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viuienza

nome:

antonio
eta': 45
Citta'.: somma vesuviana
Descrizione: LA STORIA del ju jutsu

CENNI STORICI

La lotta senza armi è antica quanto l’uomo ed essa si codifica ai primi albori della civiltà.
Anche se la prima scuola registrata in GIAPPONE è la TAKENOUCHI RYU del 1536 e se la parola JU JUTSU
appare pressappoco nella stessa epoca, le scuole di combattimento senza armi prosperavano da tempi
molto più antichi nel segreto delle grandi famiglie nobili e nelle roccaforti dei SAMURAI e venivano
impiegati nomi come YAWARA, WA-JITSU, TORITE, KUMYUCHI, KOSHI-NO-MAWARI.
Nel KOSHIRY, il secondo libro nipponico che conosciamo, commissionato dall’imperatrice GEMMI
allo scrittore OPONO YASUMARU il 18 settembre 711, è descritto, tra il campione scelto dalla divinità
AMATERASU (antenata del primo imperatore) e il guerriero ribelle TAKEMINAKATA NO KAMI, un duello che
avviene senza armi.
L’antico testo scintoista TAKANOGAVI racconta che uomini deificati di nome KASHIMA e KADORI,
domarono una rivolta interna senza fare uso delle armi.
Il NIHONSHOKI, cronaca del GIAPPONE, scritta nel 720 riferisce di un BUGEI CHIKARA KURABE
( combattimento-prova di forza) che vide vincere NOMI NOSUKUME, campione della corte contro
TOMATETSU HAYATO e sono ben descritti gli atemi e le proiezioni impiegate.
Nel periodo delle guerre civili prende piede il YOROI-KUMYUCHI, tecnica di combattimento con l’armatura
e su terreno vario.
Quello che conosciamo come ju jutsu antico si sviluppa grandemente sotto la pace dei TOKUGAWA
dal 1600 in poi. Oggi si modifica ancora nel senso di auto difesa, adattandosi ai temi ed alle esigenze
moderne.

Definizione di JU JUTSU

La lunga storia e la complessa tradizione dell’arte giapponese del combattimento si concretano in
una varietà di forme, metodi ed armi, ognuno dei quali costituisce una specializzazione particolare
di quest’arte. Ogni specializzazione è conosciuta a sua volta come "jutsu", una parola che può venire
tradotta come "arte" o "tecnica" e che indica il modo o i modi particolari in cui vengano compiute certe
azioni. Storicamente, ogni arte, o metodo, ha sviluppato certe procedure o modelli che si distinguono
dalle procedure e dai modelli delle altre. Nel contesto dell’arte marziale giapponese, perciò, una
specializzazione consiste di un metodo particolare e sistematico di usare un’arma specifica.
Molto spesso, una specializzazione veniva identificata con il nome dell’arma usata dai suoi praticanti.
Un esempio di tale sistema di tale specializzazione può essere KEN JUTSU, cioè l’arte (jutsu) della spada
(ken). Tuttavia, un metodo di combattimento poteva essere identificato anche dal modo particolare,
funzionale di usare un’arma per conseguire la resa dell’avversario. Tra le specializzazioni dell’arte del
combattimento a mani nude, per esempio, ju jutsu identifica l’arte "jutsu" dell’elasticità (ju), cioè l’arte
di usare l’elasticità in un certo modo tecnico per sconfiggere un avversario. Spesso, una
specializzazione principale di combattimento produceva delle sotto specializzazioni, molte delle
quali, mediante un affinamento costante, miglioravano in effetti il metodo originale, al punto di
surrogarlo interamente, diventando cosi specializzazioni indipendenti. In tal caso, la sotto
specializzazione veniva generalmente identificata con il nome del suo elemento principale. Per
esempio KEN JUTSU, l’arte delle spada, era ulteriormente raffinata in una specializzazione mortale
conosciuta come iaijutsu, l’arte (jutsu) di sguainare (iai) la spada e di colpire simultaneamente; era
inoltre la matrice di nito-kenjutsu, l’arte (jutsu) di schermare con due (nito) spade (ken). Infine, una
specializzazione poteva essere identificata con il nome del maestro che aveva ideato un suo
stile particolare di combattimento, o dal nome della scuola in cui tale stile veniva insegnato.
Le specializzazioni dell’arte marziale giapponese che hanno un interesse particolare sono quelle che
furono sviluppate e portate al grado più elevato di perfezione durante il periodo feudale della storia
giapponese. Tale periodo abbraccia approssimativamente nove secoli, a partire dalla fine del nono e
dall’inizio del decimo fino al decimo ottavo e, più esattamente, fino all’anno della restaurazione Meiji,
quando l’età feudale fu proclamata ufficialmente chiusa.

IL JU JUTSU
Il termine JU-JUTSU significa, letteralmente, tecnica o arte(jutsu) dell’agilità, della flessibilità,
dell’elasticità, della gentilezza ( tutti significati dell’ideogramma ju). Tutti questi termini, tuttavia,
rappresentano un principio singolo, un modo generale di applicare la tecnica, di usare il corpo
umano come un’arma nel combattimento senz’armi. Secondo tale principio, si potrebbero applicare
varie tecniche: e infatti ognuna delle tante scuole i cui nomi sono ancora oggi famosi interpretava
tale principio in modo estremamente individuale e tecnicamente differenziato, un modo che
ognuna di esse si sforzava mantenere rigorosamente segreto e che con il tempo divenne una
caratteristica saliente di quella particolare scuola. Secondo certe autorità, l’arte comparve durante il
secolo decimo sesto, e viene ricordata in testi che si occupano di arti marziali, come il Bugei Shogen e il
Kempo Hisho.

Il maestro Kano Jigoro
Il maestro Kano Jigoro, fondatore del Judo ( una disciplina basata anch’essa primariamente, se non
interamente, su questo principio ) ha fatto risalire la nascita del JU JUTSU al periodo tra il 1600 e
il 1650. Nella sua applicazione alle strategie concrete del combattimento, il principio del ju
consisteva nell’adattarsi flessibilmente e con intelligenza alle manovre strategiche di un avversario, per
fruttare tali manovre e la forza con cui venivano eseguite al fine di soggiogare l’avversario stesso o
almeno di neutralizzarne l’attacco.
Il problema vitale era sempre: "funziona…….è efficace in combattimento?" La risposta veniva data
concretamente dai risultati dei duelli individuali e dalle competizioni pubbliche tra i membri delle varie
scuole.
" A quei tempi gli incontri erano talmente brutali, e non di rado costavano la vita ai partecipanti. Perciò,
ogni volta che andavo a prendere parte ad uno di essi, dicevo invariabilmente addio ai miei genitori,
poiché non ero affatto sicuro di tornare vivo. Le competizioni avevano un carattere cosi drastico che
erano pochissimi i trucchi vietati, e non esitavano a ricorrere ai metodi più pericolosi per sopraffare un
avversario."
Cosi raccontava, nel periodo Meiji, Yokoyama Sakujiro, " forse il più grande esponente pratico delle
lotta senz’armi che il GIAPPONE avesse prodotto a quei tempi".

IL JU
Il principio del JU è implicito in tutti i metodi classici del BUJUTSU e fu adottato anche dai padri delle
discipline BUDO.
Agendo secondo il JU, il guerriero classico era in grado d intercettare e di controllare temporaneamente
la lama del nemico che lo attaccava, e quindi di contrattaccare all’istante con una forza sufficientemente
potente da fendere l’armatura e uccidere l’avversario. Lo stesso principio del JU consentiva, se
disarmati, di far perdere l’equilibrio al nemico e proiettarlo a terra.
Termini come JU JUTSU e YAWARA fecero del JU un principio universale, valido per tutti i metodi
catalogati sotto queste parole. Il JU era radicato nel concetto di duttilità e flessibilità, ciò che si
palesava in un contesto sia mentale che fisico. Per applicare il principio del JU, il praticante
doveva essere in grado, mentalmente e fisicamente, di adattarsi a qualunque situazione potesse imporgli
l’avversario.
Si tratta di due aspetti del principio del JU costantemente attivi, intercambiabili e inseparabili. Il primo è
quello del cedere ed è manifesto nell’azione del praticante che accetta la forza dell’attacco del nemico,
invece di contrastarlo con una forza uguale o maggiore, quando ciò può rivelarsi proficuo. Accettare
la forza del nemico intercettandola e parandola senza opporvisi direttamente è senza dubbio un
atteggiamento economico in termini di energia. Ma la tecnica per mezzo della quale viene dissipata la
forza del nemico può essere altrettanto vigorosa quanto l’azione originaria dell’avversario.
A questo punto, però, il principio del JU è incompleto, giacché cedere non rappresenta che un
neutralizzare la forza del nemico. Nel concedere spazio alla forza di attacco del nemico, occorre applicare
immediatamente un azione che frutti l’avversario, occupato ad attaccare, sotto forma di un contrattacco.
Questo secondo aspetto del principio del JU tiene conto di quelle situazioni in cui non è possibile
cedere, giacche questo porterebbe al totale fallimento. In casi del genere, la "resistenza" rappresenta
un atteggiamento giustificato, ma l’opposizione all’azione del nemico è solo temporanea e viene seguita
immediatamente da un’altra azione fondata sul primo aspetto del JU, quello di "cedere". Non v’è
ragione di sostenere che, nell’applicazione del JU, il primo aspetto vada seguito sempre per primo di
fronte all’attacco del nemico. Il principio del JU, infatti, si basa sulla costante azione del cedere e del
resistere, ed è proprio questo che conferisce ai metodi giapponesi di combattimento quella dinamicità che li
caratterizza.
Secondo Iso Mataemon, appartenente al TENJIN SHIN’YO RYU "L’impiego della potenza (forza
fisica) nel jujitsu è assolutamente necessaria. Ma è solo quando tale potenza non viene utilizzata in
eccesso, che supera la prova del principio del JU. Occorre rammentare, comunque, che vi è anche un
altro aspetto dell’uso della potenza. Dalle prime fasi della crescita di un allievo nel jujitsu, questi non
deve mai trascurare che fare assegnamento sulla forza fisica può rivelarsi sbagliato, in quanto
ostacolerebbe i suoi progressi verso il conseguimento dell’abilità tecnica. Quando l’allievo avrà sviluppato
una tecnica degna di credito, tuttavia, l’uso della potenza sarà bene accetto, nonché necessario per
un’azione efficace contro l’avversario. In questo senso il JUJUTSU è "duttile" e "flessibile".



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Pagina visitata 1255 volte, ultimo aggiornamento : 24/07/2006 - 15.45
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