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Nick: Franti
Oggetto: re:Cercasi ricordi...
Data: 6/9/2005 16.18.48
Visite: 92

Vivo, anzi vivevo o ci vivo ancora o fingo di viverci io questo ancora non l'ho capito, in un paesino di circa duemila anime.
A me il mio paesino non mi è mai piaciuto e mi è piaciuto sempre.
Il mio paese a me m'ha sempre fottuto.
Quello che mi fotte a me è il paesino.
L’ho sempre pensato.
E l'ho sempre detto.
Quando ci sei lo odi.
Quando non ci sei ti manca da morire.

Il paese m’ha sempre sfottuto.

Per esempio, nel paese prendi certe brutte abitudini che già quando sei piccolo ti accorgi che sono brutte abitudini e che fai delle figure di merda niente male.

Per esempio papà spesso invitava in Pizzeria, nel mio paese, una coppia di amici suoi, con due figli.
E mentre l’amico suo, con la moglie e i figli, mangiava la pizza con coltello e forchetta, mio padre la mangiava con le mani.
E io gli chiedevo perché e che forse non stava bene mangiare con le mani, che me lo diceva pure mamma che non veniva mai a mangiare la pizza e restava a casa perchè non sopportava papà, men’ che meno quando mangiava la pizza con le mani.
E papà mi rispondeva che non dovevo dare retta a mia madre, che non capiva niente e che era snob a cazzi suoi e che solo i democristiani mangiavano la pizza con la forchetta e il coltello, mentre i comunisti e gli anarchici la pizza la mangiavano con le mani.
A me questa cosa non mi convinceva e, pur di non fare figure di merda, volevo fare il democristiano, pure se non sapevo che cos’era e cosa significasse.
E dicevo tra me e me:

"Da grande io sarò un democristiano. Giuro!"


Il paese mi ha fottuto anche per altri motivi.
Perché?
Nel paese si è sempre pronti lì a fare le sfide, a misurarti.
Che poi chissà se questo tuo far sfide, se questo tuo misurarti non sia altro che una metafora della vita.
Solo che da bambino non lo sai.
E vai avanti con le sfide.
Ma per delle puttanate poi devi fare queste sfide.
In un paese, ad esempio, i ragazzetti imparano prima ad andare in bicicletta.
Intendo dire sulla bicicletta senza rotelle.
Che appena cerchi di imparare è difficilissimo.
Madonna se lo è!
In pratica cosa succede nel paese.
Beh, nel paese ci sono i ragazzetti, quelli un poco più grandi di te, che, siccome non hanno un cazzo da fare, siccome sono un po’ frustratelli e non sanno come sfogarsi, siccome non hanno l’Arena di Yughi Ho e ai miei tempi non avevano neppure l’ultimo modellino di Danguard Ace, insomma questi ragazzetti cosa sanno fare?
Sanno guidare benissimo una bicicletta senza rotelle .
E la sanno guidare da piccolissimi, massimo cinque o sei anni!
Indi ben’ più prima dei ragazzetti di città.
E che fanno questi ragazzetti appena imparano a portare una bicicletta senza rotelle, piccolissimi, massimo cinque o sei anni?
Diventano perfidi e ti prendono in giro in maniera subdola perchè tu non sei capace di andarci.
Su una bici senza rotelle.
E tu mica puoi sottostare a quegli sfottò perfidi.
Mica puoi fare figure di merda di quel tipo e con quei bastardi, specie se i ragazzetti più grandi di te ti sfottono al cospetto della fanciulletta che ti piace, eh!
E allora che fai?
Piccolissimo, mentre loro hanno cinque o sei anni e tu al massimo quattro, devi trovare qualcuno che ti insegni a guidare la bicicletta senza rotelle.
E allora caghi il cazzo a tuo fratello più grande affinche ti insegni finalmente a guidare quella cazzo di bici senza rotelle.
Ma siccome io non avevo fratelli più grandi e papà era zoppo per una malattia avuta da giovane prima che conoscesse mamma, cagavo il cazzo a mamma.
Anche se mamma era sprovvista di cazzo.
Vabbè, dai, anche questa era ed è una metafora.
Non della vita però.
Comunque, dicevo, cagavo il cazzo a mamma.
Allora mamma mi insegnò ad andare, dapprima, sulla bicicletta con una sola rotella.
E allora io ero là, che bestemmiavo nella mia testa come un ossesso, perché stavo tutto storto sulla bicicletta con una sola rotella.
E quella rotella era talmente sgangherata che mi faceva venire il callo su una chiappa del culo.
Sembravo un mandrillo sulla bici.

E poi c’era il rischio che ti venisse la rotoscoliosi che è una leggera forma di scoliosi.
Ma quando sei piccolo non lo sai che la rotoscoliosi è una leggera forma di scoliosi e credi sia una malattia bruttissima generata dalla posizione che assumi su una bici con una rotella sola.

A me è venuta la rotoscoliosi che avevo cinque anni, credo proprio per colpa della rotella sgangherata.
E mamma mi ha mandato, per sei mesi, a fare ginnastica correttiva.
E allora feci un altra figura di merda.
In pratica i ragazzetti del Paese, quelli più grandi di me che sapevano già portare la bicicletta senza rotelle, mi sfottevano per via della rotoscoliosi e mi dicevano:

"Ma non hai vergogna? Ma sei proprio uno storpio!"

Questa cosa la dicevano quelli più sfacciati e picchiatori.
Cioè coloro ai quali, se rispondevi qualcosa, finivano per provocarti ancora di più e per picchiarti.
E quindi ti tenevi "lo storpio" e gli altri sfottò perfidi e crudeli e non dicevi nulla.
E loro, i ragazzetti crudeli, ridevano.
Ridevano di te.

Invece i ragazzetti del paese, quelli più grandi di me che sapevano già portare la bicicletta senza rotelle, ma meno sfacciati e crudeli di quelli di prima, io li vedevo che bisbigliavano e si dicevano qualcosa alle orecchie, a voce bassissima.
Secondo me dicevano:

"Guarda quello. Ha una brutta malattia alla schiena e va alla palestra dal professore Mauro. E’ uno strorpio, poveretto. Non si fidanzerà mai e rimarrà solo!".

Che tristezza.

Poi invece la rotoscoliosi mi è passata e ho imparato ad andare sulla bicicletta senza rotelle.
E ho imparato ad andarci anche senza mani.
Già, perchè, nel frattempo, i ragazzetti del paese, quelli più grandi di me che sapevano già guidare la bicicletta senza rotelle, avevano imparato ad andare in bici senza mani.
E tu dovevi accelerare le cose.
E così imparai.
Imparai non proprio ma quasi, diciamo.
Vi spiego.
Per esempio, andavo a fare un giro in bici, trovavo Antonio Pummarola, che lo chiamavamo così perché non mi ricordo, e gli dicevo.

"Guarda vado senza mani!"

E toglievo le mani dal manubrio e...shaffete..battevo le mani per un attimo e manco pure e le rimettevo sulla bici.
E poi dicevo:

"Antò, hai visto? Senza mani sono capace di guidare la bici!".

E Antonio Pummarola che lo chiamavamo così perché non mi ricordo, mi rispondeva:

"Oh e non ho visto un cazzo. Rifallo se è vero che lo sai fare".

E io:

"Aeh…".

E la seconda volta cadevo quasi sempre rovinosamente e mi sbucciavo l’anca o il ginocchio.
A seconda di come cadevo.

Che poi tua madre, a casa, ti picchiava a schiaffi e ti gridava addosso e ti metteva l'alcool etilico sulle sbucciature che tu chiamavi semplicemente "Spirito".
Lo "Spirito" era, appunto, l’alcool etilico denaturato, quello rosa nel flaconcino, che quando sei piccolo lo versi sulle mosche per poi bruciarle..
E allora tu dicevi a tua mamma che non volevi lo Spirito sulle sbucciature perché bruciava e che volevi il Bialcol, lo Spirito verde e non quello rosa, perché nella pubblicità dicevano che non bruciava.
E allora mamma mi tirava un altro schiaffone e poi mi versava il bialcool sulle sbucciaure.
Ma dico io, c’era bisogno di un altro schiaffo?


Il paese ti fotte anche perché se tuo padre vuol tradire tua madre o se tua madre vuol tradire tuo padre, lo devono fare con uno del paese, per lo più.
Uno o una che tutti conoscono, insomma.
E poi tutti lo vengono a sapere e tu fai una figura di merda colossale.

Per esempio, quando avevo all’incirca sei anni, andai a un veglione di Capodanno nella scuola elementare del paese, con mia mamma e mio padre.

Nella scuola elementare dove, quando avevo sei anni, andai al veglione di Capodanno, faceva freddissimo e quella sera non c'erano i termosifoni accesi.
Si ghiacciava così tanto che se trovavi dei sassolini di ghiaccio a terra e li lanciavi contro il muro, i sassolini si rompevano e facevano "Prrrr", perchè erano le scureggie congelate di qualcuno.

Nella scuola elementare dove, quando avevo sei anni, andai al veglione di Capodanno, c'erano le barriere architettoniche e non c'era la rampa per far salire le sedie a rotelle degli handicappati.
Cosicchè Giuseppe, un mio amico che viveva e camminava su una sedia a rotelle, non poteva entrarci nella scuola elementare dove, quando avevo sei anni, andai al veglione di Capodanno.
E ricordo che papà e altri suoi amici dovettero sospenderlo nell'aria e portare lui e la sua carrozzella, a braccio, all'interno della scuola elementare dove, quando avevo sei anni, andai al veglione di Capodanno.
Una giostra, insomma.
Era bellissima quell'immagine, per me.
Così, quella sera, quando avevo sei anni, volevo essere anche io come Giuseppe, il mio amico che viveva e camminava su una sedia a rotelle.
Volevo vivere e camminare anche io sulla sedia a rotelle.
Solo per il gusto di farmi sospendere nell'aria aria da papà e dai suoi amici, e farmi portare, a braccio, con tutta la carrozzella, all'interno della scuola elementare dove, quando avevo sei anni, andai al veglione di Capodanno.

Comunque, quando avevo all’incirca sei anni, andai a un veglione di Capodanno nella scuola elementare del paese, con mia mamma e mio padre.

Che poi là, nella scuola elementare del paese, dove si svolgeva il veglione di Capodanno, c’erano i miei amici, mica dovevo restare per tutta la serata in compagnia esclusiva di mia mamma e mio padre, eh.
E poi c'era Federica che mi piaceva tantissimo.

In questo veglione di Capodanno, presso i locali della scuola elementare del mio paese, mangiammo, bevemmo, io la coca cola e mio padre il vino e lo spumante e mamma l’acqua, ballammo eccetera.

Io ballavo con Federica.
Abbracciati, come i grandi.
Federica aveva le trecce nere e una gonna a scacchi e i calzettoni bianchi che sembravano fatti all'uncinetto.
E un paio di scarponcini Kickers.
Tutti avevano le Kickers, a quell'epoca.
Cioè, tutti i bambini figli dei ricchi avevano le Kickers, a quell'epoca.
Federica era bella sì, ma era figlia di una mamma e di un papà ricchi.
Però la mamma e il papà di Federica, che erano ricchi, non lo davano a vedere che lo erano.
Ricchi, cioè.

Ad un certo punto, nei locali della scuola elementare del mio paese, dove si svolgeva il veglione di Capodanno, mentre io ballavo con Federica, che mi piaceva moltissimo, abbracciati come i grandi, mia madre mi chiama, poi si avvicina a me, mi stacca da Federica e mi inizia a baciare, piangendo.
Davanti a Federica!
Che figura di merda!
E mia madre piangeva, piangeva, piangeva.
E mi abbracciava, abbracciava e abbracciava.
E piangeva, piangeva, piangeva.
E io zitto, zitto, zitto.
E Federica fece ciao con la mano, mi sorrise e se ne andò.
Che nervi.

E così, io che ero andato a un veglione di Capodanno nella scuola elementare del Paese, con mia mamma e mio padre, me ne tornai a casa solo con mia madre perché nel frattempo papà, ubriaco, si era baciato con una tipa.
Che era pure amica di mia madre.
Ed era pure più brutta di mia madre e io non ci potevo pensare a questa cosa.
Cioè che la tipa, amica di mia mamma, con la quale mio papà si era baciato, era più brutta di mia mamma che era bellissima.
Un Arcangelo.
Cioè, papà, ma chi te lo fece fare a baciare una più brutta di mamma, che è un Arcangelo, che, tra l'altro, rovinasti il veglione di Capodanno pure a me che ballavo con Federica?

Queste cose le dovevo dire a mio padre e non l’ho mai fatto.
Potevo farlo di recente, ma, nel frattempo, mio padre è morto di cancro.

E così il giorno dopo del veglione di Capodanno, tutti, in paese, dicevano che mia madre era cornuta e che io ero un povero figlio.

Cioè a me non lo dicevano che mia madre era cornuta e che io ero un povero figlio, almeno io non li ho mai sentiti quelli che dicevano ‘ste cose, però lo sapevo che lo dicevano.

Poi papà ha chiesto scusa a mia madre e mia madre lo ha perdonato perchè lo amava.
Me lo disse mia madre, ma non ci ho mai creduto tanto che mamma aveva perdonato e che amasse tanto papà, specie quando sentivo, dalla mia cameretta, la notte, papà che voleva fare l'amore e mamma che diceva no e poi litigavano e mamma piangeva e papà si alzava e andava in cucina.

Adesso mia mamma che era un Arcangelo così come io immaginavo un arcangelo, è morta tanti anni fa.

Mio padre è morto da circa tre mesi e, quindi, non può baciarsi più con nessuna, seppure volesse baciarsi.
Non potrebbe più tradire un Arcangelo come mia madre con un'amica di mia madre, e pure se qualcuno lo sapesse, questo qualcuno non potrebbe più additarmi come un "povero figlio", dato che l'Arcangelo è morto.
E pure mio padre.

Mio padre, qualche tempo fa, malato di cancro terminale, mi parlava di mia madre e mi diceva che a volte gli mancava e che l'amava, tanto.
Ci credetti, quella volta.
Che papà amasse tanto mia madre.
Nonostante, tanti anni fa, sentivo, dalla mia camera, la notte, mio padre che voleva fare l'amore e mamma che diceva no e poi litigavano e mamma piangeva e papà si alzava e andava in cucina.


Nel frattempo il paese continuava a fottermi.

Quando crescevi nel paese, cominciavi a fare petting, cominciavi a sentirti gruppi strani come i Clash, cominciavi a farti le canne che portavano quelli più grandi nel bagno del Liceo.

In tali periodi tu lo odi il paese.
Te ne vuoi andare.
Volevi andare in un posto nuovo, dove non vedevi le bonazze di Milano solo d’agosto, quando venivano in ferie con i genitori, dove potevi andare nei Centri Sociali Occupati, dove ti potevi fare le canne anche non di nascosto.
Volevi andare in città.
Ma non ci andavi mai, perché oramai il paese ti aveva fottuto ben bene.
Poi, quando credevi che finalmente sei tu che fotti il Paese, te ne vai, magari a Brescia o a Milano e sei contento perché, appunto, per la prima volta in vita tua, hai fottuto il Paese.
Ma poi il Paese comincia a mancarti e ci vuoi tornare.
Vince sempre lui.
Il Paese ti ha fottuto un’altra volta.
Solo che allora non lo sapevo.
Allora intendo che quando ero piccolo non lo sapevo.
Però sapevo che stare nel Paese non mi piaceva.
Anche e soprattutto perché si facevano sempre le stesse cose, quali giocare a campana, fare le gare di seghe a chi arrivava prima, tirare la conta per vedere chi doveva andare da Clemente il Giornalaio a comprare Le Ore Mese eccetera.

Le Ore Mese era un giornale porno.

Clemente il Giornalaio era il giornalaio del paese e aveva la sua bottega in una roulotte, perché dopo il terremoto del 1980 la sua bottega era stata distrutta e così il Comune gli aveva dato una roulotte.

Clemente il Giornalaio era un fuorilegge perché ci dava Le Ore Mese, che era, appunto, un giornale porno.
E a noi non poteva darlo. Perché avevamo al massimo dieci anni.
Cioè, io avevo undici anni.
Poi c’erano gli altri.
Cinque precisamente.

Uno c’era Angelo Muchacho, che lo chiamavamo così perché i genitori erano andati in Venezuela e lo avevano lasciato ai nonni, di anni ne aveva dodici.

Due c’era Antonio Pummarola che ho nominato prima e che lo chiamavamo così perché non mi ricordo, di anni ne aveva quattordici.

Tre c’era Luigi Cicogna che lo chiamavamo così perché il padre, che somigliava a Begby di Trainspotting, aveva fatto con la moglie otto figli, e di anni ne aveva dieci.

Quattro c’era Angioletto Culacchia che lo chiamavamo così perché aveva il culo ciccione e di anni ne aveva undici e veniva a scuola con me, nella stessa classe.

Cinque c’era Davide Lombardi che lo chiamavamo Speedy Gonzales, perché quando facevamo le gare di seghe guardando un film porno lui sborrava per primo sui titoli di presentazione del film, e di anni ne aveva dieci.
Vi spiego questa cosa di davide Lombardi che noi chiamavamo Speedy Gonzales.
Cioè, per esempio guardavamo Cucciolina Superstar, e mentre sullo schermo usciva scritto Cucciolina Superstar, Starring Ilona Staller, lui sborrava sulla scritta Ilona Staller, prima di qualsiasi immagine.
Che poi non lo so se Ilona Staller si scrive Ilona Staller o in un altro modo.

Insomma eravamo sei e tutti minorenni.
E Clemente il Giornalaio era un fuorilegge perché mica poteva dare Le Ore Mese, che era un giornale porno, a dei minorenni, eh!

Comunque noi compravamo sempre, ogni mese, questo giornale porno perché eravamo arrapati.
Soltanto che, ogni volta che dovevamo comprarlo, nessuno di noi voleva andare a comprarlo perché avevamo vergogna di chiederlo a Clemente il Giornalaio.

Che poi a Clemente il Giornalaio non gliene fotteva un cazzo, perché a lui interessava solo vendere il giornale porno e prendersi i nostri soldi, messi assieme con una colletta.
Mensile.
La colletta, intendo.

Comunque noi avevamo vergogna e nessuno voleva andare a comprare Le Ore Mese da Clemente il Giornalaio.
Ovvero, tutti volevano Le Ore Mese, ma nessuno voleva andare a comprarlo da Clemente il Giornalaio.
E quindi tiravamo una conta, con le mani.
Chi usciva dalla conta doveva andare a comprare Le Ore Mese da Clemente il Giornalaio.

Una volta con la conta uscii io.
Toccava a me andare da Clemente il Giornalaio.
Ci andai, perché mi toccava.

Arrivato alla roulotte feci finta di niente ma Clemente il Giornalaio sapeva cosa io cercassi.
Cioè, questa cosa che Clemente il Giornalaio già sapeva cosa io volessi non lo so, però lo sospettavo.
Chiesi:

"Uè Clemè, mi servirebbe il numero nuovo di Topolino".

E Clemente sorrideva e mi dava Topolino.
Che pagavo con i soldi miei.
Niente colletta mensile per Topolino, ma solo per Le Ore Mese.
Erano cazzi miei e non dei miei amici che mi vergognavo e invece di chiedere subito Le Ore Mese chiedevo Topolino.
Mica i miei amici mi avevano dato i soldi della colletta mensile per Topolino, eh!

Poi però aggiungevo:

"Clemè, scusa mica mi daresti pure Le Ore Mese?".

Clemente rideva, pigliava i soldi della colletta e mi dava Le Ore Mese.

Poi prendevo Le Ore Mese, lo mettevo sotto il maglione, per paura che qualcuno lo vedesse, e aggiungevo:

"No, perché dobbiamo fare uno scherzo al padre di Luigi Cicogna.."

E Clemente il Giornalaio diceva:

"Se vabbè, vi dovete sparare dei gran pugnettoni, eh! E bravi !"

E Io:

"Aeh, lo sapevo, ecco la figura di merda".

Cioè, io non dicevo "Aeh, lo sapevo, ecco la figura di merda", ma pensavo questa cosa nella mia testa.
Dicevo invece:

"Ma quando mai!".

E poi me ne scappavo dalla roulotte di Clemente il Giornalaio, così come scappa un ladro.
Senza neppure salutare e carico di vergogna.
Che scappavo a fare visto che la figura di merda l’avevo già fatta?
Non lo so, fatto sta che scappavo via, pieno di vergogna, con il Topolino in mano e Le Ore Mese nascosto sotto il maglione.

Poi i miei amici mi chiedevano:

"L’hai comprato?"

E io:

"Si, ma non ci vado più. E’ l’ultima volta che vado io da Clemente il Giornalaio.".

E andavamo dietro al campo Sportivo dove ci facevamo le seghe in gruppo su le figure di Le Ore Mese.

Certe volte, quando non trovavamo Le Ore Mese, compravamo un giornale porno a fotoromanzo, con le figure vere e le nuvolette, che si chiamava Supersex, ove il protagonista era Gabriel Pontello che era, appunto, Supersex, una specie di Diabolik, che si scopava delle gran troie e quando sborrava sulle tette o in bocca a queste gran troie gridava "IFIX TCEN TCEN".
Nelle nuvolette in testa Supersex, insomma, c’era scritto "IFIX TCEN TCEN".

Quindi ci facevamo queste gare di seghe.
Vinceva chi sborrava prima di tutti.
Vinceva sempre Davide Lombardi che noi chiamavamo Speedy Gonzales, appunto.

C’erano delle volte in cui, poi, Davide Lombardi che noi chiamavamo Speedy Gonzales e Luigi Cicogna che lo chiamavamo così perché il padre, che somigliava a Begby di Trainspotting, aveva fatto con la moglie otto figli, si facevano le seghe tra di loro.
Cioè Davide Lombardi che noi chiamavamo Speedy Gonzales faceva una sega a Luigi Cicogna che lo chiamavamo così perché il padre, che somigliava a Begby di Trainspotting, aveva fatto con la moglie otto figli, e Luigi Cicogna che lo chiamavamo così perché il padre, che somigliava a Begby di Trainspotting, aveva fatto con la moglie otto figli, faceva una sega a Davide Lombardi che noi chiamavamo Speedy Gonzales.
E si sborravano in mano.
E noi altri della comitiva ridevamo e dicevamo che erano ricchioni.
Però loro non se ne fottevano e dicevano:

"Ma quando mai ricchioni, dai!"

Cioè questa cosa la diceva solo Davide Lombardi detto Speedy Gonzales.
Luigi Cicogna che lo chiamavamo così perché il padre, che somigliava a Begby di Trainspotting, aveva fatto con la moglie otto figli, non diceva niente e diventava rosso.

Comunque, a parte le seghe di gruppo, le gare a campana eccetera, i miei amici non si divertivano tanto.
Questo lo capivo man mano che crescevamo.
Io e i miei cinque amici.

I miei cinque amici volevano abbandonare il Paese e vedevano tutto Nero.

A me questa cosa che loro vedevano Nero mi stava antipatica.
Era troppo pessimista come cosa.
Io non vedevo Nero.
Vedevo Marrone.
Non Marrone nel senso di merda, cioè che vedevo tutto una Merda.
Vedevo marrone semplicemente perché il Marrone mi ricordava un Nero Chiaro.
Grigio non vedevo perché Grigio è troppo chiaro come colore.
Vedevo Marrone, cioè Nero Chiaro, una via di mezzo tra il Nero e il Grigio.
Qualche volta, quando ero più contento, al massimo vedevo tutto Marroncino Chiaro.

Fu in questo periodo in cui vedevo o Marrone o Marroncino Chiaro che speravo di andarmene in Sicilia per sempre.
Perché ?
Adesso lo spiego.

Comunque tutto cominciò quando mio padre mi fece sentire un pezzo folkloristico siciliano che si chiama "Vitti ‘na Crozza" che poi significa "Vidi un Teschio".

Mio padre mi tradusse "Vitti ‘na Crozza" in italiano.

Mio padre diceva che era comunista e che i comunisti devono ricordare tutto ciò che aveva a che fare con le tradizioni popolari.
Io non capivo cosa significasse comunista e sapevo che volevo diventare democristiano per evitare di mangiare la pizza con le mani, ma comunque assimilavo tutti questi canti popolari e mi colpì particolarmente "Vitti ‘na Crozza"

"Vitti ‘na Crozza" faceva così, nella prima strofa:

"Vitti 'na crozza supra nu cannuni
fui accuriusi e ci vosi spiari,
idda m'arrispunniu cun gran duluri
"Muria senza lu toccu di campani"
Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla
Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla
Si ni ieru, si ni ieru li me anni,
si ni ieru, si ni ieru nun sacciu unni,
ora ca so arrivatu a ottant'anni
chiamu la vita e 'a morte m'arrispunni
Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla
Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla".

La traduzione di "Vitti ‘na Crozza" è questa:

"Vidi un teschio sopra un cannone
Fui curioso, e volli andare a domandare
Lu il teschio mi rispose, con grande dolore
Sono morto senza suono di campane
Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla
Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla
E i miei anni andarono via
Andarono via, non so dove
Adesso che sono vecchio di tanti anni
Chiamo "vita" e sento rispondere "morte"
Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla
Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla"


Avete capito?
Cioè, vi rendete conto?
Il testo di questa canzone popolare siciliana è tristissimo, parla del teschio di uno che è morto, forse in guerra, e che racconta delle cose e tra una strofa e l’altra cosa fa questo teschio siciliano.
Dice e canta un giocoso "Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla".
Anzi, lo canta per ben due volte per ogni strofa.
E Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla è una cosa gioiosissima e che ti fa muovere il culo.
E questa cosa gioisissima del Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla è universale, tant’è che non si può tradurre dal dialetto siculo all’italiano.

Che cavolo di canzone che avevano scritto i siciliani, eh?
Gioiosa nella sua infinita tristezza.
Che gran popolo, i siciliani.

I Siciliani vedevano tutto Bianco.
L’opposto di noi del Paese che vedevamo Nero o Marrone o, al massimo, nei periodi migliori quando c’era più speranza e gioia, Marroncino Chiaro.

I Siciliani erano ottimisti e contenti dalla nascita.
Ed era la Sicilia che li rendeva così.
Ne ero sicuro e ne sono sicuro pure adesso.
Non so se sia un fattore climatico o cos'altro.

Così io da ragazzino volevo fidanzarmi con una siciliana e andare via dal Paese, in Sicilia, dove non avrei visto più Marrone o Marroncino chiaro, ma Bianco.

Sognavo di fidanzarmi con una siciliana.

Ma non riuscii a fidanzarmi con una siciliana e ad andarmene in Sicilia.
Anzi mi fidanzai con Monica, che era una figlia di emigranti che dal mio Paese erano andati a Milano e che diceva che "Il Sud è bello per quindici giorni in un anno, giusto per una vacanza".
Poi con Monica mi sono lasciato per colpa di Madonna.
Monica non lo so di che colore vedeva tutto.
Non un bel colore, credo, comunque.

Meglio così, comunque.
Nel senso, meglio così che ci lasciammo io e Monica.
Con lei dal Marrone e dal marroncino Chiaro, avrei finito per vedere tutto non Nero, ma Nerissimo.

Morale della favola?
Ci sono molte morali.

Uno Il paese ti fotte sempre. C’ha un cazzo di minimo trentatrè centrimetri. Come John Holmes che è morto di Aids, tanti anni fa.

Due nel mio Paese di biciclette non ne vedo più, con o senza rotelle e non so neppure se ne esistono più.
Di biciclette.

Tre i ragazzetti del paese, quelli più grandi di me che sapevano già portare la bicicletta senza rotelle, si sono per lo più sposati con mogli perfide e antipatiche.

Quattro mia mamma è morta più di dieci anni fa e mio padre tre mesi fa.
E quindi basta tradimenti e "Povero figlio".

Cinque la pizza la mangio sempre con le mani, così come faceva mio padre, e non sono diventato democristiano.

Sei Clemente Il Giornalaio non c’è più.
E’ morto una decina di anni fa.
Solo, per un infarto.
Lo hanno trovato steso a terra, in un pomeriggio d'autunno, nella roulotte
Lui non aveva una famiglia e la sua famiglia eravamo noi che andavamo a comprare le Ore Mese e le altre persone del Paese che compravano altri giornali.

Sette Angelo Muchacho, che lo chiamavamo così perché i genitori erano andati in Venezuela e lo avevano lasciato ai nonni, e che allora di anni ne aveva dodici, è diventato maresciallo dei carabinieri.
Si è sposato e ha due figli e abita a Sacrofano, in provincia di Roma.
Nel paese non torna più.
I suoi nonni sono morti e i genitori dal Venezuela non l’hanno più voluto vedere, né sentire.
Qualche volta lui mi chiama al telefono.
Io non lo chiamo mai, dopo che uan volta sua moglie mi rispose male.
Al telefono.

Otto Antonio Pummarola che lo chiamavamo così perché non mi ricordo, e che allora di anni ne aveva quattordici e che era uno sciupafemmine è diventato grassissimo, si è sposato e fa il direttore di un Autogrill in Emilia e ha una Passat Station Wagon dove spesso porta il suo Pastore Tedesco.
E' ingrassato come Barry White e secondo me ha il diabete.

Nove Luigi Cicogna che lo chiamavamo così perché il padre, che somigliava a Begby di Trainspotting, aveva fatto con la moglie otto figli e che allora di anni ne aveva dieci, adesso fa il carpentiere con una Ditta a Berlino, dove dice che guadagna tantissimo.
Ogni tanto mi manda una cartolina con una donna nuda e prorompente e mi scrive delle cose con un sacco di errori di ortografia

Dieci Angioletto Culacchia che lo chiamavamo così perché aveva il culo ciccione e che allora di anni ne aveva undici e veniva a scuola con me, nella stessa classe, si è sposato con una donna di Napoli molto antipatica che lo tratta non bene e non gli consente di vedermi con lui ogni tanto, perché dice che io non sono sposato, cambio spesso donna, sono immaturo e sbandato e posso essere una tentazione.
Una balla.
Non cambio spesso donna, anzi.
Angioletto Culacchia è infelice.
Me lo ha detto lui.
E mi ha detto che vorrebbe separarsi ma che non ci riesce perché ha una bimba bellissima, dagli occhi neri e belli.
Io lo consolo dicendo che una cosa bella l’ha avuta: la sua bimba col culo grande quanto il suo quand’era ragazzo.
Una Culacchina, insomma.
E lui mi sorride, quando glielo dico.

Undici Davide Lombardi che lo chiamavamo Speedy Gonzales, perché quando facevamo le gare di seghe guardando un film porno lui sborrava per primo sui titoli di presentazione del film, e che allora di anni ne aveva dieci, adesso lavora nella Ditta del padre.
Fa l’idraulico e quando lo chiamo per qualche intervento a casa mia, non mi chiede mai soldi.
Al massimo una sambuca.
Lui non è neppure fidanzato e non ha neppure storie.
Ma mi racconta che ogni tanto va in un Priveè in provincia di Caserta dove si pratica lo scambio di coppie e dove si tromba qualche signora mentre il marito si masturba.
E qualche volta mi ha invitato pure dicendo che si paga cento euro per entrare ma che avrebbe pagato lui.
Io gli dico "Si ci verrò", ma in verità non ci andrò mai.
O forse, chissà.

Dodici i Sei non sono più Sei.
Cioè, sono Sei, ma ognuno per i fatti propri.
Non più Sei assieme.
Cinque di loro continuano a vedere Nero, mi sa.
Forse.

Tredici con una siciliana mi ci sono fidanzato, poi.
E’ avvenuto qualche anno fa.
Era bellissima e dolcissima.
Un po’ bassina, ma non mi importava.
Sognavo di andarmene in Sicilia.
Ma lei sognava di andare via dalla Sicilia.
E allora discutevamo.
Poi ci siamo lasciati.
Non ci amavamo, credo.
Anzi, sicuro.
Lei è rimasta in Sicilia e io non ci sono andato in Sicilia.
Non ci sentiamo più ma ogni tanto ci penso, ma solo con tenerezza.
Un ricordo, insomma.
Spero per lei che veda tutto Bianco.
O comunque glielo auguro.

Quattrordici Io.
Io?
Continuo a vedere Marrone.
Anzi no, Marroncino chiaro chiaro.

Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla
Trullalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lalleru lallla

"GUARDATE IL PELO NEGLI OCCHI DEGLI ALTRI IGNORANDO IL VOSTRO ALBERO MAESTRO." . By OCUSUTORE



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