria senza paragoni (a conti fatti anche i corretti parallelismi con il classicismo di John Ford non riesce a dirci abbastanza del cinema eastwoodiano). È Clint e soltanto Clint. E tanto basta. Il senza nome degli anni 2000 non è più straniero in terra straniera, ma lo è a casa sua, in un quartiere multietnico di Detroit squallido ed involgarito da bande di giovani avanzi di galera. Per Walt esistono soltanto lui e la sua cagnetta Daisy, le sue lattine di birra e la vecchia e gloriosa Gran Torino del 1972, da ammirare e lucidare. I figli ci sono, ma è come se non esistessero, quasi ci trovassimo nelle stesse condizioni poste da Yasujiro Ozu in "Viaggio a Tokyo", nel 1953. È così che diventa tangibile il preludio che offriva "Million Dollar Baby": dondolante sulla veranda di casa o immobile nelle penombre della sua stanza, Clint parla di solitudine. Di vecchiaia e quindi di morte. È la morte che va a braccetto con l'umorismo acre di Walt, dal funerale iniziale della sua amata moglie defunta passando per una confessione con il giovane prete cattolico: la fede, assente, non gli fornisce risposte sulla vita né sull'aldilà, ma il riflettersi in un passato fatto anche di sangue (la guerra che ritorna) suggerisce a se stesso che ha sempre conosciuto la valenza della morte meglio di quanto abbia conosciuto la vita, sua come di chi lo ha sempre circondato. Affogando in comportamenti scostanti quando non razzisti, ma sempre con un occhio lucido e distaccato. Un occhio disgustato dallo squallore che lo accerchia, dalle neo-gang al vuoto grigio e privo di ogni calore e colore. Ma i confini di Clint hanno la stessa espansione della potenza dei suoi film, abbattono le coordinate e vanno ben oltre la bandiera statunitense affissa accanto alla casa di Walt, facendosi portatore di una visione collettiva umana, non semplicemente nazionale. Ed è in questo contesto che il solitario Walt modifica alcune sue convinzioni, quando l'apparenza e le contrapposizioni (età, razza, carattere, passato/presente) vengono scavalcate da uno scavo profondo che ci mostra lo straniero, l'altro, l'estraneo, più simile a noi di quanto possano essere i nostri stessi parenti.  Come Walt, Thao non riesce ad integrarsi nel tessuto civile che lo affligge quotidianamente e come Walt vive in uno stato di solitudine. E attraverso questo percorso di crollo di ideali da parte del vecchio (i musi gialli combattuti durante la guerra di Corea visti come nemici - sebbene i vicini non siano coreani ma hmong, gruppo etnico asiatico che parla la lingua di Hmong e che vive nelle regioni montagnose della Cina del sud e nelle regioni dell' Asia sud-orientale - diventano amici) ed un'iniziazione alla vita da parte di un giovane spesato, che è rapporto d'amicizia e approdo al tema padre-figlio che regna nella recente filmografia eastwoodiana. Nel frattempo la regia di Eastwood si prende del tempo: tempo per dei siparietti comici che non ti aspettaresti da lui (con rimandi al suo "Gunny" ), tempo di assaporare la sua ennesima birra accarezzando la sua Daisy o, ancora, tempo per una panoramica sulle usanze Hmong. Tutto ciò per ribadire che le piccole cose della vita non solo si alternano ad episodi più roboanti e vistosi, ma che risultano poi incisive per la formazione dell'essere umano, per un buon senso e una coscienza da ottenere esclusivamente se si è in grado di fermarsi e riflettere. Un percorso che porta Clint a fare la scelta giusta, mettendo da parte la strategia del sangue chiama sangue (e dunque con una fiammella di sperenza rispetto al precedente "Mystic River" ) e attuando una definitiva scelta morale in grado, ancora una volta, di elevare la propria opera in una lezione che travalica i limiti della pellicola e, quando dopo due ore la voce ruggente di Clint si scioglie  intonando l'omonima canzone del film, la commozione è inevitabile. L'eroe esce di scena, resta il mito.


Una mia recensione già pubblicata su:

http://www.ondacinema.it/film/recene/gran_torino.html











( 20/3/2009 14:04:30 - N. 368742 )
blog modificato il: 20/03/2009 14:15:32



Yes, We Can!!



( 5/11/2008 14:48:14 - N. 357921 )
blog modificato il: 05/11/2008 14:48:33



Questa foto perchè, oltre ad un dovuto ricordo a Paul Newman, seppur ritardatario, incorpora due motivi d'essere più personali che forse meritano una mirata cifra della memoria.
( 4/11/2008 14:56:24 - N. 357736 )
blog modificato il: 04/11/2008 14:57:10

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