Nick: `Luk4s` Oggetto: CAMELOT CITY 2003 Data: 25/9/2003 10.32.56 Visite: 16
Non ho previsto nient’altro, se non un lieve svanire. Non sarei svanito in nient’altro, non l’avevo previsto. Sto schizzando a cavallo in mezzo alla città, e non so gestire lo schizzo. Eh eh. Ogni tanto lui scivola, nelle buche, tra le macchine, nelle curve, e io come subente un moltiplicatore dello scarto, vengo abbassato verso destra o sinistra. Ora corro. Ora cammino, ora grido di ribellione. Anzi, di riBBellione. La gente mi guarda, ma per un secondo, poi si abbassa per scordarmi. Praticamente come sempre. E dove vorrei arrivare, al galoppo? Ah, a proposito. Si tratta di un cavallo marrone, criniera marrone, e ha una grossa macchia (penso sia malato) sul collo. Però corre forte, probabilmente è femmina. Cerco un saloon nella mia città del 2003 e non è facile. Sono proprio contento, lo devo ammettere, e lo devo sbandierare. Alè, sono contento. Il cappuccino che berrò sarà più dolce dello zucchero che ci avrò messo dentro, ma non sarà affatto più dolce di lei. Ed esco per strada, cammino, e mi cerco il bar con calma, attento all’atmosfera, attento alle sedie, al tipo di bicchieri, di tazze e di camerieri. Ma tanto non ho fretta. L’ultima volta che ho bevuto è stato ieri sera, no? Cioè, io la porto sopra perché aveva dimenticato un CD, e quella che si prefigurava una lentissima azione di accerchiamento, indebolimento e conquista, è diventata una furiosa e immediata sessione erotica. Stanchezza, ricaricamento. Così mi sento di descrivermi. E lei, poi, lei, fantasia e disinibizione. Il top. Si abbassava di schiena, sempre di schiena… e si faceva cavalcare, e mi chiedeva di speronarla, di tirarle i capelli, a mò di redini. Ah, a proposito. Si tratta di una ragazza in carne, trentenne, e ha una grossa voglia sulla natica. Cerco un covo di proteine mattutine nella mia città dopo aver cavalcato. Non che me ne freghi, eh… ma non è facile. Non-era-l’ultima-occasione-della-mia-vita, certamente. Ma certamente per la mia ultima vita era un’occasione. E va bene, va bene, mi smitraglieranno accuse, recriminazioni, “tu non ti sai imporre”, “non ti sai prendere resp…”, ma io, tutto sommato, non me ne pento. Talmente non me ne pento che mi concedo un premio. Un cappuccino + sigaretta, con calma, al centro di questa città, a quest’ora, lontano dalle colazioni di lavoro. Poi tornerò dove devo tornare, giustificherò quello che devo giustificare, verrò assalito da chi devo venire assalito. Eravamo pari, parissimo, pari in tutto, io e la mia avversaria. E loro fessi e tutti maschi non sapevano chi scegliere. E sarò disincantato, sarò casanova, sarò di quelli che capiscono il perché del “Lasciare il posto ad anziani, bambini, SIGNORE”, però, per cavalleria, ho lasciato che prendessero lei. Che poi, perché criticarmi? Proprio voi che siete destinatarie del mio modo retrò ma caratterizzabile che mi distingue. Sì, apro le portiere delle passeggere prima delle mie. E faccio passare sconosciute prima di me ai colloqui di lavoro. Ah, la cavalla (sono ironico, è solo l’oggetto della cavalleria): si tratta di una ragazza-madre, venticinquenne, tristissima, di nome Licia. Aveva una macchia nella vita. Quel bar un po’ intimo, un po’ pubblico, un po’ rumoroso, un po’ silenzioso, ma tutto di tavolini tondi. Tondi e pieni, i tavolini, in quell’ora di colazioni di lavoro. Una scelta geometrico-politica. Un mucchio di biada sul retro e un maniglione per cavalli fuori (ve lo giuro). E vi giuro anche che ce n’era uno attaccato. Tre cavalieri allo stesso, unico vuoto, tavolino. E una spada infilata in petto, nella schiena o tra le gambe. Nessuna parola e qualche cappuccino, qualche caffè versato prima, un’unica macchia, grossa, sul tavolo. Macchia marrone.
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