Qualche mese fa un folto gruppo di specialisti della Società Italiana di Neonatologia aveva segnalato i gravi rischi cui si espongono i feti immaturi costringendoli a vivere a tutti i costi e aveva fissato a 23 settimane il minimo di maturazione fetale dopo il quale si poteva, senza rischi disastrosi per il neonato, tentare di portare il feto a uno sviluppo compatibile con la sopravvivenza e con una qualità di vita sperabilmente accettabile. E per parte, nella mia esperienza professionale ho potuto constatare quanto spesso gl’immaturi sviluppino poi, nell’infanzia o nella vita adulta, malattie anche gravi e invalidanti, che ci fanno capire come l’aborto naturale che li aveva dati alla luce fosse in realtà una difesa preventiva della natura finalizzata ad evitare la nascita di un organismo gravemente tarato dal punto di vista fisico o psichico.
Ora invece un gruppo di ginecologi delle Università romane si auto-nominano giudici insindacabili del destino del feto e proclamano che il medico deve, anche prima della ventitreesima settimana di gravidanza e anche calpestando la volontà della madre, tentare di assicurare con ogni mezzo la sopravvivenza del feto, in ossequio ai diktat vaticani e in contrasto con le raccomandazioni delle associazioni nazionali non solo dei neonatologi, ma anche dei pediatri, degli ostetrici, dei medici legali e di molti ordini dei medici che, l’anno scorso, hanno raccomandato di non procedere a nessuna cura intensiva sugli immaturi che non abbiano superato le 23 settimane di gestazione.
Già, ma quale sopravvivenza si vuole assicurare? E’ la stessa Comunità di Don Benzi a descriverci uno di questi “capolavori” della ginecologia vaticanista.
La bambina “salvata” dai benemeriti ginecologi e dalla ancor più benemerita comunità ha 15 mesi e per sette è vissuta in una casa famiglia del Padovano.
I suoi genitori, descritti dai “benemeriti” come una coppia spietata e infanticida, avevano deciso di interrompere la gravidanza perchè, alla ventunesima settimana di gestazione, avevano scoperto che la piccola sarebbe stata completamente cieca per la vita intera in quanto era del tutto priva dei bulbi oculari.
Una settimana dopo è cominciato l’aborto terapeutico con i farmaci necessari per indurre l’espulsione del feto. Quando il feto era stato dato alla luce, era sopravvenuta un’emorragia celebrale, che aveva reso sorda la bambina, nonché un difettoso accrescimento dei bronchi che le aveva prodotto una gravissima insufficienza respiratoria. In pericolo di vita per molti mesi la piccola è stata affidata dapprima a una casa-famiglia cattolica. Poi una coppia del padovano, sposata con tre figli e due adottati, ha deciso di accogliere anche la sventurata bambina considerandola, come dichiararono i due pii genitori adottivi, con inconsapevole humor nero, “un raggio di Paradiso”. Ora la bambina ha 15 mesi e pesa appena 6 chili: cioè meno della metà del normale, ma la donna che l’ha accolta si dice molto ottimista e fiduciosa.
Il calvario della bambina, nonostante l’ottimismo della “madre” adottiva, è però agghiacciante: oltre all’emorragia celebrale, la piccola ha subito un intervento al cuore a dieci giorni di vita nonché, come si diceva, gravi problemi respiratori e infettivi.
Ma tutto questo è ancora nulla in confronto a quanto la bambina e, se sopravvivrà, l’adolescente e la donna costretta a vivere dal buonismo vaticano, dovrà patire a mano a mano che la sua cosiddetta vita si evolverà e la coscienza della sua condizione atroce andrà sviluppandosi.
Ecco dunque dove approdano le cure provvide del Vaticano e dei medici vaticanisti: non alla difesa ma allo stupro della vita, costretta dai nobili principi delle gerarchie ecclesiastiche a consumarsi nella sofferenza atroce ed infinita di una condanna a morte continuamente rinviata.
Ma l’aspetto più terrificante di questa mentalità vaticana, tanto ossessionata dai principi astratti quanto cieca e sorda di fronte ai richiami della sensibilità umana, del buon senso e del realismo, emerge nel confronto tra gli enormi sforzi tecnici compiuti, da un lato, per costringere una vita invivibile a vivere e la caparbia ostinazione con cui ci si rifiuta, dall’altro, di prevenire le gravidanze indesiderate (e con esse l’aborto) nonché la cinica indifferenza con cui si assiste da mezzo secolo allo sterminio per fame di 15 milioni di bambini all’anno (costretti a nascere e a morire dai veti vaticani alla contraccezione). È una situazione scandalosa contro cui deve insorgere la coscienza civile e l’Umanesimo Liberale.
Ciò detto resta senza risposta, comunque, un interrogativo di fondo. Perché mai si vuole costringere con ogni mezzo a vivere e a patire questi esserini innocenti se, almeno a parole, la vita tanto bramata e ambita è per questi reverendissimi prelati proprio quella dell’oltretomba ?