Nick: SPARTAK Oggetto: MADE IN URSS Data: 19/12/2005 12.38.17 Visite: 108
MOSCA - Guardaroba made in Italy da buttare. Arredi svedesi da confinare in dacia. Elettronica giapponese da nascondere in cantina tra video e dvd americani. Ristoranti francesi semivuoti. I russi riscoprono l'Urss. La vergogna della nostalgia è passata. Non solo ai pensionati, che rimpiangono l'epoca del tutto gratis e garantito. Sono i loro figli il pubblico del nuovo canale tv Nostalghia, specializzato in filmati dei congressi del Pcus e parate militari sulla piazza Rossa. E sono i nipoti ad animare il talk-show "Nati in Urss", che resuscita le decrepite star dell'era brezneviana. Nemmeno l'ombra di trame da servizi segreti, nell'esplosione collettiva del rimpianto. Sono moda, pubblicità e business capitalista a far rientrare Lenin e Stalin nella vita di miliardari sempre più annoiati. La consolazione del passato torna invece, per colpa delle speranze perdute, nei tuguri di chi non è riuscito a balzare sul treno dell'Occidente. A 14 anni dal crollo dell'impero, vivere alla sovietica è lo stile del momento, eletto moda dell'anno 2006 da riviste di tendenza e tabloid popolari. Superati gli eccessi, addio "volgarità da oligarchi in pensione". Meglio la Zhigulì nera di una Bentley rosa, il lume in malachite sostituisce l'abat-jour in vetro di Murano. A Mosca si sfoggiano pelliccioni e colbacchi d'Astrakan, spariti loden in cachemire e borsalini. Gli accessori comunisti sono protagonisti natalizi delle sfarzose feste a tema nelle ville della Rubljovka. Nelle squallide periferie si organizzano invece serate con uomini in camiciole prugna e cravatte strette e grigie, party con donne in pantofole e gonnoni alla caviglia. I ragazzi tirano le otto nelle discoteche anni Settanta: assordante folk-rock e luci da giostra di paese. Stanca degli hotel di Zermatt e Porto Cervo, l'alta società torna nei sanatori in Karelia e sul mar Nero. La banja della domenica (torridi bagni di vapore seguiti da immersioni gelate), sfratta il culturismo da palestra. Davanti a decine di negozi, bar, ristoranti e alberghi ispirati all'Unione sovietica, si moltiplicano le inchieste. Tre, in pochi giorni, i sondaggi sulla "riscossa dei kolhoz". "Fare i proletari - dice il sociologo Lev Gudkov - non è solo lo status symbol dei milionari. Chi ha tutto esibisce il lusso di tornare al nulla. Ma chi non ha guadagnato niente, si consola con le privazioni della fanciullezza". "Cosa ti manca - chiede in questi giorni un sondaggio del Centro Levada - dell'Urss?" Finora il 64 per cento ha risposto "l'atmosfera semplice", gli altri "l'assenza delle differenze". Il rito liberatorio è un affare colossale. Per una decina d'anni la paccottiglia comunista finiva sulle bancarelle per turisti dell'Arbat, o nei mercatini tipo Izmailovo. La mania di bollitori "Benatone" e fiori di plastica, aringhe affumicate e carta igienica abrasiva, contagia invece oggi i cittadini post-sovietici che al rifiuto del passato avevano affidato il futuro. I samovar, venduti per pochi rubli, vengono ricomprati per migliaia di dollari. Cambiano attici sulla Moskova, shopping center sulla piazza Rossa e gallerie con vetrine nella Petrovka. Via cactus e sculture astratte, rispolverati i bustini di Lenin, Stalin e Breznev. Negli antiquari le porcellane prerivoluzionarie sono esche da tedeschi: i russi che indossavano false mutande Versace con la scritta "Vip" chiedono maschere antigas e caschi laringofonici, quadri del realismo socialista, manifesti con la propaganda del Pcus e riviste clandestine. "La gente - dice Svetlana Klimova, dell'Istituto Opinione Pubblica - non vuole più sentirsi senza storia. I simboli sono stati distrutti troppo in fretta, lasciando una società di orfani: il complesso della sconfitta si supera anche reinfilando la cintura dell'Armata Rossa, o regalando un accendino che fa la fiamma una volta su dieci". A Mosca è stata ribattezzata "sindrome di Eltsin": è moda tutto ciò che il presidente delle privatizzazioni aveva costretto a buttare. I nuovi ristoranti assumono le sembianze delle vecchie mense aziendali. Signori del petrolio e posteggiatori abusivi tornano a divorare gelide uova con maionese e piselli, insalate di rafano e patate, zuppe di cetrioli in salamoia e orzo. Si paga in copeki, si tracanna vodka caucasica o ucraina, cameriere sopra il quintale trascinano le ciabatte e garantiscono scontrosità. Come al "Petrovich": cerate sui tavoli, strisce di riviste per tovagliolo, posate contorte in alluminio. Tutto sa di lardo e barbabietola, nei bagni fetide turche, acqua fredda e micro-asciugamani fradici. "Non che ci manchi l'Urss - spiega l'arredatore Andrej Bilzho - è che dopo un po' è tornata la voglia di immergersi nell'infanzia". Al pub "Kgb" gli adolescenti rivivono i racconti del papà lasciando denunce anonime contro chiunque: il proprietario, ex colonnello dei servizi, le affigge vicino alle scritte "deposito alimentari", o "stanza clistere". Le campagne del Pcus ammoniscono: "Reclutato come volontario!", o "Cura il tuo seno, risciaquati i capezzoli!". Gli alberghi promettono invece una "notte da Guerra Fredda", o "emozioni da Intourist", spartani hotel per stranieri di trent'anni fa. Il "Sovetskij" vanta Margaret Thatcher tra gli ospiti. L'Urss però inizia con un facchino intabarrato da colonnello. Dentro, scricchiolii e puzza di umidità. Tutto originale: stuoie sfilacciate, lampadari di cristallo con lampadine fulminate, stucchi cadenti, ritratti di leader comunisti e copie della Pravda, rubinetti a canna lunga tra lavandino e doccia, falsa presa di corrente sotto il letto, telefono a disco, inflessibili matrone del piano a concedere (dopo lunga attesa) la chiave della stanza. Il conto si fa con l'abaco di legno. "Il massimo del lusso - dice la direttrice Yulia Mariashkina - è un viaggio nel nostro Novecento. In pochi, russi o stranieri, hanno provato un albergo dell'Urss". Il marchio più pagato diventa così CCCP, stampato sulle t-shirt. Davanti al Cremlino i pezzi più venduti, a partire da ottobre, sono state bandiere rosse con falce e martello, borracce dell'esercito e matrioshke con i personaggi del Politbjuro. Andrej Gorelov, ambulante, le offre con le foto incorniciate di Vladimir Putin. "Perché è vero che la moda sovietica è una geniale trovata commerciale - spiega il politologo Nikolaj Petrov - ma senza l'operazione "recupero della potenza perduta" imposta dal Cremlino, senza il paternalistico autoritarismo putiniano, l'orgoglio nazionale non si sarebbe tradotto in stile di vita". Fuori dai magazzini "Gum", una scritta mal cancellata: "Ex proletari di tutto il mondo, consolatevi e comprate".
fonte: http://www.repubblica.it "..a nuje10 e consorte romantici e bolscevichi [cit.].."
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