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Nick: Casual
Oggetto: Perche' dicono NO inceneritore
Data: 16/2/2006 14.5.0
Visite: 167

E' una versione un po' lunga di un mio articolo della scorsa settimana sulla questione dell'inceneritore di Acerra. Si parte dalle dichiarazioni di Prodi a porta a porta e si analizzano le possibili alternative alla logica dell'incenerimento. A volte la soluzione che sembra più semplice, in questo casi inceneritore = posti di lavoro e meno rifiuti per le strade, non sempre è quella più utile da praticare. Per chi ha voglia e tempi ci sono delle spiegazioni sulla "strategia rifiuti-zero", adottata da molte delle più importanti città mondiali. Quindi non un'utopia, ma una scelta praticabile.

PS E' lungo, quindi se non vi va levate mano.

«Chiedo di incontrare Romano Prodi». Così replica il sindaco di Acerra, Espedito Marletta, alle dichiarazioni del leader unionista sull'inceneritore, nella trasmissione televisiva "Porta a Porta" di martedì scorso. «Se Prodi non conosce il caso Acerra - aggiunge Marletta - mi dia la possibilità di incontrarlo subito, gli spiegherò perché chiediamo la chiusura del cantiere e l'interruzione definitiva dei lavori».

Non ci sta il primo cittadino, a veder finire la sua comunità sul banco degli imputati per la nuova ed eterna crisi dei rifiuti in Campania. «È una grande eco-balla affermare che se ci fosse stato il termovalorizzatore si sarebbe scongiurata l'emergenza. Ministero dell'Ambiente e giustizia amministrativa hanno sancito che nei termovalorizzatori non possono essere bruciati i rifiuti attualmente lavorati negli impianti di CDR, perchè non hanno le caratteristiche di legge. La soluzione vera è costruire gli impianti per il riciclaggio e far partire immediatamente la raccolta differenziata».

L'invito al leader dell'Unione sembra però, almeno per ora, caduto nel vuoto. Esempio di un rapporto distorto fra gli amministratori locali e i vertici regionali e nazionali dei partiti. Problema che si ripropone per il nuovo piano regionale dei rifiuti che sarà presentato il prossimo 31 maggio e la cui elaborazione non sta avvenendo attraverso il confronto con i cittadini e le istituzioni locali.

Assenza di trasparenza, partecipazione e informazione per una misura che punta ancora sulla logica dell'incenerimento, portando a 5 gli impianti nella regione e riducendone le dimensioni. Scelta che rende ancora più incomprensibile la costruzione dell'ecomostro acerrano, che non tiene conto della raccomandazione di chiusura del cantiere, contenuta nel decreto di rifinanziamento del commissariato straordinario dello scorso 27 gennaio.

Quello che appare certo è che Acerra non vuole l'inceneritore, piuttosto una bonifica che risani il territorio e gli restituisca l'originale vocazione agricola. E lo ha ribadito domenica scorsa con un'iniziativa pubblica, svoltasi anche a Napoli, per raccogliere firme contro il finanziamento pubblico all'incenerimento. Attraverso il meccanismo dei «certificati verdi», infatti, l'energia prodotta attraverso i termovalorizzatori viene considerata alternativa e quindi ammessa ai finanziamenti pubblici, che sommati a quelli diretti presenti nella bolletta Enel, corrispondono - secondo le stime degli attivisti - a circa il 12 % del totale.

«Il cantiere va chiuso subito e se non lo chiudono le istituzioni lo faranno le popolazioni come sta accadendo in Val di Susa», dice senza mezzi termini Mario Avoletto della «Rete campana salute e ambiente», una sigla che raccoglie il dissenso all'inceneritore di Acerra, ma anche alla Centrale a turbogas di Salerno e alla piattaforma per i rifiuti tossici di Pignataro Maggiore.

E se il subcommissario all'emergenza rifiuti in Campania, Ciro Turiello, avverte che la regione dovrà fare i conti con l'emergenza rifiuti ancora per un mese, puntando l'indice contro la protesta perchè a suo dire «non basta il no agli impianti, ma bisogna indicare altre soluzioni possibili», gli attivisti replicano annunciando la nascita dell'«Osservatorio popolare sui rifiuti».

«Entro marzo sarà pronto un piano regionale alternativo, ispirato alla strategia dei "rifiuti zero" - continua Avoletto - pratica già adottata da molte importanti città in tutto il mondo». Il piano è articolato su una strategia di lungo periodo, ma anche su alcuni passaggi chiave attuabili subito. Innanzitutto ridurre a monte la produzione di materiale non riciclabile, anche attraverso interventi legislative che prevedano l'estensione della responsabilità al produttore. Quello che non si ricicla non va prodotto e su chi lo produce vengono fatti ricadere gli oneri dello smaltimento.

Privilegiare nella scelta delle forniture alle amministrazioni pubbliche, quei soggetti che si adeguano alle disposizioni contenute nel piano. Poi l'avvio deciso della raccolta differenziata spinta, porta a porta, finalizzata al riuso, e non attraverso l'ausilio dei contenitori posti in strada, che in una prima fase vanno comunque aumentati e collocati sull'intero territorio regionale. In questo modo risulterebbe più agevole la separazione della percentuale di materiale organico, stimata intorno al 30, 35% del contenuto di un sacchetto di rifiuti, che va poi compostata o sottoposta a un procedimento biologico-meccanico. Infine il trattamento a freddo di quello che non può essere riciclato, una tecnica antitetica al principio della termovalorizzazione.

Puntare al recupero di materia, piuttosto che a quello di energia, idea avallata anche da una recente dichiarazione ufficiale della banca mondiale che ha manifestato forti dubbi sulla convenienza economica della produzione di energia dall'incenerimento dei rifiuti urbani. Il teleriscaldamento e la produzione di acqua sanitaria, in pratica il riscaldamento dell'acqua utilizzabile a uso domestico, sono efficacy solo nell'esiguo raggio di 2,5 km dalla centrale. Per avere una resa energetica adeguata bisognerebbe costruirne diversi nel territorio di una città.

Alla strategia dei «Rifiuti zero» ha aderito nel novembre del 2005 Buenos Aires, ultima arrivata in una lista che include Los Angeles, New York, Toronto, Seattle, Canberra, la California, l'Australia e la Nuova Zelanda. «Certo è una strategia di lungo periodo - dice Sabina Laddaga, un'altra attivista della rete campana per la salute e l'ambiente -, a Canberra sono stati necessari 10 anni per passare da una percentuale dell'80% dei rifiuti in discarica e 20% riciclati, a una situazione che oggi è esattamente speculare con punte di riutilizzo di materia che tocca anche picchi vicini al 90%. Ci vuole tempo, ma prima o poi si dovrà iniziare».

Tra l'altro l'inceneritore non incide davvero sull'emergenza rifiuti della regione, rappresentata da un milione di tonnellate di cosiddette eco-balle, un nome politicamente corretto per indicare in realtà delle bombe ecologiche. «Chi ha imballato eco-balle, materiale non separato, dal basso potere energetico, oltre che altamente inquinante, invece che CDR previsto dalla legge? Chi evidenzierà le responsabilità della Fibe per aver creato delle discariche a cielo aperto piuttosto che siti di stoccaggio?», chiede Laddaga. Domande che aprono squarci e possibili ulteriori risvolti giudiziari come corollario al fallimento del piano dei rifuti in Campania.

L'Osservatorio provinciale dei rifiuti, è stato istituito nel 2002 nell'ambito dell'Area di tutela ambientale e ha sede a Napoli, in via Don Bosco. Fra i suoi compiti ci sono l'informazione ai cittadini e alle imprese, e la formazione agli operatori e agli enti pubblici. In realtà, la responsabile, Giovanna Napolitano, informa che la struttura si avvale del lavoro di una sola persona, Daniela Moriello, e che al momento sono stati raccolti i dati del 2003, e solo parzialmente quelli relativi al 2004 e 2005. Nulla, tuttavia, è stato pubblicato, in palese violazione delle norme statutarie.
«È necessario richiamare le istituzioni alle loro responsabilità - conclude Mario Avoletto -, e visto che il comune di Napoli è il maggior produttore di rifiuti della regione, chiederemo ai candidati sindaci di esprimersi esplicitamente sull'inceneritore di Acerra».

http://rosariodelloiacovo.blog.kataweb.it



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