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revival_

nome:

Francesco
eta': 41
Citta'.: Salerno
Descrizione: La poesia è il mio tenero amore, la mia sfrenata passione, il sole che riscalda la pelle e il cuore, i miei ingarbugliati gomitoli di pensieri, fresca acqua di sorgente che mi disseta, il mio continuo riflettermi allo specchio, la luna che illumina la notte e i giorni nero pece, un angolo del mondo soltanto mio, il tocco che mi regala mille brividi e mille ancora, morsi leggiadri di erotismo e di piacere unico, la mia principale valvola di sfogo, il mio lato peggiore e quello migliore, pallottole per ferire e cerotti per curare, il silenzio che si riempie di note di colore, la musica che mi invoglia a ballare e a cantare, la mano amica che asciuga le mie lacrime, scudo ferreo avverso le sconfitte e le delusioni, trionfo di sensazioni che vibrano di emozioni e sentimenti veri, autentici e puri, una garbata e superba successione di scalini proiettati verso l`infinito...la mia stessa vita!
L’amore può uccidere, uccidersi, ucciderti con infernale dolcezza e cantandoti versi, con una spugna sulla schiena che suscita brividi, con una parola al telefono che tu ascolti con le orecchie sbagliate, con una goccia di cioccolata laddove ameresti ottenere un bacio, e tentacoli sul viso che soffocano e confondono la tua figura lasciando scoperti solo occhi increduli che muoiono chiedendo il perché...
Certe storie sono solo la continuazione di ciò che fu, niente in sé, ma solo fluire.
Certe storie sono scritte nell’essere e nella carne per il solo fatto che siamo vivi.
Certe storie sono solo l’appendice della disgregazione dell’essere, quando tutto è passato, finito, espulso, assorbito... quel che resta, quel che non deve restare... deve essere immolato e a miliardi di gradi evaporare, perché tutto possa rinascere.
Passioni di morte, umiliazioni e pianti, amori sinceri fottuti da menzogne, bianche fate maschere dell’assenza di se stesse, sapienti santoni impalati alla propria impotenza, piccole vipere subdole dal bacio intrigante, coniugate a bizzarri gendarmi dell’ordine di altri, dimentichi della propria realtà meschina...
Scrivo in trance, nella notte smembrata dalla stanchezza, quando finalmente mi appare la coniugazione del mio essere con le trance altrui. Scrivo in trance, quando tutto mi appare più chiaro, che il mio essere razionale cede al richiamo neuronale dell’onirico.
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Questa non è una semplice pagina scritta. Non sono neri segni convenzionali sparpagliati sul bianco del foglio o file ordinate di parole appese ad un muro. Non è solo questo. Sciolto in quelle righe respira il respiro di chi le ha scritte. Cola e trasuda l’impeto che le ha lasciate sgorgare dallo stomaco, fino alle dita della mano. Tra rapide di fango e scosse neuronali. Tutto quello che gli è successo e tutto quello che ancora deve succedere, sospeso in nuvole d’attesa e folate d’illusione. Ogni immancabile contrazione cardiaca che pompa sangue in salita, a cercare un cervello assetato all’ombra di un sogno. Ogni battito di ciglia. Ogni brivido. Sensi mascherati da parole che cercano una via di fuga dal freddo acciaio delle catene. Parole ansiose di sfiorare, di assaggiare, di gustare, di ascoltare e di vedere. No. Non è una semplice pagina da leggere. E’ essenza racchiusa in quattro margini lineari, partorita da un ignoto mittente in cerca di destinatario. A caccia di uno sguardo paziente e curioso che possa fermarsi un istante, e dare un senso a quel travaso d’anima che gocciola lenta dalla punta della penna. Lui è lì, intrappolato nella viscosità dell’inchiostro, nuota e si dimena, approda in ogni spazio, assorbito dalla porosità del foglio. Per sempre. Ansioso di ridestarsi alla luce degli occhi che lo leggeranno. No, non è soltanto una pagina. E forse sta solo a te, fare in modo che non lo diventi. Tu che te la ritrovi davanti, tu che la sfogli distratto, tu che la osservi casualmente. Solo tu che la incontri puoi farla vivere o seppellirla, appallottolata in un cestino. Ma se le concedi una possibilità, se ti lasci attirare dal corso delle parole, e le insegui nel suo corso turbolento, fino alla fine, allora non potrà più essere una qualsiasi pagina scritta. Resterà per sempre qualcosa che ti ha scalfito il cuore. Forse solo di striscio, magari sfiorandolo appena, ma quel segno le lascerà sopravvivere per sempre. Quello sfregio avrà chiuso il cerchio, iniziato da un corpo e finito in un altro. Iniziato da un pensiero e finito in un brivido sottile. In una breve emozione. In uno spicciolo di tempo in cui, quelle parole non sono state una inutile pagina scritta. Adesso bruciala pure, dimenticala in uno scaffale polveroso di una buia soffitta. Puoi cancellarla o gettarla via. Puoi non leggerla più o usarla per incartare le uova. Ormai è troppo tardi, lei sopravvivrà per sempre.
Tu, smetti pure di affannarti, tesoro. Di scioglierti in gocce d’illusione, di piantare le unghie in quel muro di roccia, di anelare le tue ore in labirinti senza uscita. Perché, alla fine, questo è l’amore. Nient’altro che questo. Un fottuto labirinto senza uscita. L’amore perfetto non esiste. Certo, ce l’hanno saputo raccontare. La fantasia sognante degli scrittori, l’immaginazione senza limiti di romantici artisti, la finta vita in multicolor del cinema e le tortuose evoluzioni della mente umana appena si libera in uno spicchio di cielo. L’amore è solo uno schizzo sulla sabbia. Un cerchio nell’acqua. Un fiocco di neve sotto il sole. E ogni storia diventa delusione all’ombra di questo stereotipo. Come un pezzo di pane all’uscita di un ristorante. Ci si aspetta sempre di più e si pensa di averne il diritto. Con alle spalle le macerie di infinite relazioni uccise senza movente. Ma semplicemente sulla scorta di un sogno. Cavalcando un’utopia. Se solo potessi capire. L’amore. Questa parola densa e fumosa, che sa di tutto e di niente. Vanitosa e narcisa. Come questo bicchiere di vino rosso, corposo ed invitante, che si riempie ogni volta che lo vuoto. Amore è uno stormo di stracci sparsi nel pavimento, come sentinelle, intorno a lenzuola sudate. E’ uno sguardo in una fotografia che non smette mai di sorridere. Amore è un groviglio di emozioni invecchiate ma ancora palpitanti. E’ un telefono ostinato che non vuol saperne di squillare. Amore sono due occhi che fuggono dietro un finestrino. Lancette d’orologio che vanno troppo in fretta. Una canzone che non smette di tornare. Un numero scritto di fretta sul foglietto sopra il comodino. Lo sbuffo indispettito voltato dall’altra parte del letto. Amore è un fazzoletto di carta rinsecchito nel ciglio della strada. Una stella cadente che taglia in due il cielo dell’estate. La lama affilata delle parole superflue. Un bar dove ci si illude di affogare milioni di perché. Il rumore dei passi di un addio. Amore è una pizza su un prato. Braccia che ti stringono, diverse dalle mie. Una tenda scostata sul vetro dell’attesa. Paure che gocciolano sul cuscino. Il calore umido delle labbra sulla pelle. Tutto e niente. Tutto di quello che non ci si aspetta e nulla di quello che si pensava. Alla fine l’amore è solo questo. Un sogno impossibile che scende a compromessi.
E non illuderti di abbattermi. Puoi colpirmi, scalfirmi l’anima, sporcare di sangue le pareti di questa vita. Puoi lacerarmi il cuore e fare a brandelli ogni mia illusione, gettando i resti nell’acqua che scorre impietosa sotto il ponte. Inghiottita dal buio della notte. Nera come il cielo. Puoi spararmi a bruciapelo o prendermi alle spalle, puoi lasciare che la tua risata rimbombi lungo la scia delle mie lacrime. Puoi schiacciarmi la faccia nella melma delle tue bugie o gettarmi oltre il bordo del mondo, e lasciarmi sfracellare ai piedi della tua commiserazione. Puoi farmi quello che vuoi. Ma non riuscirai ad uccidermi. Non saprai annullarmi. Né farmi chiedere pietà. Traballante come questa luce al neon che mi ronza nella testa, ma non si spegne. Paziente come un ragno che non cessa di tessere le sue ragnatele in angoli scuri e silenziosi. Resto qui, rannicchiato nelle mie convinzioni, la rete cigola sotto il peso delle membra abbandonate, le palpebre stanche si abbassano e si alzano sempre con maggiore frequenza, nella loro lotta contro la paura del sonno. I piedi sono diventati insensibili pezzi di ossa e carne, morsi dal freddo. La tenda sospinta da un soffio di vento, si diverte a concedermi spiragli del cielo di fuori alternati alle incerte trasparenze del suo bianco sporco. Migliaia di pensieri mi passeggiano nella testa, come zampe d’insetti che picchiettano le meningi senza sosta. Istantanee sfuocate di giorni andati, divenute indelebili tracce nella memoria, come un ideale sentiero che guida i passi verso il passato. Bottiglie vuote come scheletri brillano nel pavimento. Ogni tanto mi accorgo del mio respiro nel silenzio, in un corso lento e costante a cui si finisce per abituarsi. A non farci caso. Eppure passa da lì il sottile cordone ombelicale che mi tiene in vita. I miei polmoni si nutrono di quell’aria. E per colpa di questo invisibile meccanismo, sono qui. A guadagnarmi questa vita di sputi e carezze. Di fogna e mare. Di sale e miele. E non sai mai cosa aspettarti. Con quell’impressione amara che ci sia sempre più sale e di aver scordato il sapore del miele. Fammi quello che vuoi. Cosa vuoi che importi oramai…ho ancora così poco sangue da gocciolare nel pavimento, così poca pelle senza ferite, così poca birra nella bottiglia. Colpiscimi, scalfiscimi, lacerami la carne, schiacciami, sparami, bruciami ma non mi ucciderai. Non illuderti. Non ci riuscirai. Fino all’ultima goccia di sangue, fino all’ultimo palmo di pelle, fino al prossimo supermercato.


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