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Nick: testoster
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Data: 20/10/2003 13.7.39
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allora per tutte le pisciazze che4 scorrazzano sul forum parlando di politica comunismo fascoismo o kazz eroba varia vediamo se qualche buona lettura rende un pò l'idea della problematica...
cos' ridimensionano i loro spiriti popolani e riprendono a parlare della pizza e dei venerdì della chat... e bla bla bla .................sgnaus vengo al dunque:
Introduzione:
Occorre una buona dose di coraggio per tentare di descrivere i totalitarismi del XX secolo in cento pagine, forse anche un pizzico di presunzione. D'altra parte, la valutazione sui lavori di Benoist oscilla sempre tra l'ammirazione verso tanto combattivo spirito polemico e una certa sensazione di pressappochismo, dovuta alla rapidità dei passaggi logici e alla scelta della forma del libello. La scorrevolezza del volume, composto da 25 tesi, volte a confutare altrettanti stereotipi giustificazionismi della minor pericolosità del comunismo di fronte al fascismo, viene pagata con l'utilizzo di categorizzazioni un po' sbrigative. Sotto l'ombrello del totalitarismo cadono nazismo e comunismo, non resta invece spazio per l'analisi delle singole esperienze, che nei diversi paesi e nelle diverse epoche si sono ispirate ai modelli originali. La domanda del come sia possibile che l'antifascismo appaia un valore ben radicato nel dibattito culturale e politico, a più di cinquant'anni dalla sua fine, mentre il comunismo, caduto da poco più di un decennio in Europa e vivo in altre parti del mondo, non venga rinnegato con altrettanta decisione, resta, di conseguenza, senza risposta. Ma neppure interessano all'autore troppo raffinati distinguo, visto che si parte dalla convinzione che comunismo e nazismo siano parimenti criminali, tanto nefasti sia nelle loro basi teoriche, sia nelle loro conseguenze storiche da rendere insostenibile ogni recupero delle due esperienze. Che i partiti comunisti dell'Europa occidentale abbiano vissuto una storia complessa, non del tutto riconducibile alla teoria della eterodirezione poco conta di fronte agli eccidi compiuti in Unione Sovietica da Lenin e Stalin. Non è un caso che il testo più citato sia il discusso Libro nero del comunismo, perché comune è l'impostazione generale: la contabilità spiccia delle morti addebitabili ai due regimi. Partendo da questo dato è inammissibile una valutazione anche solo in parte positiva della teoria comunista, mentre è del tutto giustificabile l'assimilazione di nazismo e comunismo sotto l'etichetta totalitaria. Sempre partendo dal dato del numero dei morti, si capisce per quale motivo il fascismo italiano resti ai margini della riflessione: minore il numero delle vittime, quindi sostanzialmente di altro tipo il fenomeno. A questo proposito non c'è nulla di nuovo, rispetto al testo di Hannah Arendt Le origini del totalitarismo, di cui il libro di Benoist sembra, in alcune parti, una sorta di riassunto. Condivisa dall'autore anche la tesi della derivazione dei metodi nazisti dalla Rivoluzione d'ottobre, secondo il nesso causale individuato da Neumann e Nolte - presentato come verità storiografica incontestabile più che come mera ipotesi interpretativa.

Più che la correttezza metodologica dello sguardo retrospettivo, sembra stare a cuore all'autore soprattutto la polemica contro chi, per disonestà intellettuale, o per opportunità politica non ha ancora voluto fare i conti con l'ingombrante lascito dei primi cinquant'anni del secolo. Dall'accusa di risultare dal punto di vista storiografico un po' approssimativo, Benoist svicola dichiarando il suo testo "opera filosofica", cioè - così per lo meno s'intuisce - teorica, strutturata per modelli interpretativi generali, più che sull'analisi di singole esperienze. Se questo approccio sia il migliore, resta dubbio. Come contestabile è la scelta della strategia compativa per l'analisi dei due fenomeni, soprattutto se condotta a partire dal presupposto, non del tutto condivisibile, che il nazismo sia ormai un'esperienza dimenticata e il comunismo una realtà ancora minacciosa.

Comunque, se l'adozione acritica della prospettiva del Libro nero, delle tesi di Nolte e di De Felice può infastidire, del tutto condivisibile risulta al contrario la polemica contro quanti giustificano la storia dell'Unione Sovietica con argomenti pretestuosi e liquidano i gulag come errori di percorso trascurabili. Un atteggiamento ancora diffuso in Francia, a quanto pare di capire, (gli avversari di Benoist sono tutti francesi) e che l'autore mette in ridicolo riportando una serie di frasi deliranti e contorsioni retoriche di apologeti del comunismo (dietro i quali si staglia l'ombra ingombrante di Jean Paul Sartre), per nulla turbati dal crollo del muro di Berlino. Anche qui non si può però fare a meno di notare la poca eleganza del metodo: l'autore si fa beffa dei suoi nemici isolando frasi senza preoccuparsi di contestualizzarle o, almeno, di riportare la fonte da cui sono tratte.

È sul terreno della storia delle idee che l'approccio filosofico di Benoist si dimostra estremamente utile. Le ultime sei riflessioni, recuperando la lettura dei filosofi della Scuola di Francoforte, vedono i totalitarismi come il frutto bacato del razionalismo illuminista e del predominio della tecnica. Nelle ultime pagine viene finalmente offerta una chiave interpretativa convincente dell'origine e del successo dei fenomeni concentrazionisti e sono posti inquietanti interrogativi sull'evoluzione dei fenomeni di marginalizzazione del dissenso e di standardizzazione dei gusti, dei sentimenti e delle opinioni verificatasi nelle società occidentali contemporanee. Dunque, "se la caduta del sistema sovietico ha incontestabilmente rappresentato una vittoria del capitalismo, resta da dimostrare che abbia corrisposto anche a una vittoria della democrazia. In passato, l'antifascismo era stato utilizzato per legittimare il comunismo e l'anticomunismo per legittimare il nazismo. Oggi è la critica o l'evocazione del totalitarismo ad essere stata strumentalizzata per far accettare il liberalismo o i danni del mercato." [p.94] Nouvelle droit strizza l'occhio alla Nuovelle gauche.

Indice
Il volume è diviso in 25 tesi senza titolo. Si riportano qui gli incipit dei singoli capitoli.


Introduzione

"La pubblicazione di un Libro nero del comunismo ha scatenato un dibattito di notevole ampiezza"
"L'idea che si possano comparare i regimi comunista e nazista è sempre stata respinta"
"Il comunismo ha distrutto ancor più vite umane del nazismo"
"È lecito chiedersi sotto quale aspetto il fatto di uccidere agitando la speranza di futuri radiosi sia più scusabile dell'assassinio legato a una dottrina razzista"
"Non basta dire che il comunismo è una bella idea che ha preso una brutta piega"
"Per quale motivo criminali che sostengono di fare del bene sono meno condannabili di criminali che sostengono di voler fare il male?"
"Il nazismo e il comunismo si contrappongono come il particolare e l'universale"
"Alcuni autori ostili a qualsiasi comparazione tra il comunismo e il nazismo hanno voluto cercarne una nelle motivazioni"
"Stalin moltiplicò le purghe all'interno del suo partito"
"Il contenuto del Libro nero rischia di fare il gioco dell'estrema destra
"La spaventosa persecuzione degli ebrei"
"L'ostinato rifiuto di comparare nazismo e comunismo"
"L'intelligencija dei paesi occidentali ha massicciamente ceduto all'illusione comunista"
"La manipolazione dell'antifascismo da parte del Cremino"
"I crimini dei regimi comunista e nazista non sono un caso"
"Le ideologie moderne sono religioni profane"
"Le tirannie classiche si contentano di impadronirsi dei corpi"
"Il carattere mobilitante della visione dicotomica che caratterizza i regimi totalitari è evidente"
"Il fanatismo totalitario appare modellato dalla modernità"
"È stata la Rivoluzione francese, che ha segnato la nascita ufficiale della modernità"
"L'incapacità delle democrazie occidentali di condannare il comunismo risiede in un'inconfessata parentela"
"I regimi democratici non sono affatto immunizzati per natura contro il totalitarismo"
"Non esiste consenso generalizzato su cosa possa essere chiamato male in politica"
"Il problema dei rapporti tra ideologia e prassi"
"Il nazismo e il comunismo oggi sono scomparsi"
L'autore
Alain de Benoist, giornalista, nato l'11 dicembre 1943 a Saint-Symphorien (Indre et Loire), ha studiato lettere e diritto. La sua giovinezza è stata segnata dalla Guerra d'Algeria, che lo ha visto impegnato per l'Algeria francese. Negli anni Sessanta collabora a riviste di destra come Cahiers universitaires, Europe Action e Défense de l'Occident. Nel l968 partecipa alla fondazione del GRECE (Groupement de recherche et d'études pour la civilisation européenne). È stato in seguito redattore capo dell'Observateur Européen, della rivista Nouvelle École, di Midi-France, direttore della rivista Krisis. È riconosciuto come il maggior teorico della "Nouvelle Droit", movimento intellettuale, non direttamente politico, critico sia verso la sinistra marxista ortodossa che verso la destra gollista.

Corpus tematico:
Ernst Nolte, 76 anni, allievo di Martin Heidegger, è lo storico tedesco che fra i primi ha studiato insieme le due grandi ideologie di massa del XX secolo; comunismo e fascismo. Ne ha esplorato il rapporto di opposizione ma anche di affinità. Così, dal suo primo controverso studio del 1963, lire volti del fascismo (Sugar 1966), a Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea, 1917-1945 (Sansoni 1988} fino ai saggi più recenti su Friedrich Nietzsche e Heidegger, Nolte ha voluto infrangere il tabù dell'antifascismo democratico, che ha a lungo impedito di vedere nel comunismo sovietico un regime totalitario comparabile con quello nazista.

Sta ora uscendo in Italia, per le edizioni Corbaccio, un suo nuovo libro, Controversie. Nazionalismo, bolscevismo, questione ebraica nella storia del Novecento. È un inventario dei più recenti studi e delle ricerche storiografiche in tema di nazionalsocialismo. Le sue tesi, come sempre provocatorie, promettono di riaccendere le discussioni.



Professor Nolte, che cosa aggiunge di nuovo questo libro alla sua precedente riflessione sul XX secolo?

Tutti i miei libri sono lavori d'interpretazione di fenomeni storici: del fascismo, del marxismo, della guerra civile europea (1917-1945), della guerra civile mondiale (1946-1991). Quest'ultimo tratta esclusivamente d'un tema, vale a dire della letteratura scientifica sul nazionalsocialismo. L'edizione italiana è sostanzialmente diversa da quella tedesca. S'è dato maggior peso ai cinque capitoli della seconda parte (“Controversie future”), come pure alla conclusione (“Grandezza e tragicità nella guerra civile europea delXX secolo”). L'introduzione è stata riscritta. Si può dire, quindi, che si tratta, in un certo senso, d'un nuovo libro.



Lei continua a parlare di “fondamento razionale” dell'antisemitismo di AdoJf Hitler. Che vuol dire?

Chi sostiene che l'antisemitismo (o meglio l'antigiudaismo) di Hitler sarebbe privo d'un nucleo razionale, vale a dire comprensibile, spiegabile, propone ima clamorosa svalutazione degli ebrei, negando die nella loro stragrande maggioranza essi facessero parte dei più severi nemici di Hitler. E quest'inimicizia non nasce solo nel 1933. Da molto tempo erano ebrei (non: gli ebrei) i principali fautori di ciò che Hitler rifiutava e combatteva: l'universalismo.



Perché ritiene che la tesi dell'unicità dell'Olocausto sia inaccettabile, e pure dannosa nella lotta all'antisemitismo?

Se l'Olocausto non è solo un fatto singolare, ma unico, vale a dire un incomprensibile buco nero al di fuori della storia, non può avere alcun significato per le attuali discussioni. D'altra parte, lo storico, in quanto tale, non deve impegnarsi a lottare contro tutto ciò che viene definito antisemitismo, e che spesso non è altro che una critica al governo israeliano oppure a singole personalità o gruppi di ebrei. Solo l'antisemitismo che si fonda su un'imputazione collettiva di colpa (per esempio l'affermazione secondo la quale gli ebrei sarebbero! responsabili del bolscevismo o del capitalismo) è da respingere a priori per motivi filosofici e scientifici.



Lei parla di un'opposizione tra civiltà e giustizia che segna questo secolo.

L'opposizione tra civiltà e giustizia (nel senso di eguaglianza) non riguarda solo il XX secolo, ma tutta la storia dell'umanità. Sin dai tempi più remoti, l'“eterna sinistra” ha voluto realizzare una “civiltà della giustizia”, ma a mio avviso si tratta di un fine utopico, che mette a repentaglio l'obiettivo realistico d'una “civiltà della maggior giustizia”, come di recente ha dimostrato l'esempio del comunismo sovietico.



Come giudica il “diritto all'ingerenza umanitaria” che è stato posto a fondamento dell'intervento contro la Serbia?

L'ingerenza umanitaria, come ha mostrato la guerra nel Kossovo, può essere un progresso sostanziale nel cammino verso un nuovo e migliore ordine mondiale. Ma può anche portare a un mondo ancora più ricco di conflitti e soprattutto più ricco di ipocrisie, là dove l'affermazione degli interessi viene spacciata per ingerenza umanitaria.

Continuum tematico:
Nolte cambia idea sui Lager

Fra i Lager nazisti e i Gulag staliniani esiste una differenza, per lo storico tedesco Ernst Nolte, protagonista del revisionismo: “riconosco che il genocidio nazista è diverso dal genocidio comunista, perché quella dell’ebreo come nemico dell’umanità è un’idea artificiale”. Nolte ha fatto questa dichiarazione al convegno Autorità e potere organizzato dall’Associazione Del Noce. La differenza è sottile, però sostanziale: “i bolscevichi consideravano la borghesia il nemico di classe da eliminare, ma ne accettavano la conversione, mentre nessuna conversione era possibile per gli ebrei”. Infatti c’erano numerosi ex borghesi nel partito bolscevico, ha osservato Nolte, ma non c’era alcun ex ebreo nel partito nazista.
Oggetto di polemiche per la sua interpretazione della violenza nazista come risposta al totalitarismo sovietico (vedi in particolare Nazionalsocialismo e bolscevismo, 1989, e Intervista sulla questione tedesca, 1993), Nolte ha confermato, nel convegno torinese, il mutamento di valutazione, sulla controversa questione della cosiddetta guerra civile europea dichiarato in un saggio del 1998 su Nuova storia contemporanea, la rivista che fu di Renzo De Felice. Alla fine del suo applaudito intervento, dedicato all’etica della comunicazione politica, con un excursus nel pensiero di Jurgen Habermas, lo storico tedesco ci ha anche detto che in ogni caso “il revisionismo può essere considerato una questione meno urgente che in passato”.
Al convegno su Autorità e potere, che si conclude questa mattina ha parlato anche il politologo americano Edward Luttwak, noto per i suoi studi di geoeconomia e di strategia militare. Il suo intervento ha avuto il carattere di una vera invettiva contro le Organizzazioni non governative che operano sullo scenario internazionale. Ha solo distinto tra quelle che si limiterebbero a non fare ciò che dichiarano di volere e quelle che produrrebbero danni, con le intromissioni a fin di bene nei problemi del terzo mondo. Teoricamente inconsistente l’intervento è apparso una pamphlettistica ripresa delle polemiche contro le “anime belle” dell’ambientalismo e del solidarismo, tuttavia è stato condiviso e applaudito.

Epilogo:la natura illiberale e anti-democratica del comunismo non è la conseguenza del "revisionismo" degli interpreti, primo fra tutti Lenin, di Marx. Essa, bensì, ha le sue radici già nel pensiero di quest'ultimo, così come in quelli di Mussolini e di Hitler riguardo a fascismo e nazismo. L'intuizione, come si vede, ha due conseguenze importanti. La prima è che, come avrebbe scritto molti anni dopo Bobbio, Marx "non è innocente". La seconda è che, come avrebbe poi scritto Ernst Nolte, comunismo, fascismo e nazismo sono assimilabili in quanto le "migliori" intenzioni programmatiche del primo non lo assolvono dai suoi peccati, ma ne rappresentano un'aggravante. Lo spirito di intolleranza che ha portato i totalitarismi "realizzati" a commettere i loro crimini, spiega bene Zincone, è uguale ed è alla base del pensiero teorico di tutti e tre. Esso nasce dalla presunzione di sapere quale è il bene e quale è il male per gli uomini e di voler imporre questa conoscenza con la forza.


Il nuovo libro di Ernst Nolte riapre il dibattito iniziato nel 1986 sul concetto di guerra civile europea e sul rapporto causa effetto tra la nascita del bolscevismo e lo sviluppo dell'ideologia nazionalsocialista. Come si è evoluto il pensiero dello studioso tedesco in quest'ultimo decennio in merito ai crimini nazisti? Si può ancora parlare di "male assoluto"? E se il nazismo fosse stata la mitica "terza via" tra capitalismo e comunismo?

di ALESSANDRO FRIGERIO

Mai come in questi ultimi due decenni in Germania il passato e il futuro si sono fusi in un presente denso di polemiche politiche e culturali a proposito del ruolo svolto dal nazismo nel contesto della storia del Novecento.

Tutto cominciò nel 1986 con l'Historikerstreit, il dibattito tra gli storici tedeschi sul rapporto tra il nazismo e il bolscevismo. Da una parte i cosiddetti storici revisionisti, Ernst Nolte e Andreas Hillgruber in testa, che mettevano in discussione un'interpretazione del passato che fino ad allora aveva visto nei crimini del nazionalsocialismo un evento unico e incommensurabile. Dall'altra un nutrito gruppo di studiosi e intellettuali capitanati dal filosofo Jurgen Habermas, che contestava il revisionismo accusandolo di tendenze apologetiche neo-conservatrici.

Secondo Habermas l'intento di Nolte era di voler creare una nuova integrazione sociale basata "sulla coscienza nazionale anziché sul concetto di colpa", il tutto nell'ambito di una "filosofia Nato dai colori tedesco-nazionali" (all'epoca di queste parole il muro di Berlino pareva ancora ben saldo).

A gettare benzina sul fuoco ci pensò nel 1988 anche il presidente del Bundestag Karl Jenninger, costretto a dimettersi sulla scia delle violente polemiche scatenate da un suo discorso equivocamente commemorativo della "notte dei cristalli". In questo contesto apparve il volume di Nolte intitolato Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea, che tanto scalpore fece anche in Italia.

Alla luce della recente uscita (giugno 1999) di un nuovo saggio di Nolte (Controversie), che ha ampliato ulteriormente la prospettiva storica, risulta interessante confrontare attraverso questi due testi la recente evoluzione del revisionismo storico tedesco. Nazionalsocialismo e bolscevismo, pubblicato in edizione italiana per i tipi di Sansoni Editore nel gennaio 1989 (ma dato alle stampe in Germania due anni prima), si proponeva di rispondere ad alcune domande che fino ad allora una storiografia legata a una visione teologizzante e "politicamente corretta" (il concetto di colpa dei tedeschi per l'Olocausto) aveva sempre evitato di porsi.

È possibile stabilire un rapporto causa-effetto tra bolscevismo e nazismo
si chiedeva Nolte? È possibile inquadrare il periodo storico che va dal 1917 al 1945 in un contesto di guerra civile europea? I gulag staliniani hanno preceduto, per volontà e metodi di sterminio, i lager nazisti?

Il colpo di stato bolscevico, spiegava Nolte, è il momento originario: il marxismo rivoluzionario diventa "religione di stato" in Russia e, di conseguenza, l'antibolscevismo diviene, con un nesso causale molto stretto, la logica politica ed emotiva della borghesia tedesca. La borghesia berlinese vivrà con spavento i moti spartachisti del 1918 che già hanno contribuito al crollo del fronte interno e alla sconfitta degli imperi centrali.

Il timore di una nuova "pugnalata alla schiena" diventerà quindi uno dei motivi preferiti - e di maggiore efficacia - della propaganda nazista.

Dal 1933 la Russia bolscevica e la Germania nazionalsocialista diventano l'una per l'altra sia un modello da imitare sia un motivo di terrore da eliminare. Tanto che fino al 1941 - continua Nolte - Hitler e Stalin agiranno simultaneamente in modo "bolscevico": condannando le plutocrazie, sopprimendo gli avversari politici, occupando territori ed eliminandone la classe dirigente.

Nel 1935-36 iniziano le purghe staliniane: ne fanno le spese Zinov'ev, Kamenev, Bucharin e il corpo ufficiali dell'Armata Rossa ("Nessun esercito subì mai davanti al nemico tante perdite negli alti ranghi quanto l'Armata Rossa negli anni di pace 1937/38"). In Germania, invece, si hanno l'assassinio di Rohm e le epurazioni di Blomberg e Fritsch.

(Anche l' Italia nel ventennio soprattutto proprio a metà Anni Trenta, non fu immune da un regime dittatoriale "stalinista" (il termine divenne perfino sinonimo di dittatura), ce lo conferma un autorevole personaggio; e chi meglio di lui! (che da Stalin aveva a sua volta mutuato il Capitalismo di stato e l'Autarchia")
. "Stalin davanti alla catastrofe del sistema di Lenin, é diventato segretamente un fascista. Essendo lui un semibarbaro non usa ("come noi" - Ndr) l'olio di ricino, ma fa piazza pulita con i sistemi che usava Gengis Kan. In un modo e nell'altro sta rendendo un commendevole servizio al fascismo".
Lo scrive BENITO MUSSOLINI, sul Popolo d'Italia, il 5 marzo del 1938 !!!!) (Ndr. Francomputer)

Ma torniamo al nesso causa-effetto. È la paura dell'annientamento della minoranza borghese e colta sotto l'urto delle masse proletarie a favorire il successo hitleriano. Nolte eleva così le reazioni emotive e psicologiche (contro il marxismo e quindi contro il bolscevismo sovietico) a metodo storiografico. Gli aspetti insondabili dell'animo umano diventano i principali responsabili della nascita delle ideologie e dei mutamenti storici. Quanto al concetto di guerra civile europea, le ragioni di Nolte sono ormai accettate da quasi tutti gli storici contemporanei. "In tutta Europa in quel momento si fronteggiavano due grandi stati ideologici la cui azione era determinata in ultima analisi da concezioni che interpretavano il corso del passato e quello futuro della storia mondiale e spiegavano il senso della vita umana".
Ed entrambi gli stati avevano alleati ideologici: nei partiti comunisti gli uni, nei movimenti fascisti gli altri. Le potenze liberali occidentali rimangono invece decisamente defilate dalla spiegazione che l'autore dà di questa suprema lotta ideologica. L'antisemitismo tedesco - spiegava Nolte in questo volume - ebbe una matrice molto composita. Agli ebrei venne attribuita la responsabilità della "pugnalata alla schiena", del filobolscevismo dilagante nel paese fino al 1933 e, rimontando indietro di un secolo e mezzo, della Rivoluzione francese.

Tuttavia, l'opera di annientamento biologico di Hitler inizia durante la guerra, mentre quella di Stalin risale a vent'anni prima. La Ceka già nel 1921 amministrava cento campi di concentramento, applicando in molti di questi il metodo delle fucilazioni amministrative. Lo stesso codice penale dell'Urss prevedeva fucilazioni per chiunque tentasse di indebolire le conquiste della rivoluzione, mentre il diritto nazista fece più fatica a imporsi, data la maggiore saldezza delle istituzioni giuridiche liberali tedesche. Non molto convincente era il tentativo di Nolte di ricondurre la soluzione finale a una conseguenza dello sterminio di classe bolscevico e alla volontà di Hitler di far suoi questi metodi per sconfiggere la Russia.

Non veniva ben chiarito come la persecuzione antisemita potesse avvantaggiare il "progetto biologico nazista" rispetto al "progetto di classe", che anche in Urss aveva portato all'eliminazione degli ebrei quali rappresentanti del capitalismo e dei piccoli proprietari.

In conclusione, questo primo testo di Nolte era estremamente vario, per alcuni versi complesso. Ricco di felici intuizioni, presentava tuttavia qualche forzatura metodologica. Lo spiegava nell'ampia introduzione lo storico italiano Gian Enrico Rusconi. "Che sussista un qualche genere di rapporto (non semplice analogia) tra i due eventi emblematicamente chiamati Auschwitz e Gulag, lo si può ipotizzare anche grazie al lavoro di Nolte. Ma che questo rapporto possa essere definito senz'altro di natura causale è una deduzione impropria", scriveva Rusconi, che vedeva nel risultato ottenuto dallo storico tedesco "soltanto un'ipotesi di ricerca da vagliare con maggiore accuratezza e con un apparato analitico più raffinato". Rusconi rimproverava a Nolte le scarse interpolazioni con la politica nazionale e internazionale, con l'economia e con l'analisi di tipo quantitativo. Di conseguenza i moventi ideologici e le percezioni emotive risultavano eccessivamente preponderanti.

Occorre però aggiungere a questo punto che Ernst Nolte, allievo di Heidegger e professore di storia contemporanea alla "Freie Universität" di Berlino, è uno storico anomalo. Più che alla ricerca di nuovi documenti, i suoi sforzi sono orientati all'interpretazione degli avvenimenti, verso una storiografia che potremmo definire di tipo filosofico. Ciò non significa che neghi la vastità dello sterminio del popolo ebraico. C'è piuttosto in lui il rifiuto del concetto di unicità dei crimini nazisti, un concetto che facendo dello sterminio degli ebrei un avvenimento esclusivo e incommensurabile rischia di condurre alla condanna non solo del nazismo ma anche di tutto un popolo.

Del resto, già quarant'anni fa il filosofo Karl Jasper metteva in guardia contro il concetto di colpa collettiva di una nazione: il rischio, spiegava, era quello di ripetere quell'aberrante logica che per lungo tempo aveva fatto considerare gli ebrei colpevoli della crocifissione di Gesù. Insomma, i tedeschi ebreicidi, così come gli ebrei erano il popolo deicida. Stabilire raffronti con altri crimini efferati compiuti nel corso del XX secolo non vuole dire quindi banalizzare o relativizzare, ma significa voler comprendere meglio i contesti. La geografia dei crimini diventa quindi più ampia, fino ad abbracciare il problema delle forme della violenza assunte nel XX secolo e dei sistemi politici che le hanno rese possibili.

L'ultima fatica dello storico tedesco diventa perciò una sintesi dei temi trattati fino ad ora. Intitolato Controversie. Nazionalsocialismo, bolscevismo, questione ebraica nella storia del Novecento, e uscito nel 1999 per i tipi di Corbaccio, è un estratto del volume pubblicato nel 1993 in Germania col titolo Streitpunkte. Si tratta della seconda parte dell'opera originale, quella che l'editore ha ritenuto più digeribile per il pubblico italiano, mentre la prima, più storica e specialistica, è stata omessa quasi completamente. Come nel caso del libro precedente le polemiche, soprattutto in Germania, non hanno tardato a farsi sentire. Controversie è stato definito una "costruzione storica avventurosa" diretta contro il bolscevismo, che ottiene come risultato una sorta di apologia del nazismo. Oltretutto - è stato fatto osservare - rispetto al volume degli anni '80 qui Nolte individua una stretta affinità tra "giudaismo" e idee bolsceviche. Affinità che rischia di conferire un "nocciolo di razionalità" all'antisemitismo nazionalsocialista.

Vediamo come. Nolte prende ancora le mosse del grande impatto emotivo suscitato in Europa dal bolscevismo russo, che venne interpretato da grandi gruppi della popolazione come "una credibile minaccia di annientamento".
Chi non vedeva nel comunismo una forza di riscatto per i diseredati non poteva che guardare con terrore alle rivoluzioni in Baviera e in Ungheria, o alle richieste di annientamento della borghesia e dei kulaki fatte da Lenin e Zinov'ev. Il postulato fondamentale della costruzione ideologica di Hitler è per Nolte un antibolscevismo di tipo "bolscevico".

In pratica il nazismo ammirava la compattezza ideologica dell'Urss e per opporvisi utilizzò gli stessi metodi di terrore usati da Stalin. "La storia universale del XX secolo diviene più comprensibile solo quando si concede, anche agli avversari del bolscevismo, questo nesso tra paura dell'annientamento e volontà dell'annientamento e se si riconosce, come semplice verità, che le affermazioni degli antibolscevichi sulle atrocità del bolscevismo erano in realtà ben fondate".

Ma questa opposizione non spiega il perché della presenza dell'antisemitismo alla base del nazismo. E qui ancora una volta Nolte tira in ballo la categoria delle percezioni emotive. In gran parte dell'Europa era molto diffusa - anche in ambienti assolutamente estranei al nazionalismo -, l'attribuzione "al giudaismo di un ruolo straordinariamente significativo nelle grandi lotte del XX secolo, fondato principalmente sull'intima affinità con le idee rivoluzionarie, e di fatto con quelle bolsceviche".

Poco importa che l'equazione ebrei = comunismo non avesse riscontro in modo così totalizzante. Il fatto che gli ebrei costituissero un elemento non perfettamente integrato nella società europea bastava a farne degli estranei e delle potenziali vittime. Ecco quindi che il "male assoluto" del nazismo viene qui inteso da Nolte come la reazione (eccessiva) del particolarismo nazionale contro l'universalismo (eccessivo) idealizzato dal comunismo e dagli ebrei.

Ma non è tutto. C'è un'ultima provocazione noltiana a conclusione di queste Controversie. E che sicuramente provocherà un diluvio di nuove polemiche. Il nazismo avrebbe voluto essere la "terza via" tra capitalismo e comunismo. Una "terza via" capace "di bilanciare un alto grado di movimento e differenziazione economici con l'esistenza di uno spirito comune guidato dall'alto. Il progetto restò irrealizzato, poiché Hitler credeva che esso potesse essere realizzato solo dopo l'annientamento della potenza bolscevica e dopo la conquista dello spazio vitale dell'Est, ma è nondimeno ammissibile attribuire al nazionalsocialismo non solo una resistenza disperata contro uno sviluppo mondiale preponderante, ma anche l'anticipazione di possibilità positive del futuro". La polemica può quindi continuare.


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XX secolo
di François Furet e Ernst Nolte
Per leggere il Novecento fuori dai luoghi comuni

Il Novecento e i suoi totalitarismi, i gulag e Auschwitz, l'antisemitismo e l'Olocausto, il dopoguerra, la Germania di Adenauer e la Francia di de Gaulle, il '68 e la caduta del Muro di Berlino. Due tra i massimi storici contemporanei, François Furet ed Ernst Nolte, ripercorrono in quattro appassionanti dialoghi , svoltisi tra il '96 e il '97, le vicende salienti del secolo che volge al termine. Il risultato è una rilettura inedita e stringente, destinata a far molto discutere, dei fatti che sconvolsero l'Europa, e che ancora oggi allungano la loro ombra sul presente e sul futuro del nostro continente. François Furet è stato lo storico della Rivoluzione francese che ha analizzato con Il passato di un'illusione i motivi della fascinazione esercitata dall'idea comunista sul Novecento, Ernst Nolte è lo studioso tedesco, allievo di Heidegger, approdato alla storiografia con I tre volti del fascismo.

...Potrebbe tuttavia sembrare che ci sia tra noi un punto di divergenza assai netto. Lei scrive, nella annotazione già menzionata all'inizio, di dolersi molto del fatto che io sia andato troppo in là nella mia interpretazione e che abbia dato per la "paranoia antisemitica" di Hitler "una specie di motivazione razionale". Non ho certamente bisogno di sottolineare con lei il fatto che il singolare annientamento di massa procurato dalla teoria della "soluzione finale del problema ebraico" costituisca una motivazione pesante e inconfutabile per il focalizzarsi dell'attenzione tedesca sulla questione del nazionalsocialismo. Da parte sua, lei mi concederà certamente che non è peraltro lecito, nella storia, far valere e trattare il "singolare" come un "assoluto". Io aggiungo: un crimine di massa singolare non diviene meno malvagio e meno deprecabile quando se ne possa dare una motivazione razionale e afferrabile: penso piuttosto il contrario. Mi permetto di ricordarle che lei, in un saggio del 1978, ha criticato le fin troppo semplici interpretazioni del sionismo della sinistra francese e ha affermato che la natura del fenomeno non si deve separare dal messianismo ebraico. Lei non ha usato le virgolette e ha inteso il termine dunque come appropriato e lecito, benché lei naturalmente sappia bene come me che si può parlare altrettanto bene di un "messianismo sciita" o "russo"'. Ora io dico che anche la "soluzione finale" non può risultare spiegabile (verstehbar) - uso questo termine in quanto distinto da comprensibile (verständlich) - senza fare riferimento al "messianismo ebraico" come tale e alla rappresentazione che Adolf Hitler e non pochi tra i suoi seguaci si erano fatti di esso. Perciò non credo che il contrasto tra noi sia insuperabile. Tuttavia, si tratta, per usare le molto citate parole dello scrittore tedesco di origine francese Theodor Fontane, di "un campo assai ampio". Molte parole e considerazioni sarebbero necessarie per coltivarlo in modo adeguato. Ernst Nolte

...Io quindi penso che la tesi del fascismo come movimento "reattivo" al comunismo spieghi solo una parte del fenomeno. Ma non riesce a dar conto della peculiarità italiana o tedesca. E soprattutto non permette di capire l'origine e i tratti che i due fascismi possono avere in comune con il detestato regime comunista. Mi sono abbastanza diffuso su questo nel sesto capitolo del mio libro (pp. 192-193 in particolare) per non doverle risparmiare quella che rischierebbe d'essere una semplice ripetizione. Voglio comunque aggiungere che, nell'attribuire all'interiorità del bolscevismo sul fascismo un significato non solo cronologico ma anche causale, lei si espone all'accusa di voler in qualche modo discolpare il nazismo. L'affermazione secondo la quale il "Gulag ha preceduto Auschwitz" non è falsa, e nemmeno insignificante. Ma non nel senso di un nesso di causa-effetto. Trovo la stessa divergenza con lei nell'analisi da lei compiuta delle "motivazioni razionali" che l'antisemitismo hitleriano avrebbe avuto. Non che l'esistenza d'un gran numero di ebrei nei vari stati maggiori del comunismo mondiale, a cominciare dal partito russo, non sia un fatto accertato. Hitler e i nazisti però non ne avevano alcun bisogno per dare sostanza al loro odio verso gli ebrei, odio più antico della Rivoluzione d'ottobre. Fra l'altro, prima di loro, Mussolini, che tenevano in grande considerazione, aveva portato alla vittoria un fascismo anticomunista che non era antisemita. Qui ritrovo il disaccordo che mi separa da lei sulle origini del nazismo, origini ben più remote e più specificatamente tedesche di quanto non fosse l'ostilità verso il bolscevismo. Gli ebrei, prima di essere stati il capro espiatorio del bolscevismo, erano stati il capro espiatorio della democrazia. François Furet



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