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Nick: Bukowski7
Oggetto: Resoconto Elezioni Palestina
Data: 16/2/2006 3.12.6
Visite: 150

E' un pò (troppo) lungo, ma vale la pena leggerlo.
E' il resoconto di Ettor, un mio amico, che ha fatto l'osservatore elettorale per conto della
missione di "Action For Peace" alle elezioni palestinesi.

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ELEZIONI POLITICHE PALESTINESI (gennaio 2006)
alcuni dati e un tentativo di analisi


Politiche e Presidenziali 1996

Le prime elezioni nei territori palestinesi si sono tenute nel 1996 come
risultato degli accordi di Oslo che prevedevano la creazione di un
organo di autogoverno dei palestinesi nei territori occupati (Autorità
Nazionale Palestinese), Hamas, contraria gli accordi non partecipò alle
elezioni.
Le elezioni per la presidenza dell´ANP nel 1996 videro la netta
affermazione Abu Ammar (Arafat) che vinse con l´88,2 % delle preferenze,
la sua unica sfidante Samiha Khalil si fermò all´11,5 %.
Alle elezioni del 1996 per il parlamento palestinese (PLC - Palestinian
Legislative Council)
gli elettori registrati erano 1.028.280, parteciparono al voto il 71.66%
degli aventi diritto, il parlamento eletto (88 seggi) era così composto:

- Fatah: 55 seggi
- Indipendenti (appoggio a Fatah): 7 seggi
- Islamici indipendenti: 4 seggi
- Cristiani indipendenti: 3 seggi*
- Indipendenti: 15 seggi
- Samaritani: 1 seggio*
- Altri: 1 seggio
- Vacanti: 2 seggi

* (la legge elettorale del 1995 prevedeva tre seggi da assegnare ai
Cristiani e uno ai Samaritani)
La legge non prevedeva una quota per le donne, furono comunque 5 le
donne elette tra le 25 candidate.

Il mandato del presidente e del PLC dura quattro anni, scadeva quindi
nel 2000, lo scoppio della seconda intifada e la percezione da parte di
Fatah che il suo consenso si era eroso, hanno fatto slittare le elezioni
di quasi sei anni.

Presidenziali 2005

Dopo la morte di Arafat nel novembre del 2004, sono state indette nuove
elezioni per la Presidenza dell´ANP, le elezioni del gennaio del 2005
eleggono Abu Mazen con il 62% dei consensi, Hamas non presenta suoi
candidati, quello che segue è un prospetto dettagliato dei risultati:

1) Mahmoud Abbas-Abu Mazen, candidato di Fatah (62.52%)
2) Mustafa Barghouthi, candidato indipendente (19.48%)
3) Tayseer Khaled, candidato del Fronte Democratico per la Liberazione
della Palestina (3.35%)
4) Abd Al-Halim Al-Ashqar, candidato indipendente (2.76%)
5) Bassam Al-Salhi, candidato del Partito del Popolo (2.67%)
6) Sayyed Barakeh, candidato indipendente (1.30%)
7) Abd Al Karim Shbair, candidato independente (0.71%)

Politiche 2006

La nuova legge elettorale approvata nell´agosto del 2005 prevede un
aumento dei seggi da 88 a 132. La metà dei seggi si elegge (come nel
1996) con un sistema maggioritario che divide i territori occupati in 16
distretti elettorali (11 nella West Bank e 5 nella striscia di Gaza),
ognuno dei quali elegge un numero di parlamentari proporzionale al
numero di abitanti del distretto secondo lo schema che segue:

WEST BANK
1) Gerusalemme: 6 seggi (2 cristiani)
2) Tubas: 1 seggio
3) Tulkarem: 3 seggi
4) Qalqilya: 2 seggi
5) Salfit: 1 seggio
6) Nablus: 6 seggi
7) Jericho: 1 seggio
8) Ramallah & al-Bireh: 5 seggi (1 cristiani)
9) Jenin: 4 seggi
10) Betlemme: 4 seggi (2 cristiani)
11) Hebron: 9 seggi

GAZA
12) Gaza Nord: 5 seggi
13) Gaza: 8 seggi (1 cristiani)
14) Deir al- Balah: 3 seggi
15) Khan Younis: 5 seggi
16) Rafah: 3 seggi

TOTALE: 66 seggi (di cui sei da assegnare ai cristiani)

L´altra metà dei seggi si elegge attraverso un sistema proporzionale con
lo sbarramento al 2%, i partiti e i movimenti politici presentano delle
liste chiuse di candidati, tutti i territori occupati sono considerati
un´unica circoscrizione elettorale, viene eletto un numero di candidati
proporzionale ai voti presi dalla lista, seguendo l´ordine in cui
compaiono nella lista (è lo stesso sistema proporzionale con liste
bloccate con il quale voteremo in Italia ad aprile del 2006).
Nelle liste nazionali (proporzionale) c´è un 20 % di quota riservata
alle donne, in pratica compare una donna ogni cinque candidati. Nelle
liste dei distretti (maggioritario) non sono previste quote per le
donne, tra i 414 candidati dei distretti compaiono solo 15 donne.

LISTE NAZIONALI

1) L'alternativa (coalizione tra Fronte Democratico per la Liberazione
della Palestina, FIDA, Partito del Popolo e indipendenti)
2) Palestina Indipendente (guidata da Mustafa Barghouthi)
3) Martiri di Abu Ali Mustafa (Fronte Popolare per la Liberazione della
Palestina)
4) Martiri di Abu al Abbas (Fronte Lotta Popolare)
5) Libertà e Giustizia Sociale
6) Cambiamento e Riforma (Hamas)
7) Coalizione Nazionale per la Giustizia e la democrazia (Wa´ad)
8) La Terza Via (guidata da Salam Fayyad e Hanan Ashrawi)
9) Libertà ed Indipendenza
10) Giustizia Palestinese
11) Movimento di Liberazione Nazionale Palestinese - Fatah (capolista
Marwan Barghouthi)

Gli elettori registrati sono stati 1.341.671, hanno partecipato al voto
1.011.992 a cui vanno aggiunti circa 50.000 membri delle forze di
sicurezza che hanno votato con 48 ore di anticipo, l´affluenza è stata
del 77% degli aventi diritto, questi i risultati definitivi:

FORMAZIONE POLITICA - Voti (numero) - (%) - Seggi
(proporzionale/uninominale)

Cambiamento e Riforma (Hamas) - 434.817 - 42.9 - 76 (30/46)
Fatah - 403.458 - 39.8 - 43 (27/16)
Martiri di Abu Ali Mustafa (FPLP) - 41.671 - 4.1 - 3 (3/0)
L'alternativa (FDLP,PP,FIDA,indipen.) - 28.779 - 2.8 - 2 (2/0)
Palestina Indipendente - 26.554 - 2.6 - 2 (2/0)
La Terza Via - 23.513 - 2.3 - 2 (2/0)
Indipendenti (di cui 3 vicini ad Hamas) - 4 (0/4)
Altri - 53.200 - 5.2 - 0 (0)

TOTALE: 1.011.992 - 100 - 132 (66/66)

Il numero delle parlamentari donne è passato da sei a sedici, quasi
tutte elette nelle liste nazionali in virtù della quota a loro riservata.

Lezioni di democrazia

Israele non è più l´unica democrazia del medioriente,
Le elezioni palestinesi sono state monitorate da 17.200 osservatori
locali, e da circa 800 tra osservatori "ufficiali" (unione europea e
nazioni unite) e "volontari" (associazioni, partiti e reti di
solidarietà internazionali, tra cui noi della missione di Action For Peace)
Il nostro intento primario non era quello di verificare la correttezza
delle operazioni di voto ma di controllare che le forze di occupazione
israeliane garantissero la libertà di movimento e permettessero ai/alle
palestinesi di esercitare il loro diritto di voto.
Premesso ciò, rileviamo ancora una volta (come alle presidenziali del
2005) che le operazioni di voto si sono svolte in modo corretto e
trasparente; il silenzio elettorale e il divieto di campagna elettorale
all´esterno dei seggi è stato spesso disatteso, anche se in modo
proporzionale al peso politico delle varie forze in gioco, e nessuno ne
ha tratto vantaggi eccessivi.

E´ importante tenere presente un dato::
L´ANP governa un territorio che da 39 anni è occupato militarmente da
un´altro stato, un´occupazione la cui brutalità è cresciuta in maniera
impressionante dallo scoppio della seconda intifada nel 2000. L´avanzare
inesorabile del muro e delle colonie stanno frazionando, secondo un
metodo scientifico, quel 22% di territorio che resta della Palestina
storica (sul quale dovrebbe nascere lo stato palestinese), le difficoltà
di movimento dovute ai check point, l´elevato tasso di disoccupazione e
gli oltre 9000 prigionieri palestinesi ancora nelle galere israeliane
(tra cui una decina di candidati delle diverse liste) sono solo gli
aspetti più evidenti del perdurare dell´occupazione.
Aspetti che ricordano quotidianamente, ai palestinesi prima che alla
comunità internazionale, a che punto è il processo di pace, smascherando
senza troppe difficoltà le mitologie circolanti sui media rispetto al
disimpegno da Gaza e alle presunte aspirazioni alla pace di Sharon e del
governo israeliano.
In questo contesto, ricordiamolo sempre, oltre un milione di palestinesi
si sono disciplinatamente messi in fila fuori dai seggi il 25 gennaio
dalle prime luci dell´alba fino a sera.
In questo contesto, fuori dai seggi (in modo un po meno disciplinato)
hanno dato vita ad una sorta di festa popolare in cui tutti: giovani e
anziani, donne e bambini, ognuno con le proprie bandiere e i propri
colori, esprimevano la gioia, l´orgoglio e la consapevolezza di essere
partecipi di un momento storico per i palestinesi e non solo.
I palestinesi e le palestinesi hanno dato al tutto il mondo una lezione
di democrazia.
Al mondo arabo innanzitutto, in cui le elezioni quando ci sono, sono
parziali e poco significative sulle scelte dei governi; e poi al mondo
occidentale che accecato da una rigurgito neocolonialista ed
etnocentrico considera "democratiche" solo le scelte gli risultano
gradite e sulle quali può esercitare una qualche influenza (Iraq,
Afghanistan)

Cambiamento e Riforma

Tutti si aspettavano una buona affermazione di Hamas alle elezioni, lo
scenario più probabile prevedeva che prendesse una maggioranza relativa
costringendola a cercare alleati tra le altre forze politiche per far
nascere un governo di coalizione.
Come abbiamo visto le cose sono andate diversamente, sorprendendo forse,
gli stessi esponenti di Hamas.
Il sistema elettorale misto, comunque a base maggioritaria, ha permesso
ad Hamas di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento
con meno del 43% dei consensi (Fatah staccata di soli 3 punti
percentuale, ottiene circa 30 seggi in meno).
Una vittoria schiacciante soprattutto nei distretti locali, dove Fatah
certo paga il prezzo di divisioni interne (molti candidati di Fatah si
sono presentati come indipendenti), di anni malgoverno e corruzione ma
anche, e sopratutto, dello scarso radicamento sul territorio dei
candidati; esponenti dell´alta borghesia e di famiglie il cui prestigio
risale alla dominazione ottomana; imprenditori e politici di professione
che si muovono con auto di lusso dalle proprie dorate residenze verso
Ramallah o Amman, aggirando con permessi ed espedienti i blocchi e le
chiusure che la gente normale deve subire.
Hamas ha risposto con persone semplici dalla provata onestà, vicini alle
esigenze del popolo, spesso provenienti da quel laboratorio di
disperazione, povertà e radicalismo che sono i campi profughi.
Religiosi, insegnanti, professionisti che per conto di Hamas e con fondi
provenienti dagli stati petroliferi del golfo (Arabia Saudita in primis)
sono stati promotori di iniziative a carattere sociale che in questi
anni hanno riempito il vuoto di servizi esistente.
Mancanza di strutture e servizi sociali (ospedali, scuole, etc) prodotto
dalla mala amministrazione di Fatah e dalla politica israeliana che
durante l´intifada ha preso di mira tutte le infrastrutture dell´ANP.

La vittoria di Hamas è soprattutto il risultato del desiderio di
cambiamento di un popolo sfiduciato e deluso, abbandonato dalla comunità
internazionale e dal suo diritto che dimostra ancora una volta di essere
"universalmente riconosciuto" solo quando è funzionale a determinati
interessi.
La società palestinese non è diventata una società islamica il 25 di
gennaio.
Il laicismo che l´ha sempre caratterizzata ha cominciato a scricchiolare
negli ultimi 15 anni a causa del continuo peggioramento della situazione
sul terreno che ha portato la popolazione (sopratutto quella più giovane
che è la maggioranza) a cercare conforto nella religiosità.
Un sentimento che è stato strumentalizzato dai movimenti politici
internazionali di ispirazione islamica, all´inizio anche dal governo
israeliano, con l´intento di indebolire Fatah e l´Organizzazione per la
Liberazione della Palestina, tradizionalmente laiche.
Le istanze islamiche all´interno della società palestinese non
rappresentano comunque più di un terzo della popolazione.
Il resto dell´elettorato di Hamas esprime un voto di protesta, contro la
corruzione e le divisioni dentro Fatah, ma anche un monito per le forze
laiche e democratiche della sinistra radicale che si è presentata divisa
in quattro liste riuscendo a raccogliere meno del 12% dei consensi e
ottenendo appena 9 seggi.

Scenari futuri (Palestina)

Hamas potrebbe governare da sola, ma non vuole, e forse non è in grado
di farlo.
Molti dei capi politici e militari sono stati uccisi o sono in prigione,
fino ad oggi Hamas ha governato solo alcune amministrazioni locali
(spesso in giunte miste con Fatah o con la sinistra), non sappiamo se ha
le competenze e gli uomini (o le donne) necessarie per amministrare uno
stato, se pure embrionale come l´ANP.
I risultati elettorali hanno lasciato spiazzati gli stessi politici di
Hamas, che stanno gestendo questa prima fase post-elettorale con un
pragmatismo e un´intelligenza che lascia delusi molti osservatori
occidentali che preferirebbero vedere confermate la tesi secondo la
quale "i barbari hanno preso il potere".
L´invito fatto a Fatah di dare vita ad un governo di unità nazionale ha
un doppio significato.
Da un lato solleva Hamas da parte delle responsabilità che comporta
l´amministrazione dell´ANP riservandosi di governare i settori in cui si
sente sicura come l´educazione e la sanità o quelli in cui pensa sia
necessaria una forte inversione di tendenza, l´economia sopratutto, ma
anche la sicurezza interna.
Questo gli permetterebbe di lasciare settori più delicati e spinosi come
la politica estera o la difesa a Fatah (ed eventualmente ad altre forze
di sinistra), per poter in futuro scaricare su di loro le colpe di un
eventuale fallimento.
Questo introduce un´elemento di novità spesso sottovalutato, che è il
secondo significato di questa scelta.
Un governo democratico è un governo che rappresenta tutte le componenti
di uno stato, che Hamas rappresentasse una porzione rilevate della
popolazione palestinese è una cosa nota da tempo. Fino ad oggi però è
stato impossibile includere Hamas nel governo dell´ANP, se Abu Mazen, o
Arafat prima di lui, lo avessero fatto, avrebbero offerto la sponda ad
accuse di "radicalismo" da parte della comunità internazionale e di
Israele. Ora la situazione è ribaltata, se Hamas riesce a formare un
governo di larga coalizione, questa sarà avvertita dal mondo come una
scelta di "moderatismo".
Quando una forza radicale entra nel gioco politico, scende anche a patti
con le regole della politica, che costringe a cercare compromessi e
alleanze, è con questa esigenza che Hamas ora si trova a fare i conti.
Questo è un dato positivo, sul quale bisognerebbe riflettere.
Gli scenari apocalittici e funzionali allo scontro di civiltà che
prevedono la nascita di uno stato islamico con la Shari´a come legge di
stato in Palestina, sembrano poco credibili, almeno nel breve periodo.
Come si è detto la maggioranza del popolo palestinese non desidera lo
stato islamico che pure, innegabilmente è nelle aspirazioni di Hamas, il
tessuto della società civile palestinese è vigile, abbiamo visto già dai
primi giorni una rinnovata attenzione da parte delle associazioni e dei
comitati di donne, di lavoratori e dei diritti umani sulle intenzioni di
Hamas in questi campi.
Le resistenze del tessuto democratico palestinese sono fortunatamente
molto forti, tutti nei territori della Palestina occupata se ne rendono
conto e nessuno è disposto a rischiare una guerra civile per imporre il
velo alle donne o per vietare la vendita di alcolici...

Scenari futuri (Israele e il resto del mondo)

Sarebbe forse il caso di sorvolare sulle reazioni a dir poco scomposte
della comunità internazionale rispetto alla vittoria di Hamas, forse
sarebbe il caso di sorvolare, o forse no.
Che gli Stati Uniti d´America reagiscano in modo miope ed irresponsabile
non stupisce nessuno. Invece stupisce, dispiace e preoccupa la reazione
dell´Europa e anche di larga parte della sinistra italiana.
Hamas è una delle componenti della resistenza palestinese, la cui
politica, tra l´altro fallimentare, degli attentati suicidi contro i
civili israeliani, non è approvabile ne difendibile, ma è l´espressione
politica democraticamente eletta di un popolo, rimarrà al governo (se ci
riesce) per i prossimi quattro anni, poi se le politiche che attuerà
saranno soddisfacenti agli occhi della maggioranza dei palestinesi sarà
riconfermata, altrimenti sarà sostituita da un´altra maggioranza.
Come è normale che sia in un qualunque sistema democratico che funzioni.
Nessuno si stupisce o si indigna se in Israele viene eletto primo
ministro un criminale di guerra condannato per crimini contro l´umanità,
o se nel parlamento israeliano forze fondamentaliste e razziste hanno un
peso notevole nelle scelte del governo, nessuno minaccia di bloccare i
finanziamenti esteri senza i quali, lo sappiamo bene, l´economia
israeliana collasserebbe.
Lo stesso rispetto per la democrazia e per le scelte di un popolo è non
solo auspicabile rispetto alle elezioni palestinesi, ma anche
necessario, altrimenti corriamo il rischio di ripetere gli stessi errori
commessi una quindicina di anni fa in Algeria, dove un governo
democraticamente eletto è stato rovesciato da un colpo di stato con
l´approvazione dell´occidente, dando inizio ad una sanguinosa guerra
civile che ha provocato più di un milione di morti.
Il concetto stesso di terrorismo in Palestina-Israele è relativo, nella
seconda intifada sono morti un migliaio di israeliani e più di tremila
palestinesi, la maggior parte dei quali erano civili, bombardati da
caccia, abbattuti da cecchini o semplicemente lasciati morire in
un´ambulanza ferma ad un check point, effetti collaterali di una guerra
condotta (come tutte le guerre moderne) con metodi terroristici e criminali.
Se l´Europa e soprattutto la sinistra europea vuole veramente
contrastare la politica neo-imperialista dell´attuale amministrazione
americana e dei suoi alleati, è ora che cominci a porsi come reale
alternativa sopratutto sui grandi temi di politica internazionale,
altrimenti non ci sarà argine a lento franamento verso la guerra di civiltà.
Hamas ha detto molto chiaramente che è ben disposta verso gli aiuti e
l´amicizia dei paesi occidentali, ha detto altrettanto chiaramente che,
poiché il popolo palestinese non può fare a meno dei finanziamenti
esteri, se l´occidente blocca gli aiuti, andrà a cercare quegli aiuti
altrove, e altrove significa in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi, in
Iran, e negli stati "amici" che già da anni finanziano il movimento di
Hamas.
Tutti ci auguriamo che l´Europa e la sinistra siano in grado di fare
scelte adeguate alla sfida e non decidano invece di lasciare la
questione del finanziamento nelle mani di regimi che totalitari e
oppressivi lo sono da decenni, non da oggi.

Rispetto alle relazioni tra Hamas e lo stato d´Israele il discorso è più
complesso, ma non privo di risvolti interessanti.
La prima cosa sulla quale fare chiarezza è la questione della presunta
volontà di distruzione dello stato di Israele da parte di Hamas, che
(formalmente) non ne riconosce l´esistenza.
Come sappiamo le elezioni e l´ANP sono un prodotto degli accordi di Oslo
che prevedevano appunto il riconoscimento da parte dei palestinesi del
diritto ad esistere dello stato d´Israele, e come abbiamo detto Hamas
non vi partecipò. E´ chiaro che a dispetto delle dichiarazioni di forma
dettate spesso dalla necessità di mantenere un consenso tra la
popolazione, la sua partecipazione a queste elezioni e precedentemente
l´aver stipulato una tregua (tuttora in vigore) con Israele, dimostrano
che nei fatti Hamas riconosce lo stato d´Israele come soggetto con il
quale trattare.
D´altro canto in Israele le dichiarazioni della prima ora sono state
quelle che tutti ci aspettavamo: "non trattiamo con i terroristi" "non
c´è partner per la pace" etc. etc.
Che sono poi le stesse dichiarazioni sentite negli anni passati riferite
all´OLP, ad Arafat, all´ANP o ad Abu Mazen.
Però già si sente qualche voce affermare che essendo Hamas la forza più
intransigente rispetto a Israele è proprio con lei che bisogna trattare.
Certo a marzo ci saranno le elezioni anche in Israele e durante la
campagna elettorale la destra non esiterà ad usare la vittoria di Hamas
contro i suoi nemici politici, affermando che è un risultato del
disimpegno da Gaza. Ancora una volta c´è da augurarsi che il nuovo
partito laburista guidato da Peretz, un sefardita che sin dall´inizio si
è detto disposto a dialogare con i palestinesi, sappia rispondere
ponendosi come reale alternativa.
Di sicuro bisogna rilevare che il tempo in cui Rabin e Arafat miravano a
trovare una soluzione definitiva al conflitto è passato, da anni in
Israele, e ora anche in Palestina, non c´è nessuno che stia lavorando ad
una soluzione definitiva, entrambi gli attori di questo conflitto sono
convinti il tempo giochi a loro favore.
E infatti il primo segnale di Hamas nei confronti di Israele è la
disponibilità a trattare una tregua anche decennale in cambio di una
cessione di territori da parte di Israele, che è all´incirca l´offerta
che Peretz farebbe se vincesse le elezioni...

Ettore Acocella
osservatore elettorale per conto dell´Associazione per la Pace

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Grazie a chiunque abbia avuto la forza e
la saggezza per leggerlo tutto.
"Se mi amate, dovreste uccidervi tutti"
(Spider Jerusalem)

"Noi/ generazione post BR figli della bomba/ voi/ generazione di PR figli della bamba...



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