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Nick: B{L}U
Oggetto: Capitolo 10 - Monologo interiore
Data: 1/12/2003 10.18.57
Visite: 525

Vittorio iniziava a riprendere conoscenza. Ma era ancora troppo assonnato per aprire le palpebre. Pian piano iniziava a sentire nuovamente tutti quei familiari rumori che facevano parte della sua quotidianità. Il tintinnio delle gocce d’acqua che fuoriuscivano dal rubinetto della cucina, i clacson per strada, il tic tac dell’orologio da parete nella sua camera da letto. Freddo. Aveva freddo. Ma gli piaceva molto il suo corpo nudo a contatto con le lenzuola di seta.
All’improvviso una calore, una brezza calda che soffiava sui socchi occhi chiusi. “Che ore saranno?” pensò. Poi sentì come una spugnetta morbida e umida che qualcuno stava passando con delicatezza sul suo volto. Aprì gli occhi di scatto!
“Nutella, piccola mia, stai buona! Mi fai il solletico!”
Adorava essere svegliato dalla sua cucciolotta color vaniglia; era meraviglioso vedere gli occhioni dolci e pieni d’amore con cui il suo cane lo guardava. L’accarezzò nella penombra e si lasciò mordicchiare la mano.
“Perché non sono tutti come te, Nutella! Sei molto meglio di molti essere umani su questa fottuta Terra! Sei in grado di dare tanto affetto senza pretendere nulla in cambio. E, almeno tu, mi sarai sempre fedele cucciola…. Almeno tu!”
La sveglia sul comodino segnava le 21:37 e la sua mente stava iniziando a ricostruire tutto quello che gli era capitato quella mattina. Allungò il braccio sinistro dall’altra parte del letto, ma la sua mano non trovò alcun ostacolo e affondò nel coprimaterasso intriso di sudore. Ritrasse la mano e sprofondò il viso nel cuscino. Come profumava… Il profumo delle pelle di Chiara l’aveva sempre fatto impazzire ed oramai erano anni che il suo cuscino non odorava più così. Ripensò a quanto gli era accaduto solo qualche ora prima. Pensava a Chiara sopra di lui che ansimava di piacere, pensava a come l’aveva stretta e con quanta dolce violenza entrava ed usciva dal suo corpo. Raramente in vita sua aveva fatto l’amore come quel pomeriggio. Si era sentito quasi come un adolescente alle prime armi, come un ragazzino che scopre con cupidigia i piacere del sesso e non è ancora in grado di controllare i suoi coiti. Era stato meraviglioso. Adesso stava quasi per piangere.
Si alzò di scatto ed accese il lume sul comodino. La prima cosa che vide fu un biglietto scritto con un pennarello verde dalla punta doppia sopra all’altro cuscino. Per un attimo una morsa strinse il suo cuore che parve arrivargli in gola. La sua mano tremante afferrò il biglietto e prima che i suoi occhi mettessero a fuoco la scritta un brivido attraversò la sua schiena. Chiara già l’aveva abbandonato una volta e quel biglietto aveva tutta l’aria di qualcosa di simile.
NON VOLEVO SVEGLIARTI, DORMIVI COME UN ANGELO. CHIAMAMI DOMANI SE VUOI. TI AMO, CHIARA.
Adesso sorrideva. Era felice. Si mise la vestaglia addosso e si avviò verso la cucina. Strinse con forza il rubinetto finchè le gocce non smisero di fuoriuscire dal rubinetto, poi cavò una birra dal frigorifero e si incamminò verso il soggiorno. Con un gesto istintivo e meccanico accese lo stereo e fece partire il cd di Pat Metheny che già si trovava al suo interno. Ah, questa è musica, pensò. Questa sì che mi rilassa.
Dopo tre sorsi, la lattina era vuota e Vittorio si lasciò cadere sulla poltrona liberando il suo stomaco dall’aria con un fragoroso rutto. Rise. Rise forte. Anche Chiara avrebbe riso se fosse stata lì. Erano queste piccole cose che l’avevano fatto innamorare di lei. Queste piccole libertà che si poteva concedere senza esser giudicato male.
In un angolo vide un paio di pantofole rosa. Erano di Sara.
Sara.
Sara si sarebbe arrabbiata per quel rumore di cattivo gusto.
Ad un tratto il sorriso scomparve dalle sue labbra. Ora pensava a Sara, a come l’aveva abbandonata quella mattina. In lacrime, nel giorno che doveva essere il più bello della sua vita; un giorno che non avrebbe dovuto dimenticare mai e che in effetti, per come erano andate le cose, comunque non avrebbe dimenticato.
Sul tavolo sei o sette pillole rosa. Rosa come le pantofole che giacevano lì a terra e che sembravano guardarlo con aria di sfida.
Rosa.
Rosa come il colore delle labbra carnose di Sara.
Rosa, pensava.
Rosa come quella tutina aderente di quella sera. “Non è rosa, è fuxia” gli aveva sempre detto Sara.
Non aveva mai capito perché le donne avevano tanta premura dei particolari.
Il corpo di Sara avvolto in quella tutina rosa/fuxia era impresso nella sua mente dalla prima volta che l’aveva vista. Quella sera a casa di Penelope l’aveva inseguita con lo sguardo tutta la serata, era senza dubbio la più bella della festa. Ricordava tutto di quella serata. Ricordava di quando l’aveva sorpresa sul lettino vicino alla piscina in quel bikini rosso fuoco. Ricordava di come aveva scaraventato a terra la tutina rosa/fuxia per sdraiarsi accanto a lei. Ricordava quel primo, lungo bacio ai bordi della piscina, mentre la sua mano accarezzava quelle gambe vellutate e quel seno morbido e rotondo. Ricordava lo sguardo attonito di Sara quando lui la salutò e la lasciò sola sul lettino. Ricordava la telefonata di Penelope di qualche giorno dopo che gli chiedeva se aveva voglia di rivedere quella ragazza strafatta di trip che aveva rimorchiato. “Vittorio, hai fatto colpo, eh? Bella quella mia amica, vero? A proposito, mi ha fatto molte domande su di te, credo che abbia voglia di rivederti? A te va di rivederla?”.
Ricordava.
I pensieri si mischiavano nella sua testa. Ogni cosa che ricordava era come un onda che veniva risucchiata dal mare dopo essersi infranta con violenza su una scogliera. Un’onda, poi un’altra, poi un’altra ancora. Si strinse le mani sulla faccia. La barba che iniziava a crescere gli pungeva le dita. “Mi piaci quando mi pungi, mi piace la tua barba sul collo. Non raderti stasera”. “Ma no Chiara, fammi fare la barba, lo sai che alla mamma piace quando ho il viso liscio come il culo di un bambino”. “Te la vuoi togliere sta barba dalla faccia? Mi sembri un barbone”. “Cazzo Sara, faremo tardi, lo spettacolo inizia alle otto e mezzo.”
“BASTA!” urlò. Le grida giunsero alle orecchie di Nutella che abbaiò.
Non ne poteva più, ogni cosa che vedeva, ogni cosa che faceva gli faceva venire in mente ora Sara, ora Chiara.
Andrea. Porca miseria… Io, un figlio… ho un figlio. Non sapevo manco che esistesse. Cosa penserà lui di me adesso? Cosa ne sa lui di me? Un bambino di sei anni cresciuto senza padre, come mi vedrà adesso? Sarò un estraneo per lui? Come devo comportarmi con lui… si farà abbracciare forse. Ciao piccolo, molto piacere, io sono tuo padre. No, non così, glielo dirò piano piano, voglio prima che mi conosca. Si sì, mi deve conoscere, e io, cazzo, devo vederlo. Lo vedrò mai? Rapito. No, non può essere. Che se ne fanno di un piccolino di cui nessuno o almeno quasi nessuno sospettasse l’esistenza. No, non può essere. Io un figlio! Ma no! Una bugia! Sì, solo una stupida sfottuta bugia per farmi avvicinare a lei. Facile. Sai abbiamo un figlio. E dov’è? Rapito. Toh, ma guarda un po’. Uhm, no. Non si può essere crudeli fino al tal punto. Chiara, poi non è proprio il tipo. Sai amore, sono incinta. Mi sarei incazzato sicuramente, l’avrei fatta abortire. Non ero pronto. Ero ancora giovane. Ma porca miseria, forse sarei cambiato. Sono cose che ti fanno cambiare queste. Non lo so. Non si può dire, non si possono giudicare certe se non ci sbatti il muso vicino, se non le vivi di persona. Chissà se mi assomiglia. Si, sicuramente sarà bello come me. Avrà i miei stessi occhi. Chissà un figlio con Sara come sarebbe stato. Sarebbe stata una femminuccia, sì sì sì, una bella femminuccia bella come Sara. Ma che sto dicendo? Già ce l’ho un figlio. Andrea, dove sei? Ti stanno facendo del male? Piccolo mio dove sei? Aiuto! Mi dovevo sposare. Fra un anno, dopo 12 mesi di matrimonio si presentava Chiara e diceva che avevo un figlio. Sarebbe stata una tragedia. Meglio che sia andata così allora. No, non lo volevo sapere. Sarebbe stato più facile. Non avrei sofferto per qualcosa che non sapevo esistesse. Non lo so. Cazzo. No no no no! E’ giusto così. Ho fatto bene. Avrei voluto uscire con lei a guardare i negozi a comprare la culla, le tutine, le scarpine, il biberon, il cicciotto. Sai com’era bella Chiara col pancione! Avrei voluto scegliere io il nome.
Ora di nuovo non sapeva cosa fare. La prospettiva del matrimonio gli dava l’impressione che la sua vita di scrittore lunatico e disordinato stava cambiando in meglio, stava per affrontare una nuova vita, una vita “ordinata”. Ma aveva mandato tutto all’aria. Aveva fatto bene? Aveva fatto male? Non lo sapeva. La sicurezza che l’aveva accompagnato da sempre nella sua vita, e gli aveva fatto riscuotere successi con le donne, con gli amici, con il lavoro, era svanita. Dov’è quel bulletto di periferia che si sentiva padrone del mondo, che si sentiva in grado di ottenere qualsiasi cosa desiderasse? Adesso specchiandosi nella lattina di birra vedeva un uomo insicuro, pieno di paura, come un bambino che nella folla perde la mano della mamma e non sa più dove andare.
Si alzò. Iniziò a passeggiare freneticamente a pieni nudi per la stanza, prendendo a calci tutto ciò che intralciava il suo percorso. Si avvicinò al tavolo, raccolse le pasticche e, senza nemmeno pensarci un attimo, le gettò istintivamente fuori dalla finestra semichiusa.
Togliendosi la vestaglia di dosso, si avviò verso il bagno e si buttò sotto la doccia. Rimase venti minuti immobile appoggiato alla parete a vetri della cabina doccia, lasciando che l’acqua bollente scivolasse giù dalla testa lungo tutto il suo corpo, portando via tutti i pensieri e affogandoli nello scarico.
Si vestì alla meglio, con un pantalone di una tuta ed una t-shirt bianca.
Tornato in soggiorno si accese una sigaretta si mise a guardare fuori dalla finestra.
All’improvviso suonò il citofono. Chi cazzo è a quest’ora, pensò.
“Pronto, chi è?”
“Vittorio sono Antonio. Sono con Monica. Scusa, lo so che è tardi.Possiamo salire o stai andando a letto?”
“No, salite pure” rispose Vittorio seccato.
Schiacciò il pulsante per aprire il portone ed aprì la porta. Proprio in quell’istante sentì il suo cellulare che squillava.
Fece una corsa per rispondere e sul display vide la scritta NUMERO ANONIMO.
“Odio i numeri anonimi” pensò. “Che faccio, rispondo o no?”
Proprio in quel momento sentì la sua porta di casa chiudersi.
“Permesso Vittorio! Dove sei?”
Era la voce di Antonio.
Vittorio rimase in silenzio con il cellulare che gli squillava fra le mani.







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