>nearly black<
Le giornate piene di vento t'attraversano gli abiti, come la strada, i marciapiedi e tutto il resto.
Sta li a pensare se aprire o chiudere l'ombrello, e perdi motivazione, se mai ce ne fosse una, a seguire il passo li dove t'eri promesso di menarlo.
Scendi le scale, sali le scale, stringi il cappotto, taglia i pensieri.
Manca poco e dimentico totalmente chi sono, uno stato confusionale degno del peggior veleno.
Scenario ciclico e impietoso:
umore di merda, una mina sta per esploderti dentro, e il cielo scuro si fa tutto complice a quell'ansia abbandonica che tua madre t'ha lasciato in dono nel codice genetico.
Pazienza, il biglietto ha un orecchio e non entra..sarebbe bene pensare solo a quello.
Entri, come per miracolo, l'unico, in un metrò qualunque, perchè nonostante il presunto futurismo della "mobile" e i reperti o referti artistici, la metro è uguale ovunque, il vento, lo stesso rumore metallico e i passi stanchi della gente.
La gente.
Cappelli e cappotti che si trascinano dentro una giornata pesante:
una piange , uno ride, l'altro mastica la gomma, uno parla da solo (molti), qualcuno recita il rosario, sotto sotto la bocca, qualcuno ascolta musica, dentro dentro l'orecchio.
Cosa ascolti "bella ciao?", io no, non mi sento mica sola senza l'ipod, sai...
Dopo l'attesa e gli sguardi circospetti, sali, ti siedi e stendi le gambe, un poco.
E in "volo" l'occhio ti cade distratto sul posto del passeggero di fronte, riservato ai mutilati di guerra.
Uno stato che sa prendersi cura di chi ha condonato alla patria il suo braccio...e le mie membra avvilite come il resto della mia generazione a quanto le compri?
Neanche un distributore di camomille calde all'ingresso.
Nessuno mi ama, nessuno ci ama, nè sono quasi certa una volta rientrata a casa.