Cade la neve. Lenta, lenta. Cade e diventa manto. Distesa infinita, incalcolabile candore. Poesia.
Siamo in Giappone, ed è un inverno di molto tempo fa. Yuko vorrebbe essere poeta, vorrebbe cantare la neve. Ma Yuko dovrebbe essere monaco o guerriero. Almeno secondo la tradizione, almeno secondo suo padre.
Ed invece lui vuole scrivere haiku. Ogni haiku diciassette sillabe, non una di più né una di meno. In mezzo il bianco più assoluto. Perchè gli haiku di Yuko sono tutti disperatamente bianchi. Bellissimi. Commoventi. Eppure bianchi.
Comincia a questo punto il viaggio del protagonista. Un viaggio fatto per scoprire i mille colori di una vita che va vissuta tutta. Senza esserne intimoriti. Senza fermarsi. Senza astenersi. Perché bisogna vivere come funamboli, lanciandosi in sogni e salti ed acrobazie, senza aver mai paura di cadere oltre quel filo che ci sorregge e che è la nostra vita.
Funamboli come Neve, che funambola era davvero e che di questo libro è l’emblema. Occhi colore del mare, pelle di perla, capelli d’oro, Neve era capace di volteggiare come un petalo sopra ogni filo, era capace di divenire tutt’uno col cielo, e di lanciarsi in spettacolari acrobazie e salti e voli. Senza mai stancarsi. Senza mai cadere.
Perché questo è un libro che con la delicatezza di una metafora tutta bianca ci vuole spiegare che il coraggio è linfa vitale per i sogni, e che i sogni lo sono della vita. E che bisogna volteggiare e planare e volare, in qualche modo, per esser vivi davvero. Anche a costo di stancarsi. Anche a costo di cadere.
Ed indipendentemente dalla metafora che ne è il cuore, la storia che questo libro racconta è una storia semplice e bellissima. Anche se ad un tratto Neve dovesse cadere.
Lenta, lenta. Cade e sembra un fiocco. Cade e diviene statua ghiacciata d’incalcolabile candore. Poesia.