Nick: insize Oggetto: X TUTTI Data: 11/12/2004 8.58.1 Visite: 42
La vergogna non si prescrive... ...in qualsiasi altro paese al mondo non dominato da consuetudini tribali e da miliardari impuniti, un presidente del Consiglio colpito da una sentenza così infamante, uno che pagava i giudici per averli a disposizione, uno così non sarebbe potuto restare al suo posto un minuto di più... 10.12.2004 di Antonio Padellaro Primo. Il tribunale di Milano ha accertato che sono riconducibili a Silvio Berlusconi i 434mila dollari provenienti dai conti Fininvest e versati, attraverso Cesare Previti, al giudice Squillante, ex capo dei gip romani. Secondo. Per questo reato, infamante, che si chiama corruzione di un magistrato, Silvio Berlusconi non sconterà pena alcuna. Il premier, infatti, si è salvato dalla condanna perché, ancora una volta, gli sono state concesse le attenuanti generiche che hanno reso possibile la prescrizione del reato. Terzo. Per altri reati di cui era accusato, l’aggiustamento della sentenza Sme, Silvio Berlusconi è stato assolto per non aver commesso il fatto. Per un altro reato ancora, i 200 milioni versati per la corruzione di un secondo magistrato, è stato assolto per insufficienza di prove. Quarto. Come si vede la sentenza del tribunale di Milano getta delle pesantissime ombre sull’immagine del presidente del Consiglio e non giustifica per nulla le dichiarazioni di giubilo rilasciate dal corruttore prescritto e dai suoi sodali. Tra costoro spiccano per festoso zelo, i presidenti delle Camere Pera e Casini e i due vicepresidenti del Consiglio Fini e Follini, ormai, dopo qualche sbandata giovanile, perfettamente allineati e coperti. Oltre ai numerosi ministri che desiderosi di ben figurare agli occhi del capo lo celebrano per un’assoluzione definitiva e completa che non esiste. Non così gli avvocati di Berlusconi, Ghedini e Pecorella che, esperti nel ramo, hanno subito compreso quanto ci fosse poco da essere soddisfatti e che, infatti, annunciano appello. Quinto. A tale incredibile falsificazione della realtà danno copertura mediatica pressoché completa i tg Rai e Mediaset. Mai come in questa occasione i giornalisti del regime (sì del regime) dell’informazione unificata, stanno svolgendo con puntuale e geometrica efficacia il compito per il quale sono stati espressamente arruolati. Ciascuno di questi cinque punti contiene delle conseguenze altrettanto gravi per la democrazia italiana. Vediamo perché. La corruzione. Ormai, dopo la conclusione in primo grado dei processi Mondadori/Imi-Sir e Sme, e dei loro stralci, è stato accertato con altrettante motivate sentenze che il gigantesco meccanismo di corruzione dei giudici romani denunciato dal teste Ariosto, non solo esisteva ma funzionava a pieno ritmo. Le toghe eccellenti a libro paga sono state smascherate e condannate. Riguardo ai processi che secondo l’accusa sono stati aggiustati è mancata, invece, la cosiddetta prova della pistola fumante. Tutte queste sentenze hanno come protagonista indiscusso, oltre che colpevole predestinato, l’avvocato Cesare Previti, legale di Berlusconi, deputato di Berlusconi, ex ministro di Berlusconi. Costui tra una sentenza e l’altra si è beccato qualcosa come 16 anni di reclusione, Il suo cliente, leader e premier, viceversa, se l’è sempre cavata per il rotto della cuffia grazie al solito meccanismo della prescrizione dimezzata attraverso le attenuanti generiche (da notare la simmetria tra le sentenze lodo Mondadori e Sme dove Previti viene sempre condannato e Berlusconi sempre prescritto). Ma se protetto dai cavilli, e forse anche dalla ragion di Stato, Berlusconi ha evitato l’onta della condanna, la corruzione spicca a lettere cubitali, accompagnata in sottofondo dall’incessante e operosa movimentazione dei conti Fininvest. Pensate: un presidente del Consiglio che pagava i giudici! Un fruscio di banconote che tuttavia non turba più di tanto il valoroso Scajola che oltre a inneggiare alla «innocenza» del suo datore di lavoro proclama la sconfitta «senza ritorno della magistratura inquirente e politicizzata». Occhio al sottile distinguo tra magistratura inquirente cattiva, perché incrimina il capo, e magistratura giudicante buona, quando lo prescrive. Fa male l’incauto Scajola a chiamare in causa i pm di Milano Colombo e Boccassini perché, ieri, questi due coraggiosissimi magistrati hanno vinto la loro battaglia di giustizia. Battaglia che non consiste nell’avere le sentenze favorevoli dei tribunali bensì nel ricercare sempre, con tenacia e competenza, la verità dei fatti. Comprendiamo il cattivo umore dell’avvocato Ghedini quando sostiene che con la sentenza di ieri si sono chiusi «10 anni di processo sostanzialmente inutili». Dieci anni inutili non si direbbe proprio, visto quello che hanno portato alla luce. Dieci lunghi, difficili, travagliati anni certamente sì. Quanto mai faticosi per i due pm che hanno dovuto subire una sfilza impressionante di rinvii, rallentamenti, minacce di trasferimento, illegittimi sospetti. Senza contare gli insulti, le ingiurie, le minacce e tutta la velenosa sfilza di insinuazioni e diffamazioni che il fuoco politico, giornalistico e avvocatesco dell’imputato hanno prodotto in quantità industriale. Alla fine le sentenze di tribunali hanno dato ragione al paziente lavoro di Colombo e Boccassini: l’imputazione era fondata, la corruzione c’è stata, i corruttori anche. E tanto basta. Adesso, nell’opposizione, qualcuno si chiede se dopo quanto è stato accertato Berlusconi abbia la moralità e la statura per continuare a fare il premier. Qualcun’altro ne chiede le dimissioni. Qualcun’altro ancora, al contrario, si compiace della mezza assoluzione, forse temendo che una condanna piena avrebbe destabilizzato le istituzioni. La verità è che in qualsiasi altro paese al mondo non dominato da consuetudini tribali e da miliardari impuniti, un presidente del Consiglio colpito da una sentenza così infamante, uno che pagava i giudici per averli a disposizione, uno così non sarebbe potuto restare al suo posto un minuto di più. Viene da sorridere pensando che in America per molto meno hanno fatto dimettere un presidente. Ma qui siamo in Italia, il paese delle leggi ad personam e dei lodi Schifani. Siamo nel mondo capovolto dove una condanna viene fatta passare per un’assoluzione. Il regno delle attenuanti generiche dove tutto si può prescrivere. Tranne la vergogna.
|