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Nick: Sfaccetto
Oggetto: La grande "follia" di Artaud
Data: 5/12/2005 20.9.36
Visite: 93

Ieri davo uno sguardo al Mattino, e ho letto questo pezzo nelle pagine della cultura. Apre Raffaele Panizza, il resto è una lettera inedita di Artaud al proprio medico/carceriere.


ANTONIN ARTAUD aveva soltanto 5 anni quando, nel 1901, contrasse a Marsiglia una forma molto grave di meningite. Da quel giorno, l’emicrania, i disturbi nervosi, la balbuzie, l’avrebbero accompagnato in tutta la sua giovinezza. Fino al 1914, quando la depressione esplose per la prima volta impetuosa, e il giovane Artaud subì il primo ricovero, nella casa di cura de La Raugerie, nei dintorni della sua città natale. Poi sarà un entrare e uscire dai sanatori, un avvelenarsi di mercurio, arsenico e bismuto per curare una presunta sifilide, fino all’ennesimo ricovero a Neuchatel, in Svizzera nel 1918, dove per la prima volta gli vengono somministrate dosi consistenti di laudano (un preparato analgesico a base di oppio) che innescherà la dipendenza da stupefacenti che, salvo brevi pause, si porterà addosso tutta la vita. Ma questo era nulla in confronto alla violenza che Artaud dovette subire, tra il 1943 e il 1946, nel manicomio di Rodez, per responsabilità dello psichiatra Gaston Ferdière: 51 sedute di elettroshock, alcune di 12 scariche l’una, la prima delle quali, nell’ottobre del ’43, gli provocherà una grave lesione alle vertebre lombari. Gli estratti che pubblichiamo in questa pagina, fanno parte di un lunga lettera firmata con lo pseudonimo Antonin Nalpas e finora rimasta inedita, sono datati 13 agosto 1943, poche settimane prima che le sedute di elettroshock cominciassero. Artaud si rivolge al suo medico in una supplica, chiedendogli di riconoscere i suoi demoni e la sua follia non come i germi della malattia mentale, ma nella loro natura di figli del genio e dell’ispirazione, come l’essenza stessa della poesia. Questo e molti altri documenti, filmati, foto, oltre a alla ricostruzione di una vera stanza per l'elettroshock con macchinari originali e letto di contenzione, saranno visibili da domani nel Padiglione d’arte contemporanea di Milano, in occasione della grande mostra intitolata «Artaud, Volti/Labirinti: film, disegni, documenti».

(Raffaele Panizza)

Caro dottor Ferdière, c’è una cosa che fa male al mio cuore. Ho girato e rigirato nel fondo della mia coscienza gli atti, i pensieri e i sentimenti che vi riguardano, e nutro l’impressione che qualcosa in voi, in particolare nell’affezione che avete per me, si sia bruscamente alterato. Io non trovo assolutamente nulla che possa giustificare, da parte vostra e contro di me, un qualunque rimprovero o una lamentela. Quando d’altra parte voi mi avete fatto venire qui, dicevate di non avermi mai considerato malato, e mi sembrava che all’inizio del mio soggiorno voi foste vicino a me, nel mio cammino. Ricordo addirittura un giorno in cui mi avete fatto chiamare apposta per darmi una copia dell’«Inno ai demoni» di Ronsard, sul quale voi mi avete chiesto di scrivere alcune riflessioni. E all’epoca io non ho avuto nemmeno per un minuto l’impressione che voi non foste sincero, quando mi diceste che quelle riflessioni vi parevano molto buone. Poiché è con il vostro cuore, Ms. Ferdières che in quel momento mi avete parlato. D’altra parte, per ciò che concerne i passi che rasentano il magico, voi mi rimproverate una sorta di ossessione, un’attitudine al proselitismo che la medicina mentale considera come una malattia. Lasciate però che io vi ricordi, caro Ferdières, che Antonin Artaud era il creatore di una drammaturgia che ha parlato non soltanto per mezzo dei molteplici scritti, ma che si è materializzata sulla scena nella regie delle pièces, che sono: «I misteri dell’amore» di Roger Vitrac; «Il sogno» di Strindberg; «Partage de Midi» di Paul Claudel; «Victor o i ragazzi al potere» di Roger Vitrac e «I Cenci», che aveva scritto lui stesso, da Shelley e Stendhal. Perché, Ms. Ferdières, non volete darmi un po' più di credito, e ammettere al vostro cuore che c’è nella mia vita qualche cosa di miracoloso che spiega la mia vita e le mie tensioni morali molto meglio di tutte le classificazioni mediche nelle quali si vuole farle rientrare? Provate a ricordare gli attori de «I Cenci», che aiutati dalla Parola, scandita o salmodiata che fosse, utilizzavano una simbologia plastica e corporale dove il soffio dei polmoni era perpetuamente mescolato alle figure che la loro testa, le loro braccia e il busto concretizzavano ostinatamente nell’aria. Voi non potete immaginare, Ms. Ferdière, a che punto la mia coscienza sia afflitta e scandalizzata quando vi vedo considerare e trattare tutto questo come una malattia: questi sono gli Atti, i Pensieri e l’Attitudine che stanno alla base stessa di tutta la Religione e di tutta la Poesia. Ms. Ferdière, dovete capire che i demoni sono un’infermità connaturata all’essenza umana, e soltanto in certe remote regioni di purezza e innocenza si smette di crederci e di percepirli. Così, ogni volta che voi, voi mi parlate di guarirmi, è come se ricevessi una pugnalata nel centro del mio cuore e della mia coscienza. Perché io so che io non sono malato e che voi stesso mi avete creduto in perfetta salute mentale fino al giorno in cui, tre mesi fa, il vostro comportamento è bruscamente cambiato.

Antonin Artaud

(da Il Mattino di domenica 4 dicembre 2005)



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