Nick: Casual Oggetto: Legge regionale x i dialetti Data: 14/12/2005 14.51.29 Visite: 134
Ci sono due modi per ottenere un riconoscimento istituzionale del proprio idioma locale: 1) Lo status di lingua minoritaria; 2) Una legge regionale Nel primo caso sono inclusi tutti i dialetti delle regioni a statuto speciale, fatta eccezione per la Sicilia dove si sono verificati contrasti insanabili fra l'area catanese e quella palermitana, per la definizione di cosa s'intende per "siciliano". Guardando a casa nostra, la Campania è una delle 3, 4 regioni italiane non incluse nel novero delle lingue minoritarie e che nemmeno si è dotata di una legge regionale. Un situazione paradossale alla luce della ricchissima produzione culturale, nella poesia, come nella canzone, il teatro o il cinema. All'estero un luogo comune che ha una sostanziale corrispondenza coi fatti una canzone come 'o sole mio è considerata a tutti gli effetti un biglietto da visita dell'Italia. E' l'intera classe politica regionale a meritare lo status di grande accusato, questo per sgomberare il terreno dalla polemica politica spicciola e inutile, che ai fini di questo discorso non è di alcuna utilità. Il mancato riconoscimento istituzionale implica l'assenza di fondi per lo studio e la classificazione dei dialetti e l'impossibilità di istituire l'insegnamento comparato di napoletano (o altro idioma locale) e l'italiano, se non in quei singoli istituti ai quali la legge sull'autonomia consente di provvedere da se. Questo crea una situazione davvero ai limiti della comprensione, per la quale il maggior esperto di napoletano finisce per essere il tedesco Edgar Radtke. Poi se si riflette sul fatto che la sua Università tiene da dieci anni un corso di dialettologia campana e che vengono stanziati fondi sostanziosi, mentre da noi un corso analogo è stato istituito solo come modulo complementare a Sociologia, ci si stupisce un po' meno. A Napoli l'unica scuola in cui ci sono un paio d'ore settimanali di napoletano è il Sogliano, una "media" al Ponte di Casanova. Un segnale certo positivo, ma assolutamente insufficiente non solo alla luce dell'importanza della tradizione culturale partenopea, ma anche sul piano dell'utilità del dialetto come strumento per insegnare l'italiano. Avete letto bene: l'italiano si può insegnare meglio se abbinato al napoletano o, in generale, al proprio linguaggio locale. E' un problema di non poco conto in una città come Napoli, dove il dialetto è ancora molto vitale e rappresenta spesso per le classi meno abbienti l'unico strumento linguistico per la comunicazione. A un bambino viene insegnato a scuola che pUOrt' è "sbagliato" perchè in italiano si dice porto senza dittongo, ma se questo bambino è figlio di genitori dialettofoni, una volta tornato a casa ritroverà come standard quella forma che a scuola gli viene sanzionata come errore. In realtà pUOrt' non è sbagliato, appartiene semplicemente a un altro idioma, a un'altra grammatica, quella napoletana, nella quale il dittongo si forma diversamente che in italiano. Dire a un bambino "è sbagliato" significa indurre: confusione fra la lingua nella quale si esprime o sente parlare tutti i giorni e la lingua della scuola; diffidenza e chiusura verso un mondo che viene percepito diverso e ostile dal proprio ambito degli affetti; disaffezione e svogliatezza che si traducono in una conoscenza molto limitata della lingua nazionale. Questo riferito alla lingua parlata, perchè sul piano di quella scritta la situazione è disastrosa con un preoccupante analfabetismo di ritorno che coinvolge, in certi casi, addirittura laureati. La questione della lingua è un po' la cartina al tornasole del generale stato di sudditanza, anche psicologica, della società meridionale e di quella campana in particolare. Una tradizione culturale ricchissima, un uso vasto del napoletano che si estende addirittura agli immigrati e una sostanziale incapacità a produrre strumenti di valorizzazione culturali e istituzionali. Ci batteremo per introdurre l'insegnamento del napoletano e dei dialetti locali a scuola. Napoli e la Campania devono imparare a riscoprire se stesse.
|