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Nick: Bacco77
Oggetto: Capitolo 11 - Flash memories
Data: 5/12/2003 1.13.31
Visite: 491

In pochi istanti la sua mente si addensò di ipotesi,paure,dolori,speranze e immagini,nel vano tentativo di figurarsi l’espressione del potenziale interlocutore. L’ipotesi di rifiutare la telefonata fu subito scartata, convincendosi del fatto che non avesse nulla da nascondere e nessuno dal quale fuggire.
Antonio e Monica nel frattempo avanzavano goffamente,con i corpi chinati in avanti,guidati dal suono del telefono. Vittorio non aveva voglia di incontrare quei due,l’idea di parlare di suo figlio con un’estranea lo nauseava. Aprì forte gli occhi,come se avesse voluto far entrare quanta più luce possibile e fugare qualsiasi dubbio sul da farsi.
“Ma si….dimmi chi cazzo sei”disse a voce alta e con un ghigno di assoluta indifferenza
.”Pronto?”
“Oh Vittorio……sono io…..”
Il tono caldo della voce di Pierluigi si diffuse rapidamente lungo tutto il corpo di Vittorio,producendo lo stesso effetto di una iniezione di morfina.
“…senti qualunque cosa tu stia facendo,interrompila.Ho bisogno di parlarti,si tratta di Andrea….ma tranquillo,è tutto ok!”.
Un attimo dopo,Vittorio già stava congedando i due ospiti,abbozzando improbabili scuse che potessero motivare la sua fuga.Si spinse precipitosamente giù per le scale,entrò in garage e saltò a mò di acrobata in sella alla Vespa.Stavolta però il suo motorino non se la sentiva di compiere un’altra impresa. Vittorio si dimenò invano per tentare di avviare il motore.Esasperato rifilò un calcione alla scocca facendo franare il mezzo su uno scaffale carico di bottiglie,provocando un fracasso assordante.Immediatamente decise che avrebbe raggiunto la casa di Pierluigi a piedi. Lasciò la porta del garage aperta e si allontanò di corsa mentre ancora sentiva il rumore delle bottiglie scoppiare a terra.Solo appena imboccò la strada principale,rifletté sul fatto che avesse deciso di evitare l’auto.Con quel traffico avrebbe impiegato più di un’ora per percorrere un paio di chilometri.
Correva spedito,con la fronte alta,agitando le braccia per farsi equilibrio mentre evitava la gente sul marciapiede.
Dopo poco iniziò ad avvertire potenti fitte ai fianchi;non era più abituato a tanto moto.Decise di proseguire senza esitazioni,sostenuto dalle ultime parole che aveva ascoltato durante la telefonata:”…ma tranquillo,è tutto ok”.Le sue gambe continuavano a mulinare ritmicamente.
Pierluigi era lì,a casa,dietro la finestra che aspettava,il gatto che gli avvolgeva una gamba con la coda,in cerca di chissà cosa,forse solo qualche carezza proprio come il padrone. Si,desiderava le fusa di una donna,proprio quella donna che fino a poche ore fa gli sembrava di dover allontanare forzatamente dalla mente e che ora aveva la possibilità tenerla al suo fianco. Erano emozioni nuove e questo lo disorientava,lui che cercava di essere estremamente razionale e vivere ogni vibrazione del cuore e del cervello senza il minimo orpello.
Aveva imparato a limitare le emozioni e affondare i ricordi nel meandro più recondito della memoria.Una capacità che aveva sviluppato per rimuovere gli orrori della sua infanzia,nel tentativo di cancellare l’immagine della morte del padre.Da che fu messo al mondo non ricordava di lui una sola espressione felice,oppresso costantemente dai debiti e da un oscuro e inesorabile logorio interiore.
Accadde un pomeriggio che lo vide rientrare con un’aria diversa,risollevato come colui che si era definitivamente liberato di un pensiero ossessivo dalla mente.Fu così che entrò in cucina e al cospetto della moglie disse:”Cosa si fa domani allora?”.
Lei con un volto inespressivo disse:”Quello che hai fatto oggi!”.Egli sorridendo rispose:”Bene…altre proposte?”e non appena vide la moglie scuotere la testa,sdegnata da così inutile ironia,si conficcò una pallottola dritta nel cervello.Solo allora Pierluigi lo vide,disteso sul pavimento,per la prima volta sorridere,con i denti ricoperti di sangue.
Questa era l’immagine che gli ossessionava i sogni e la realtà.Questo era il motivo che lo spingevano a passare le sue giornate in laboratorio,per mettere a punto quel farmaco che gli permettesse di cancellare,almeno dai sogni,l’orrore della sua memoria.
Era ancora lì,in piedi davanti alla finestra,non più a guardare il tumulto quotidiano,ma a fissare la debole immagine del suo volto riflessa dal vetro.
L’attesa cominciò ad angosciarlo e i sensi di colpa lo assalirono perché si sentiva responsabile del limbo temporale nel quale era precipitato Andrea.Ancora una volta gli si contrapponeva il suo nemico,il tempo.Lo odiava,era il catalizzatore che non aveva fatto colmare le profonde ferite della sua mente trasformandole in esperienze.Il tempo lo puniva attraverso i ricordi e gli input che lasciava impressi nel suo subconscio. I primi li combatteva occupando la mente con lo studio e con immagini che gli evocavano momenti felici,e di piacere;gli impulsi provenienti dal profondo della coscienza li contrava con i risultati della ricerca scientifica,ricerca che adesso era la causa del ricatto dei Dodici.
Improvvisamente avvertì come un disorientamento che lo fece barcollare accusò un dolore lancinante alla testa che lo fece piegare sulle gambe mentre teneva le mani tra i capelli. A fatica si avvicinò al mobile dove stavano i suoi antidepressivi. Ingollò due pasticche con un sorso d’acqua e si adagiò sul divano cercando di allungare i muscoli contratti del collo. Iniziò a rilassarsi e lentamente nella mente gli si palesavano pensieri positivi che lo rendevano gradualmente sempre più sereno. Iniziò ad estraniarsi dal contesto per spingere davanti ai suoi occhi un ricordo felice .Rivisse istantaneamente la crisi che sembrava svanire,concentrandosi sulla sua immagine con le mani tra i capelli.Il flash gli evocò un momento in cui compì lo stesso gesto.
Si trovava a teatro,in compagnia di Vittorio,per assistere alla prima dello spettacolo di Sara;quando Sara si mise in testa di realizzare il suo sogno di sempre:essere la protagonista in un musical,dove poter ballare e cantare.
Lo spettacolo era deprimente e a tratti grottesco,nessuno dei ballerini andava a tempo,le cantanti steccavano paurosamente,la storia pressoché inesistente,degna dei peggiori fotoromanzi di quarta seria.Il pubblico rumoreggiava tra lo scherno della galleria e una noia devastante della platea,ancora costretta ad un atteggiamento compito. L’apocalisse avvenne quando la corpulenta “prima ballerina”,durante un improbabile assolo,scapicollò giù dal palco.Il pubblico esplose come se fosse seduto sulle gradinate del più infuocato stadio argentino durante un derby e dal loggione si sentì una voce che gridò:”Facciamo un applauso al coreografo zoppoooooo!!”Era Vittorio. Pierluigi si accasciò sulla poltrona della fila davanti con le mani in faccia e senza fiato per le risate.
Stava disteso sul divano,con gli occhi chiusi e un sorriso appena accennato sulla bocca.Il suono del citofono lo sorprese,facendolo sobbalzare.Era lui.
Si precipitò al citofono,aprì il portone senza nemmeno chiedere chi fosse e subito aprì la porta d’ingresso.Appena vide Vittorio dinanzi a se,con il volto sfigurato dalla fatica ed un colore cianotico da infartuato,non riuscì a trattenere le risate,neanche con le mani sulla bocca.
Vittorio crollò sul divano e impiegò venti minuti per placare quel cavallo impazzito che aveva al posto del cuore.Solo allora poté accorgersi che il volto di Pierluigi aveva una espressione distesa e rassicurante,latrice sicuramente di buone nuove e solo allora disse:” Beh che aspetti?Dai,fai una canna e racconta tutto!”



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