Blog di Alberto M.

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Batte la pioggia irosa tanto da sembrare di sentirla sulla pelle, scavarti le ossa. Il cielo si squarcia al di là delle stelle, tutto è fragore tutto sembra venire giù: il cielo, le stupide stelle, le solite facce della gente delusa di sabato sera. Claudia è lì in mezzo a loro, per mia fortuna, sempre al riparo dalla verità e dal calore umano; è stata l’ennesimo bluff di una vita che sembra divertirsi a fregarti le ultime energie rimaste portandoti amori sbagliati, scrittori non ancora del tutto impazziti, amici lontani proprio quando hai più bisogno di loro. Non c’è più religione, nemmeno nelle chiese, che adesso servono ad imbonire turisti annoiati e a-m-a-b-i-l-i conoscitori d’opere d’arte. Il sacro è scomparso dappertutto mentre il profano non è mai del tutto tale. In questa notte di quasi estate l’unica verità che resta è il pensiero d’un uomo anziano fermo ai lati della strada, ritto e con lo sguardo insolente, non curante della pioggia; mi avvicino a lui spingendo queste ruote, arrivo all’altezza dei suoi fianchi cercando di non guardarlo, non guardarlo negli occhi; e mentre dal cielo cadono migliaia di parole bagnate, la sua voce s’insinua nella mia testa, le sue parole pesano e provo a dimenticarle: non te l’hanno ancora detto? La Coscienza è morta.
Non ho paura di quello che succederà. Ma sono terrorizzato al pensiero che qualcosa mai potrà succedere. Ho avuto così tante donne sbagliate, che ora quella giusta non la riconoscerei nemmeno se si mettesse un cartello sul petto, con su scritto “Eccomi Alfredo”. Ma forse la vera paura dalla quale rifuggo non è tanto questa, quanto piuttosto il pensiero di non avere più niente da darle, quando arriverà. Lasciarmi sorprendere senza pelle, con ossa e cuore ben in vista, che basta passarmi accanto per avermi vissuto. Non ci sarà più niente da scoprire, più niente di cui sorprendersi. Mi sento come qualcuno a cui stiano portando via tutto, lentamente, volta dopo volta. Ogni scrittore, ogni donna, ogni viaggio dal quale torno, sembrano pretendere pezzi di me, mancanze alle quali ormai non riesco più a far fronte. Non so più farmi spazio, rubare aria e smorfie e carezze e notizie. Tutto quello che sono, lo sono già stato. Non posso più diventare niente, chiedete di me in giro, se mi volete. Andate a casa di Claudia, telefonate a Sara, bevete una birra con Bukowski morto, fatevi un giro a Bruges, se mi cercate. Mi sento come se non fossi più qui da tantissimo tempo, ormai. E se il mio cuore non mente, lo specchio sì, mostrandomi qualcosa che ricordo ma che non riconosco più. Riesco ancora a immaginare però il sapore che ha una fica nella mia bocca. Immagino le cosce tornite di una donna semplice, immagino di baciarle a lungo, di dissetarmi con del vino alla fine di un deserto. Forse la fica resta l’ultimo passaporto per il paradiso, e stanotte sento di dovermi abbandonare a lei. Ogni fica di ogni donna che ha voluto concedermela, diventa mezzo inferno per entrambi. Meno solitudine, meno inganno, meno angoscia, qualche attimo di speranza. In fondo la scelta è stata anche mia, anche mia la recita della commedia umana, di questo disarmante modo di vivere. Come chi non ha niente da fare, scende di casa e s’innamora, anche io ho pagato il prezzo per cercare di avere tutto: verità e amore hanno bisogno di stare lontani. Innamorarmi delle donne che ho avuto, in fondo, è stato come cercare di vendere qualcosa ad un ebreo: ho finito per comprare ciò che era già mio.
Ieri ero un pazzo in mezzo a gente pazza. Sono andato sospinto dalla speranza alla presentazione di un libro di ricordi di vita o di guerra o forse di entrambi, scritto da un’amica del mio amico Vecchio. Soltanto che io ero sudato e la testa mi girava così tanto da farmi sperare di svenire e svegliarmi magari dopo qualche ora. Incastonati in prossimità dell’oro di Napoli, tutti avevamo un motivo per essere lì. Il mio era di conoscere finalmente il vecchio di persona, provare a rubare da lui attimi di speranza, di sorrisi, qualche regola, se mai ce ne siano. Quel vecchio così lungo e così magro mi ha fatto sorridere appena l’ho visto. Ho avuto paura potesse spezzarsi da un momento all’altro, malgrado si vedesse fosse di scorza dura e abituata alle intemperie. Mi sono precipitato da lui per avere qualcosa, ma poi ho capito che quelli come lui ce l’hanno fatta perché non ti lasciano niente. Rubano da ogni istante, e se vuoi provare a riprenderti qualcosa, beh, devi leggere uno dei suoi 23 libri, magari per andare sul sicuro proprio quello che puzza di Nobel. Forse è stata soltanto la voglia di un giovane uomo come me di sentirsi per una volta sulla strada giusta; così che quando il vecchio ha scritto i suoi apprezzamenti alle mie parole, alla mia scrittura, ho lasciato che i sogni facessero il resto. E allora mi sono precipitato ieri, ho portato con me ossa e sangue e mente lucida. Poi il caldo, poi la sua nostalgia. Poi due ore a sperare che finisse, ma non finiva mai. Qualche strambo episodio successo permette al ricordo d’acuirsi, che altrimenti sarebbe già bello che morto. Perché è stato ieri, ma è stata anche un’agonia, lì dentro. È stato come amare Claudia; come svegliarsi certe mattine con i reni in fiamme, con dolori atroci lungo tutta la fascia lombare; come il rompersi di queste ruote fra i vicoli di Amsterdam; come quando capii che quel medico che disse “non credo ce la farà” proprio mentre io passavo, stava parlando di me. Poi ce l’ho fatta però, e poi le due ore sono passate e i miei reni reggono ancora qualche bevuta e le mani di Claudia che mi accudiscono e mi accarezzano non le dimenticherò mai finché campo.
L’ho aspettato alla fine della presentazione, il vecchio. Da lontano gli vedevo il sorriso riflettersi nelle facce adoranti di qualche stupido lettore. Erano tutti vogliosi di succhiargli quel piccolo e tenero cazzo che si ritrova. Era giusto così. Era giusto così, per tutti quegli anni passati a scrivere, anche grandi cose. Gli anni non fanno un uomo, ma di certo qualche ottimo libro è un buon tentativo. E così lo guardavo, sorridendo anche io del suo piacere. Una coppia di facce vuote lo stava invitando non so a quale altra cazzata culturale, da celebrazione, da facciamoci le seghe a vicenda. Il vecchio, mi parve di sentire, rispose con non celato gaudio mentre io aspettavo il mio turno. Mi sono avvicinato al Re ma l’udienza è durata poco, giusto il tempo di stabilire che sì, avremo pubblicato delle cose insieme; che sì, mi ringraziava per avergli portato il mio romanzo, gratis; che sì, forse un giorno avremo bevuto del vino assieme; che sì, ci sono delle volte in cui gli uomini si sentono piccoli piccoli, mentre altri sembrano morire di nostalgia ricordando vecchie battaglie a cui sembrano interessarsi tutti, ma che nessuno potrà mai capire.
Come del resto proprio come il vecchio mi ha detto prima di lasciarmi andare: Alfrè, ma tu sei un’altra cosa. La tua vita è tutta un’altra cosa.
Mi sa che aveva ragione. Mi sa che dovrò farmene una ragione.
( 21/6/2009 05:27:26 - N. 371827 )


"E intanto le tue dita
tessevano parole
Così senza fatica
e senza far rumore"

( 19/6/2009 12:13:51 - N. 371774 )

Imperitura. (come ricordarsi di valere qualcosa)



È sempre la stessa storia: grassoni in fila pure d'estate, con il caldo massacrante di luglio, aspettano i loro dolci, da portare nelle loro sale da pranzo, per poi sceglierli con estrema cura dopo il pasto spropositato della domenica. Grassoni sudati senz'occhi da una parte, mentre io me ne sto zitto e buono al mio tavolino, in attesa del mio caffè e della mia prima sigaretta. Dall'altra invece, giovani pezzi di carne quasi nudi corrono verso il mare, con i loro corpi che sprizzano sesso e fanatismo e disinteresse, avvolti da grossi occhiali per il sole, scuri e alla moda proprio come i pensieri che gli friggono nella testa. Claude e io non abbiamo proprio niente in comune, se non un desiderio latente e meschino di sentirci desiderati, ben voluti, protetti almeno per un po' dalla voglia dell'altro di averci. Abbiamo litigato ieri, o forse qualcosa del genere. Seduti al tavolo, con altri amici, non riuscivo a rivolgerle la parola. Lei guarda tutti, e tutti negli occhi. Sembra un furetto appena uscito da sotto un albero, come nelle favole. Ogni maschio lo guarda dritto negli occhi, e persino le donne. Sorridono sempre i suoi. È sempre felice quando non guarda me, ma non abbiamo niente in comune. – Dillo, su, dillo quello che pensi di me, Fred –

Assolutamente niente. Non stavo pensando assolutamente niente di lei, se non che non abbiamo proprio niente in comune. Anzi, qualcosa la pensavo nella quale poteva c'entrare anche lei: sono perfetto. Perfetto per qualsiasi donna che sta passando da un uomo ad un altro. Perfetto per una donna che esce annientata da un'infinità di giorni spesi con qualcuno che ora non va più bene, e che aspetta di passarne un'altra enormità con il prossimo, forse più bello, forse più avvincente, o soltanto uguale al precedente ma con un altro nome. Sono una zattera, sono Caronte senza i denti aguzzi. Persino nel breve do tutto me stesso, e le faccio risplendere, le ammanto di una luce sensazionale che è impossibile non restare abbagliati. Loro mica fanno pensieri duraturi su di me; semplicemente si dicono: hey, questo lo vede quanto sono meravigliosa; e poi si disobbligano baciandomi e donandomi il loro corpo. Vale la pena, pensano, visto che io gli restituisco un'anima, come nuova. Le carico di amor proprio, di interessi, di fascino, di attenzioni a ciò che le circonda. Stando con me finiscono per amarsi, ma amarsi sul serio. Duro un mese, due, un anno a scaglioni qualche volta. Ma Cristo, si dicono, certo che ne vale la pena! Guardatele ora! Meravigliose, pronte ad uccidere la prossima mosca caduta nella loro inconsapevole tela. Mica sono cattive. E forse nemmeno più meschine di me. Ma staccano teste come coni gelato, e quelli come me le guardano da lontano, senza sorridere, un leggero retrogusto malinconico, ma una consapevolezza d'avere due attributi fondamentali, volti alla completa solitudine, all'impossibilità totale di averle di fianco per tanto tempo: le tratto bene e le fotto male. Uno così al massimo può ricevere gli invitati su di una barca. Vestito di tutto punto e con la barba appena fatta. Mica posso amare per davvero, mica posso essere amato. Il giorno che un uomo inventò l'amore, lo mise dritto lì in mezzo. Nel mezzo di due cosce carnose e livide. Lo mise lì, ed alcuni come me non sanno più trovarlo. Non lo cercano nemmeno più da quelle parti, nonostante sappiano. – Su, dillo Fred! –

- Sei una puttana Claude, una puttana come tutte le altre. E non abbiamo niente in comune, e non voglio vederti più, perché mi rendi nervoso, mi rendi più cupo di quanto già non sia, e vorresti scoparti qualche bell'imbusto piuttosto che stare qui con me a vedermi bere vino e sudare e biascicare frasi che solo io credo immortali. Quindi dopo stasera, Claude, togliti dai piedi, e corri dal prossimo, io ho chiuso. -

- E perché sarei una puttana? Su, dimmelo stronzo maschilista di merda! -

- Guardi tutti. Flirti con tutti. Lasci il tuo numero a vecchi amici, e sorridi perché ti chiedono di uscire, lasciandoti presagire una frugale scopata in auto. Ti piace che ci si interessi a te, ti piace che ti si guardi, …sei una puttana Claude, ma non hai nulla di diverso da quella che avevo prima e dalla prossima che capiterà da queste parti.. -

- sei proprio una merda Fred! -

La realtà era che stavo incazzato non perché lei guardasse tutti gli uomini presenti in sala, ma per via del fatto che tutti, proprio tutti quelli presenti dentro e fuori la sala, erano migliori di me. E lei se n'era accorta troppo presto.

Del resto io non guardo mai la gente negli occhi: ho troppa paura di trovarci qualcosa.


( 15/6/2009 17:46:17 - N. 371649 )


Sento sempre dire che qui da noi è impossibile vivere. In realtà non ho nulla da eccepire su quest’affermazione, ma c’è qualcosa che mi fa pensare. Starsene qui, spesso diventa impossibile, non c’è dubbio: le mattine che cominciano col risveglio dei fruttivendoli ancor prima del rumore dei gas di scarico, le urla dai balconi di tutte quelle donne che devono inventarsi una giornata da vivere e mantenere le tradizioni, le strade accozzate di gente che si finisce per tamponare l’un l’altra e sembra tampinarsi per rubarsi la borsa a vicenda, i vu’ cumpra’, i falchi, i motorini come rasoi che ti passano ad un pelo dal viso, i tassisti più indisciplinati del mondo (se non siete stati a Calcutta), i borseggiatori, gli zingari, i lavavetri, gli alieni, i guappi che ti guardano come se volessero rubarti l’anima perché non sanno che te la sei già venduta per riuscire a vivere qui, in pace. Perché qui c’è da perdere la testa, tanto che c’è da girarla dall’altra parte. Ma chi riuscirebbe a viverci in un posto dove sai di poter morire soltanto perché non cammini ad occhi bassi? E allora non lo sai. Chi potrebbe fare finta di niente, sapendo che per avere ciò che spetta di diritto bisogna pagare qualcuno per far sì che quel diritto si concretizzi? E allora lo fai anche tu, così che diventa normale, così che è come il fatto dell’uovo e la gallina, e chi è nato prima alzasse la mano.
 
È come se ti spettasse niente qui. Come se ci stessimo rubando gli anni. Li stiamo rubando a qualche assessore, a qualche dottore dell’Asl, a qualche giudice, a qualche medico, a qualche infermiere, agli spazzini, ai politici, soprattutto ai politici, ai mafiosi quelli tosti e seri, ai guappi nelle A3 nere che si svegliano a mezzogiorno perché di notte ti portano la roba fino a sotto casa. È come se noi che ci vivessimo, avessimo ideato, testato e approvato, un sistema clientelare che regola le più normali (e anormali) azioni compiute nella quotidianità. E questo modus operandi, ce lo portiamo ovunque. Non ci lascia mai. Ad esempio io, quando mi trovai ricoverato in una nebbiosa località lombarda, prima di una difficile operazione e conscio di dover affrontare una lunga degenza, mi informai delle marche di sigarette che fumavano tutti gli infermieri del mio reparto. Più quelle dei medici, degli anestesisti, e persino delle due caposala austere e gelide come i venti che circolavano da quelle parti. Ricordo che quei 600 euro circa, non mi pesarono in alcun modo. Per me era normale ungere gli ingranaggi. A modo nostro, sia chiaro. Perché da queste parti le mazzette le pagano soltanto le solite persone; i costruttori per gli appalti, i commercianti per le licenze e i politici per farsi eleggere. Noi, in quanto popolino, ci limitiamo a delle piccole attenzioni (cesti natalizi, telefonini, biglietti per lo stadio, sigarette, cesti pasquali) che fungono da rasserenatori di coscienza. “Se muoio, significa che così doveva andare”, perché ti senti apposto. Persino con Dio. E allora, prima dell’operazione, io SAPEVO che ognuno avrebbe fatto il suo dovere, e il fumo catramoso che sarebbe uscito dalle loro bocche di lì in avanti, per qualche giorno, sarebbe stato il mio lasciapassare dai cunicoli dell’imperizia o addirittura dai meandri della sfiga.
Nei momenti di lucidità non ci resta che piangere, ma dura poco perché, e lo sanno tutti, noi ridiamo sempre. Anche quando ci lamentiamo. Persino gli idealisti, i “complottisti”, i rivoluzionari, anche loro alla fine ridono. Se la ridono. Perché basta una giornata di sole, un’ora di musica fatta bene, un gol insperato, e tutto torna com’era quando noi non c’eravamo ancora. Sulla terra. 

E questa, si badi, è la nostra più grande forza. Centrifuga. Ci tiene attaccati al fondo, ma vivi. Da morire ci sarebbe e c’è ogni giorno, ma mica sarebbe possibile vivere così. Scendi, e la classica spada di Damocle che pende, che magari non ti fa vedere nemmeno il bel sole che ci sta…
No, non basterebbe qualche anno di piogge continue a farci cambiare. Prima di tutto, la città ingoierebbe se stessa tanto che è fracida, ma poi siamo famosi per non arrenderci mai, noialtri. Siamo capaci di denunciare le magagne che reiteratamente si svolgono sotto i nostri occhi, continuamente. Senza mai fermarci un attimo. Però da casa. E in forma anonima, possibilmente, perché sarebbe proprio da stupidi passare un guaio per niente. Cambiare le cose qui, significherebbe dare vita ad una nuova specie di essere umano. Ma non ripartendo da zero. Se fosse così facile, qualche campanilista stufo a cui hanno ammazzato il figlio o incendiato il ristorante, avrebbe già riunito tutta l’intellighenzia e tutta massa informe popolare in un’unica piazza (adescandoli magari con la presentazione di Cristiano Ronaldo, acquistato con un blitz notturno da Italo Allodi risorto per l’occasione) e fatto esplodere un quarto dei botti sequestrati il dicembre scorso, così da radere al suolo il 95 percento di questa assurda stirpe. Ma l’ex ristoratore lo sa che servirebbe a poco. Lo sa che è colpa di questo mare, di questo sole, se siamo così. Colpa di questi vicoli stupendi che deturpiamo col nostro stesso letame, di questa luna che da qui sembra che la guardi attraverso una finestra del paradiso, per quanto è grande, per quanto è bella. Colpa del sale che s’alza dal mare infame, infamato da noi, così bello che s’ondula lungo le nostre bellissime coste deformate dai detriti e dall’amianto e dalle buste piene di panini mozzicati, se siamo così. Quel mare infame, che azzurro nessuno se lo ricorda più. Se siamo così, ed è così che siamo, la colpa è di queste canzoni che si cantano in tutto il mondo da più di cento anni; delle poesie dei nostri poeti, dei quadri magnifici di Salvator rosa, delle parole di una greca napoletanizzatasi senza alcuno sforzo, che coniò proprio una strana parola: indignazione. E tutti coloro che sembrano arrivare a valere qualcosa, e che sono nati, formatisi in questa città, per tale parola sembrano costretti ad emigrare. Andare via. Cambiare aria. In uno strano gioco delle parti, i migliori, coloro che potrebbero provare a cambiare le cose o a darci almeno gli strumenti, vanno via; esulano. Vanno a fare le fortune di altre città, meno gloriose, meno belle, Paesi dove si parlano lingue strane e dove torturano ancora le persone. Ed è questa la cosa più bella. Le nostre illustri menti, le nostre anime meno tronfie, vanno a vivere e a contribuire allo sviluppo di città e paesi dove il peccato più veniale è la meschinità. Paesi dove puliscono i neri con lo spirito, o tagliano la testa agli uxoricidi. E noi da qua ci indigniamo pure per le cose che succedono lì, sia chiaro. E ci sentiamo persino meno soli, parlando di quanto tutto il mondo sia paese, e non importa se il mondo tutto va a quel paese, purché quel paese non sia il nostro. Questa nostra vile cittadina, di cui sappiamo tutti i difetti e talora i pregi, da cui quelle menti scappano, così che ci restiamo solo noi, così indaffarati e inutili da far arrossire le mosche. Le tantissime mosche che brucano nella spazzatura di ogni strada, di ogni piazza, di ogni seduta municipale. Quelle menti, quei possibili fiori all’occhiello di una razza intera (loro si professano napoletani quando qui splende il sole; noi li chiamiamo napoletani, quando su di loro splende il sole) se ne stanno lontani da noi, guardandoci indignare e indignandosi a loro volta. Un esercizio fetoso fatto di ciarpame e piagnistei. Di rivoluzioni annunciate e mai attuate, di cambiamenti declinati ormai soltanto nelle più vili fantasie dei fantomatici irriducibili. Ma sappiamo indignarci come nessuno mai, da queste parti. Sappiamo cosa vuol dire girare la faccia, quando questa è chiamata veramente a dare risposte, e muovere un dito. 

Però ora la conosciamo tutti questa parola, questa sensazione, e ringraziamo Matilde Serao perché è grazie anche a lei che ora sappiamo indignarci. E non significa niente il fatto che restiamo immobili. A guardare. Indignarsi è il primo strumento per un ribaltamento totale o parziale di tutte le cose. Peccato che qui da noi pare che sia l’unico; ma non potete chiederci tutto. Del resto, siamo soltanto napoletani, e per questo forse, le uniche vere vittime di questa splendida città.

( 30/4/2009 02:17:56 - N. 370224 )
blog modificato il: 30/04/2009 02:19:18


Di "Questioni di cuore" spicca soprattutto il modo di raccontare la storia: degli attori in primis, di chi ha adattato la sceneggiatura, della regista. Questa è una commedia: una commedia umana. C'è passione, confusione, gioia, disperazione, drammaticità e leggerezza. Ci sono donne nude, belle donne, donne madri come c'erano un tempo e ora non ce ne sono più; uomini forti, rudi con la barba, dal silente e ammonitore sguardo che da bambino non puoi far altro che restare fermo e zitto; uomini confusi che sarebbero voluti non crescere per forza, o almeno farlo con più calma; uomini soli senza uno straccio di risposta, ma con tante "è questa la domanda"; ci sono i bambini, curiosi come topolini, ci sono i vecchi, che vivono il futuro proprio come fosse il passato, ci sono persino gli scrittori. Che di tutte le categorie di sopra potrebbero far parte, ma che dentro nessuna alla fine si trovan bene. Perché lo scrittore è come un corpo per cui non hanno ancora inventato la taglia. Alla fine gli entra tutto, ma niente come si deve. Ma lui continua a cercare, a indossare, a stringere e allargare. Continua a lavare sperando che cambi qualcosa, anche se per lui non cambia mai niente. E' come se il suo corpo cambiasse forma e dimensioni ad ogni maglione provato, ad ogni pantalone infilato, ad ogni buco in più sotto la fibia. Allo scrittore non va niente comodo, perché è così che uno scrittore può continuare a vivere, e a scrivere e a raccontare il mondo e le persone.
Se ne incontrate uno ben disposto, uno coi polsini e con la moglie e coi bambini o pieno zeppo di vanità di sciccherie o grilli di bellezza per la testa, allora passate avanti: niente da ascoltare o che vale la pena dover capire.

Un film italiano di quelli che sarebbero piaciuti persino a Pasolini. Fatto di attori talmente immersi da sembrare eroi. Di storie di vita, di tutti i giorni, di qualche piccolo inganno e di tanto orgoglio. Non ne sanno fare più di questo tipo. Uno ogni tanto. Alchimia. Un evocativo segno che le buone opere tendono all'universalità anche se parlano di borgate. Di piccoli uomini con strani e distintivi accenti.
Non so se l'acquisteranno in America questo film, e poco importa: ma forse lì avrebbe ancora più senso vederlo. Capire che non c'è bisogno di correre per stare al passo con la vita, è proprio una lezione che dovrebbero poter imparare ovunque.

( 23/4/2009 02:46:44 - N. 369993 )
blog modificato il: 23/04/2009 02:50:27

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