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I fondamentalisti dell’economia

di Zygmunt Bauman, da Repubblica, 21 settembre 2011

All'epoca dell'Illuminismo, di Bacone, Cartesio o Hegel, in nessun luogo della terra il livello di vita era più che doppio rispetto a quello delle aree più povere. Oggi il paese più ricco, il Qatar, vanta un reddito pro capite 428 volte maggiore di quello del paese più povero, lo Zimbabwe. E si tratta, non dimentichiamolo, di paragoni tra valori medi, che ricordano la proverbiale statistica dei due polli. Il tenace persistere della povertà su un pianeta travagliato dal fondamentalismo della crescita economica è più che sufficiente a costringere le persone ragionevoli a fare una pausa di riflessione sulle vittime collaterali dell'«andamento delle operazioni».

L'abisso sempre più profondo che separa chi è povero e senza prospettive dal mondo opulento, ottimista e rumoroso – un abisso già oggi superabile solo dagli arrampicatori più energici e privi di scrupoli – è un'altra evidente ragione di grande preoccupazione. Come avvertono gli autori dell'articolo citato, se l'armamentario sempre più raro, scarso e inaccessibile che occorre per sopravvivere e condurre una vita accettabile diverrà oggetto di uno scontro all'ultimo sangue tra chi ne è abbondantemente provvisto e gli indigenti abbandonati a se stessi, la principale vittima della crescente disuguaglianza sarà la democrazia. Ma c'è anche un'altra ragione di allarme, non meno grave. I crescenti livelli di opulenza si traducono in crescenti livelli di consumo; del resto, arricchirsi è un valore tanto desiderato solo in quanto aiuta a migliorare la qualità della vita, e «migliorare la vita» (o almeno renderla un po' meno insoddisfacente) significa, nel gergo degli adepti della chiesa della crescita economica, ormai diffusa su tutto il pianeta, «consumare di più». I seguaci di questo credo fondamentalista sono convinti che tutte le strade della redenzione, della salvezza, della grazia divina e secolare e della felicità (sia immediata che eterna) passino per i negozi. E più si riempiono gli scaffali dei negozi che attendono di essere svuotati dai cercatori di felicità, più si svuota la Terra, l'unico contenitore/produttore delle risorse (materie prime ed energia) che occorrono per riempire nuovamente i negozi: una verità confermata e ribadita quotidianamente dalla scienza, ma (secondo uno studio recente) recisamente negata nel 53 per cento degli spazi dedicati al tema della «sostenibilità» dalla stampa americana, e trascurata o taciuta negli altri casi.

Quello che viene ignorato, in questo silenzio assordante che ottenebra e deresponsabilizza, è l'avvertimento lanciato due anni fa da Tim Jackson nel libro Prosperità senza crescita: entro la fine di questo secolo «i nostri figli e nipoti dovranno sopravvivere in un ambiente dal clima ostile e povero di risorse, tra distruzione degli habitat, decimazione delle specie, scarsità di cibo, migrazioni di massa e inevitabili guerre». Il nostro consumo, alimentato dal debito e alacremente istigato/ assistito/amplificato dalle autorità costituite, «è insostenibile dal punto di vista ecologico, problematico da quello sociale e instabile da quello economico». Un'altra delle osservazioni raggelanti di Jackson è che in uno scenario sociale come il nostro, in cui un quinto della popolazione mondiale gode del 74 per cento del reddito annuale di tutto il pianeta, mentre il quinto più povero del mondo deve accontentarsi del 2 per cento, la diffusa tendenza a giustificare le devastazioni provocate dalle politiche di sviluppo economico richiamandosi alla nobile esigenza di superare la povertà non è altro che un atto di ipocrisia e un'offesa alla ragione: e anche questa osservazione è stata pressoché universalmente ignorata dai canali d'informazione più popolari (ed efficaci), o nel migliore dei casi è stata relegata alle pagine, e fasce orarie, notoriamente dedicate a ospitare e dare spazio a voci abituate e rassegnate a predicare nel deserto.

Già nel 1990, una ventina d'anni prima del volume di Jackson, in Governare i beni collettivi Elinor Ostrom aveva avvertito che la convinzione propagandata senza sosta secondo cui le persone sono naturalmente portate a ricercare profitti di breve termine e ad agire in base al principio «ognun per sé e Dio per tutti»non regge alla prova dei fatti. La conclusione dello studio di Ostrom sulle imprese locali che operano su piccola scala è molto diversa: nell'ambito di una comunità le persone tendono a prendere decisioni che non mirano solo al profitto. È tempo di chiedersi: quelle forme di «vita in comunità» che la maggior parte di noi conosce unicamente attraverso le ricerche etnografiche sulle poche nicchie oggi rimaste da epoche passate, «superate e arretrate», sono davvero qualcosa di irrevocabilmente concluso? O, forse, sta per emergere la verità di una visione alternativa della storia (e con essa di una concezione alternativa del "progresso": che cioè la rincorsa alla felicità è solo un episodio, e non un balzo in avanti irreversibile e irrevocabile, ed è stata/è/si rivelerà, sul piano pratico, una semplice deviazione una tantum, intrinsecamente e inevitabilmente temporanea?

Questo brano è un estratto dalla nuova prefazione di Bauman alla nuova edizione di "Modernità liquidità" in uscita per Laterza.

( 27/9/2011 08:56:51 - N. 377435 )


Fantascienza

Secondo me politica è soprattutto opposizione. L’idea che ministri, sottosegretari, presidenti di commissione etc debbano per forza far parte della maggioranza, anche se non capiscono niente di quello che dovrebbero amministrare, mi pare drammatica: Castelli e Mastella ministri della Giustizia (ma almeno Castelli era intelligente) sono un monumento ad una concezione politica propria delle fazioni e non dei partiti. Così m’immagino che, in un panorama politico in cui le idee dell’avversario non sono sempre sbagliate e quelle dell’alleato sempre giuste, fare opposizione permetterebbe a persone preparate, intelligenti e laiche di decidere in base ai valori e ai contenuti; e al diavolo gli schieramenti.

Nell’arcinota lettera che De Magistris, Alfano e Cavalli hanno scritto a Di Pietro c’è una frase che mi ha fatto pensare: “ … Chi spera che l’Idv torni un partito del 4 % per poterlo amministrare come meglio crede…” Delle insinuazioni sull’amministrazione del partito ho già scritto. Ma è la storia del 4 % che mi ha fatto riflettere. Dunque, Idv deve diventare un grande partito, 25, 30% e forse più. Sarebbe bellissimo, li facciamo tutti a strisce. Come si fa? Con tanti voti. E come si fa ad avere tanti voti? Qui cominciano i problemi.

Nei miei giri per convegni mi trovo spesso a dividere la scena con altri oratori. Qualche volta professionisti, giornalisti, divulgatori di conoscenze specialistiche, elaboratori di opinioni, giuste o sbagliate, ma motivate con intelligenza e pacatezza. Sovente però c’è gente che mi lascia perplesso: sanno poco, esperienze professionali modeste, cultura approssimativa. In compenso grande attivismo, luoghi comuni, tono di voce elevato, slogan di una superficialità irritante. Riscuotono grande successo: parlano alle pance, non alle teste. E naturalmente è proprio per questo che sono un po’ dappertutto, perché portano consenso. Così la prima categoria di candidati che potrebbe portare Idv sopra la soglia del 4 % è costituita da persone come queste.

Poi c’è un’altra categoria: i professionisti della politica, gente che ne ha fatto un mestiere e che, in vari modi, spesso con promesse illecite o più direttamente con denaro, ha accumulato pacchetti di voti. Per loro un partito vale l’altro: esibiscono la loro dote e si offrono, come al mercato. Anche questi servono molto per raggiungere soglie di consenso elevate.

Non c’è dubbio che, imbarcando gli uni e gli altri, Idv potrebbe diventare un partito che “conta” e aspirare a posti di governo. Insomma potrebbe entrare nel giro grosso. La domanda è: poi, di questa gente, che cosa ne fa? Nella migliore delle ipotesi è inutile, nella peggiore (ma probabile) pericolosa. Così mi è venuto in mente che, se Idv “torna un partito del 4 %”, non è che poi sia necessariamente un male. Niente alleanze, niente schieramenti, oggi si vota con il Pd, domani si appoggia B&C (mi viene in mente solo la legge sullo stalking). Ma insomma, un partito di gente che fa politica come servizio (lo so, mi ripeto, ma tutto comincia da qui) non è proprio quello che serve al paese?

Solo che qui cominciano altri problemi. Perché, se cambia la legge elettorale e riprende vigore il sistema delle preferenze, le persone di cui ho parlato (male) andranno a nozze; egemonizzeranno qualsiasi partito. Chi non voterà gente che fa promesse illecite (e magari le mantiene) di appalti, modifiche ai piani regolatori, case e lavoro? E chi non voterà persone che straparlano di precariato, lotta alla mafia, aumento delle pensioni, banche responsabili della crisi? Che poi lo straparlatorenon abbia la minima idea di quello che dice purtroppo per molti cittadini è irrilevante.

A questa gente si aggiungeranno i big dei partiti, quelli dall’elezione sicura per via del voto di bandiera. Con questo sistema, di persone serie ai partiti ne arriveranno poche. Allora meglio il “porcellum”? È difficile decidere, le implicazioni negative sono tante, soprattutto per gli abusi che permette: l’era delle veline in Parlamento è cominciata così. Certo che un partito con una classe dirigente seria, onesta e preparata, che riempia le sue liste di “gente che fa politica come servizio” (non trovo un altro modo di dirlo), allora… Però il problema a questo punto diventa: e chi lo vota?

Magari c’è una terza soluzione. Che è stata immaginata da uno scrittore di fantascienza, Robert Heinlein. Possono votare e assumere incarichi pubblici di alto livello (si chiama elettorato attivo e passivo) solo le persone che hanno lavorato gratuitamente (e onestamente) per un certo numero di anni al servizio dello Stato. Gli altri, liberi di godersi la vita; ma non si impiccino di politica. Fantascienza, appunto. Però…
dal BLOG di Bruno Tinti
( 3/6/2011 09:17:53 - N. 377174 )


Basta con l'Italia dei 'casciabal'


di Giorgio Bocca

I cacciaballe, in milanese. Insomma, i mentitori professionali che finora hanno irretito metà del nostro Paese. Ma che adesso iniziano ad avere paura, perché l'altra metà si è stufata. E può davvero mandarli a casa(23 maggio 2011)



In televisione di questi tempi appare un italiano di mezza età, né bello né brutto, normale. è il sindaco di Manduria, un paesino meridionale dove il governo ha improvvisato un centro raccolta dei profughi in arrivo dall'Africa. "Vengo a sapere ora che ne stanno arrivando altri 1.200. Nessuno mi ha avvisato", dice, "vadano tutti in malora, io mi tolgo la sciarpa di sindaco e se la vedano loro".

Dice che non lo hanno avvisato ma che qualcosa farà per trovare ai 1.200 un posto dove dormire e qualcosa da mangiare. In questo senso il nostro Paese è veramente evangelico: il buon Dio troverà il modo di sfamare gli affamati e guarire gli ammalati, ma il buon Dio a guardare bene è poi la povera gente che supplisce ai furbi e ai profittatori e dà una mano ai bisognosi. Cercando di sopravvivere con l'oblio dei perdenti e delle vittime, con la mansuetudine dei poveri e dei sofferenti.

L'uomo giusto per governare questo Paese è Silvio Berlusconi da Arcore Brianza. Lui ha capito subito, da sempre, che gli italiani si governano così: a parole, a vane promesse e bugie colossali. Arriva a Lampedusa gremita di profughi affamati e feriti e annuncia che comprerà una villa. Poi si corregge. Non l'ha comprata perché attorno c'è troppo rumore di miseria e di bisogno. Meglio una sul lago di Como, anche se non ci metterà mai piede, come in quella che ha acquistato il mese scorso. I sudditi non lo cacciano a pedate, continuano a votarlo, i suoi figli si innamorano dei calciatori, appaiono nelle cronache mondane e negli elenchi dei miliardari, invidiati dai più e dunque esemplari in un Paese di pazzi e di mentecatti.

Davvero un Paese difficile da raccontare e spiegare. Da me vengono spesso dei giornalisti stranieri: in sessanta e passa anni di giornalismo mi sono fatto la fama di conoscitore di questo bizzarro Paese, e siccome ho conosciuto le difficoltà dei cronisti, ricevo tutti, parlo con tutti. Ma di che cosa? Di un Paese, di un popolo, di una nazione che più la conosci e meno sai dire com'è fatta, come campa, perché stia in piedi. Dicono quelli che la conoscono: l'Italia è un paese dove la metà della gente tiene in piedi quello che l'altra metà sta rovinando, distruggendo, dove la sinistra, per dire la parte riformista, indulge al malgoverno e ai peccati della destra pigra e profittatrice.

Vengono colleghi e curiosi di ogni paese, si siedono davanti a me nel mio studio e mi chiedono: che Paese è questo che sta andando alla rovina, come appare da molti segni, per poi salvarsi per il rotto della cuffia come spesso gli capita? Cerco di rispondere, ma ho scarsa convinzione. Anche se mi occupo di questo balordo Paese da tanti anni, so di non poter prevedere, di non poter garantire, di aspettarmi solo e sempre che la metà degli italiani buoni ripari ciò che l'altra metà ha ancora una volta distrutto. Forse se il duce non avesse compiuto l'errore di entrare in una guerra più grande di noi saremmo ancora qui a vivere di speranze e di menzogne consolatrici, di sabati fascisti e di tutti al mare, di MinCulPop, ministero della cultura popolare, miniera di notizie ottimiste e false, e di "8 milioni di baionette" scambiate per immagine di potenza e non di arretratezza.

Arrivano nel mio studio i colleghi italiani e stranieri che vengono da me perché ho fama di occuparmi da settant'anni di ciò che va e di ciò che non va in questa terra da pipe, come la chiamavano ai tempi in cui la nostra radica era famosa nel mondo. Il nostro segreto? Il più antico del mondo: "Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto", oppure: "Chi è morto giace e chi è vivo si dà pace". Il Silvio da Arcore, l'ultimo dei nostri duci è, come gli altri prima di lui, un mentitore a prova di bomba, uno che ha capito dalla nascita che questo è il Paese dei grandi "casciabal" (ballisti in milanese). Chi ha detto che "la pubblicità è l'anima del commercio"? Non solo l'anima, ma la sostanza, la pratica, l'essenza. La metà dei casciabal comanda e fa danni e l'altra metà di volenterosi ripara. Che altro c'è da capire? Forse una cosa: perché mai la metà dei volenterosi non si stanca, una buona volta?


( 24/5/2011 23:42:34 - N. 377154 )


L’ennesima legge illegittima e razzista

Con sentenza n. 249 del 5 luglio 2010, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittime le norme del c.d. pacchetto sicurezza, che prevedevano un aumento di pena per chi avesse commesso un reato «mentre si trovava illegalmente sul territorio nazionale».

Le norme che, in sostanza, punivano diversamente gli autori dello stesso reato, punendo più gravemente chi era “clandestino”.

L’incostituzionalità di queste norme era apparsa immediatamente evidente e in tanti si erano e ci eravamo spesi per illustrarla e chiedere, come spesso accaduto invano di questi tempi, al Presidente della Repubblica di rimandarle alle Camere con l’invito a riflettere sulla loro evidente e clamorosa illegittimità e, permettetemi l’espressione, “disonestà”.

Norme contemporaneamente illegali (questo è una norma che viola la Costituzione), immorali, razziste, beceramente propagandiste, disoneste.

Nei prossimi giorni proverò a esporre (magari dividendo il ragionamento in diversi articoli, per renderlo più commestibile) le ragioni per le quali uno dei crimini più gravi della politica e della cultura di questi anni sia l’avere fatto sì che il potere in Italia si senta e venga ritenuto padrone e non suddito della legge.

In questi anni di tradimento e assassinio del sogno democratico, del sogno di costruire – dopo l’esperienza del fascismo – un paese davvero fondato sull’uguaglianza dei cittadini e il rispetto dei diritti fondamentali, si è passati dall’idea centrale della rivoluzione francese, per la quale tutti e anche i governanti sono soggetti alla legge, a quella per la quale la legge non è un valore in sé, ma uno strumento e non uno strumento dei popoli, ma uno strumento del potere.

Sicché chi è al potere non è ritenuto obbligato a fare le leggi più giuste possibili, ma può farsi le leggi che vuole e può fare addirittura in modo di non essere neppure soggetto alle leggi da lui stesso fatte.

La negazione assoluta della democrazia e il ritorno ai prìncipi, ai faraoni, a Mussolini e Stalin, a Bokassa.

Contro le sentenze della Corte Costituzionale siamo stati costretti a subire una vergognosa opera di “propaganda” (nel senso più vile e spregevole di questa parola), consistente nel sostenere che le sentenze della Corte sarebbero “politiche”. “Comuniste”.

Sembra tristemente evidente, invece, che le questioni affrontate dalla Corte con le sentenze vilipese non sono né di destra né di sinistra.

La “politica” non c’entra. C’entrano il diritto, la Costituzione, i principi di civiltà comunemente riconosciuti nei paesi cosiddetti civili.

Insomma, discriminare i neri o i clandestini non è essere “di destra”, ma solo, più banalmente e tristemente, essere dei merdosi razzisti.

Come favorire e fare assolvere i criminali solo perché potenti e amici di altri potenti non è “di destra”, ma banalmente criminale.

E ciò che è molto grave e terribilmente nocivo è che le leggi illegittime fatte in questo modo non solo hanno discriminato i neri e gli stranieri e hanno favorito i criminali in colletto bianco, ma hanno creato una cultura e un sentimento popolare molto diffusi, che rendono il nostro Paese un paese razzista e disonesto.

I fenomeni culturali, sociali, economici hanno dinamiche proprie molto forti, a volte anche violente. Il razzismo, i pregiudizi, l’arroganza del potere, la sete di ricchezza a tutti i costi, una volta innescate, non si disinnescano a comando né in tempi brevi. I padroni di questo Paese hanno sparso virus dei quali non hanno l’antidoto. Virus letali che distruggono la verità, i valori, la coesione sociale, il bene comune.

di Felice Lima
da http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/10/lennesima-legge-illegittima-e-razzista/38474


( 10/7/2010 17:22:56 - N. 376353 )


Eminenza bigia

Il cardinale Sepe, indagato per corruzione: “Dopo calvario c’è resurrezione”.
In realtà, prima della resurrezione ci sarebbero i chiodi nelle mani e nei piedi.

Sepe avrebbe ricevuto 2,5 milioni di euro di finanziamentiper un restauro mai completato.
Finiti i tempi in cui il suo capo buttava giù un tempio e lo riedificava in soli 3 giorni.

I giudici indagano sul perché il restauro di uno stabile extraterritoriale di proprietà del Vaticano avrebbe ricevuto finanziamenti pubblici.
A volte l’ingenuità dei giudici è commovente.

La preoccupazione del Papa è che ci vada di mezzo l’immagine pubblica del dicastero.
Non poteva molestare un bambino come tutti gli altri?

La Santa Sede dichiara: “Il cardinale collaborerà nei limiti del Concordato”.
Parlerà solo se interrogato dallo Spirito Santo.


( 21/6/2010 19:19:34 - N. 376307 )

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