Nick: Ulisse Oggetto: re:giudizi Data: 21/7/2004 13.34.10 Visite: 30
Giudizi... Conoscere è giudicare, scriveva Kant. Giudicare è un atto solo apparentemente semplice. Consiste nella giunzione di un soggetto con un predicato. Spesso si è tanto criticato e paventato il giudizio, alcuni lo hanno tacciato a priori e senza indugio come sicuramente sbagliato solo per il motivo di essere stato pronunciato (NON SI GIUDICA LA GENTE! CHI TE NE DA IL DIRITTO?). Il giudizio è tanto aberrato proprio perché è ciò che più è temuto. Si teme la pietrificazione che ci regala il giudizio. Addirittura ci si barrica dietro alla fissità del giudizio (quasi sempre improprio a detta dei contrari ad ogni forma di giudizio). Eppure il giudizio umano è parziale per definizione. Ha la sola colpa di fermare in un'istantanea, agli occhi di chi lo pronuncia, l'oggetto del giudizio. Altro male nn fa che far conoscere a chi giudica una certa forma del giudicato. Conoscere è poi riconoscere. Quindi la conoscenza, in quanto giudizio, fissa qualcosa che prima scorreva fluido. La sua virtù è quella fatale del freddo polare che irrigidisce in una posa definitiva e statuaria il malcapitato che ad esso si è esposto. Per questo gli antichi maestri la ponevano dal lato della morte. Per gli antichi pensatori, per essere conosciuti bisogna essere morti e per conoscere bisogna disincarnarsi. Perché finché c’è vita c’è movimento. Finché c’è esistenza c’è un "costante divenir altro". Il più incallito tra gli atei ha sempre un po’ di tempo davanti a sé per convertirsi e non c’è santo che non possa non inciampare nel sassolino della tentazione (Tolstoj). Il buono e il cattivo saranno definitivamente giudicati tali solo quando avranno cessato di essere. E per essere un buon giudice occorre guardare la realtà con gli spenti occhi di un morto. Non si deve essere coinvolti, non bisogna desiderare, amare, parteggiare. L’obiettività implica la distanza immane che separa i morti dai vivi. Per questo il giudice, nei tribunali, viene visto con tanta reverenza e timore. Mi dicono che Hegel intendeva la storia come un tribunale. Il suo giudizio era il fatto compiuto: era la sconfitta dello sconfitto e la vittoria del vittorioso. Nn mi va di attribuire al giudizio umano nessun altro potere che quello di permettere a chi lo pronuncia di conoscerci e riconoscerci. Non sempre ci piacerà come siamo riconosciuti ma in definitiva nn è altro che una delle tante "tribolazioni" umane. Spesso un giudizio che è male accolto è uno spunto di riflessione ...proprio perché, forse, contiene un fondo di verità. Ultime 2 considerazioni: Anche il giudizio fluisce e muta, purtroppo spesso l'apparenza non inganna affatto. ///U. |