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Nick: GI.FRA
Oggetto: situazione carcere
Data: 8/1/2006 16.2.10
Visite: 89

L’ordinamento penitenziario in vigore è tra i più validi che ci siano.

L’amministrazione della giustizia penale in Italia si basa (come in tutti gli Stati) sul principio della punizione. L’uomo che ha commesso un reato deve essere condannato a una pena (e la pena principale è il carcere). La pena, secondo la Costituzione, non deve essere né afflittiva né vendicativa, ma retributiva: per ogni reato il codice prevede come riparazione un periodo di tempo corrispondente alla gravità del reato da trascorrere in carcere. Ma la pena non deve arrecare né sofferenza né deve servire come vendetta.

Oltre che la detenzione, l’ordinamento penitenziario vuole il recupero umano e sociale dell’uomo detenuto. Di fatto però la pena è anche afflittiva e direi vendicativa, poiché si attua con il carcere, e il carcere è in sé stesso, come struttura, anti-umano: togliendo la libertà fisica (e già questo è una grande sofferenza) comporta altre sofferenze negative sul piano psicofisico, affettivo, sanitario. Al male del reato si risponde col male del carcere.

Ma in questa struttura ci sono persone che si recuperano. La legge, infatti, esige che da parte di chi opera in carcere sia rispettata la dignità del detenuto. Gli organismi preposti provvedono non solo al vitto, ma anche alla salute, al lavoro, allo studio, alle attività ricreative, culturali, alla pratica della religione.

Operatori carcerari e volontari cercano di rendere il carcere più vivibile. Inoltre, per realizzare le finalità di recupero del detenuto, la legge prevede che ci sia una riduzione della pena (la liberazione anticipata di 90 giorni all’anno) per i detenuti che si comportano bene. La legge prevede, per la stessa finalità, l’affido al servizio sociale (scontare gli ultimi tre anni della pena a casa), la semilibertà, il lavoro all’esterno durante il giorno, la sospensione della pena, la detenzione domiciliare, i permessi premio (45 giorni all’anno), come misure esterne alternative alla detenzione.

In pratica, però, non tutte queste cose si riesce ad attuare e non in tutte le carceri. Dipende da tante cose, e non da ultimo dal numero insufficiente di personale e non raramente dal modo in cui viene gestita la detenzione. Così per le misure alternative, i permessi, la liberazione anticipata l’équipe di trattamento di ogni carcere deve presentare la relazione di sintesi al magistrato di sorveglianza che ha il compito di concederle.

Ma spesso non ci sono operatori sufficienti e non sempre i magistrati sono propensi a concederle, perché non sono sicuri che diano esito positivo. La giustizia umana non è capace di entrare nel cuore e nella mente dell’uomo. E non è detto che in carcere gli uomini cambino o vogliano cambiare veramente il modo di vivere la propria vita: non tutti coloro che vanno in carcere perché hanno commesso dei reati intendono cambiare la propria vita.

Ai nostri giorni, poi, oltre alla sofferenza legata alla carcerazione in sé stessa si aggiunge il sovraffollamento, che ha raggiunto livelli invivibili. La capienza regolamentare di tutte le carceri italiane è di 43.000 posti. A fine novembre gli uomini e le donne detenute erano 60.403 (dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria).

È vero che il Dipartimento prevede una tollerabilità delle carceri fino a 61.835 detenuti, ma come si può vivere e operare in spazi e strutture con operatori che sono predisposti a una capienza di 40.000 persone? Di chi la colpa? Non rispondo qui in modo esauriente, comunque è l’attività della magistratura quella di incarcerare e di scarcerare. La richiesta dell’amnistia o del condono da anni perorata è ormai improcrastinabile.



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situazione carcere   8/1/2006 16.2.10 (88 visite)   GI.FRA
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