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Nick: KraZyGiRL
Oggetto: bush
Data: 21/11/2003 2.59.23
Visite: 150

uHm.. interessante -_- ... era troppo lungo allora ho scelto i commenti + "interessanti" ...

CASA BIANCA
Ufficio dell’addetto stampa
6 novembre 2003

DICHIARAZIONI DEL PRESIDENTE IN OCCASIONE DEL VENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA NATIONAL ENDOWMENT FOR DEMOCRACY
Washington D.C.

...Nel giugno 1982, in un discorso a Westminster il presidente Ronald Reagan dichiarava che si era giunti ad una svolta della Storia. Sosteneva che il comunismo sovietico era fallito, proprio perché non rispettava il suo popolo, non rispettava la creatività, l’intelligenza e i diritti dei suoi cittadini.

Il presidente Reagan affermava che la tirannia sovietica stava scomparendo, la libertà acquistava un nuovo slancio che non poteva essere fermato. In quel momento, affidó a questa organizzazione il suo mandato: imprimere ulteriore forza alla libertà in tutto il mondo. Il vostro compito era importante vent’anni fa, ed ha la stessa importanza oggi.

Alcuni detrattori sottovalutarono quel discorso. In un editoriale di quel tempo si legge, "sembra difficile essere allo stesso tempo un cittadino europeo raffinato e un ammiratore di Ronald Reagan". Alcuni osservatori in entrambi i continenti definirono quel discorso semplicistico e naïf, e persino pericoloso. In realtà, le parole di Ronald Reagan erano piene di coraggio e di ottimismo, e completamente vere.

Il grande movimento democratico descritto dal presidente Reagan era già molto ben avviato. All’inizio degli anni ’70, c’erano circa 40 democrazie nel mondo. Alla metà di quello stesso decennio, si tenevano elezioni democratiche in Portogallo, Spagna e Grecia. Di lì a poco sorgevano nuove democrazie in America Latina e istituzioni democratiche si diffondevano in Corea, Taiwan e Asia Orientale.

Proprio questa settimana, nel 1989, si svolgevano dimostrazioni a Berlino Est e a Lipiza. Alla fine di quell’anno, tutte le dittature comuniste dell’America centrale erano cadute.

L’anno successivo, il governo sudafricano liberava Nelson Mandela. Quattro anni dopo, egli veniva eletto presidente del suo Paese, passando, come Walesa e Havel, dalla condizione di prigioniero a quella di capo di Stato.

Alla fine del XX secolo, nel mondo c’erano 120 democrazie, e vi posso assicurare che ve ne sono altre in arrivo. Ronald Reagan ne sarebbe lieto, e non ne sarebbe sorpreso.

Nell’arco di poco più di una generazione, siamo stati testimoni della più veloce avanzata della libertà da quando la storia della democrazia ebbe inizio 2500 anni fa. In futuro gli storici spiegheranno i motivi per cui ciò è accaduto. Tuttavia già conosciamo alcune delle ragioni che verranno citate. Non è un caso che l’ascesa di tante democrazie si sia verificata in un momento in cui la nazione più influente era lei stessa una democrazia.

Gli Stati Uniti si sono assunti responsabilità morali e militari in Europa e in Asia, e il loro impegno ha difero le nazioni libere dagli aggressori ed ha creato le condizioni per lo sviluppo di nuove democrazie. Nell’offrire sicurezza a intere nazioni, abbiamo anche dato l’ispirazione a popoli oppressi. Nei campi di prigionia, nelle assemblee sindacali messe al bando, nelle chiese clandestine, uomini e donne sapevano che non tutto il mondo condivideva il loro incubo. Sapevano di almeno un Paese, di una terra della speranza, dove la libertà era rispettata e al sicuro, e pregavano affinché l’America non li dimenticasse, e non dimenticasse la sua missione di promuovere la libertà nel mondo.

Il progresso della libertà è una corrente di enorme potenza. Tuttavia, sappiamo anche che la libertà, se non viene difesa, può essere perduta. Il successo della libertà non dipende dall’abilità dialettica della Storia. Per definizione, il successo della libertà poggia sulle scelte e sul coraggio dei popoli liberi, e sulla loro disponibilità al sacrificio. Nelle trincee della Prima guerra mondiale, durante la guerra degli anni ’40 combattuta su due fronti, nelle difficili battaglie in Corea e in Vietnam, e nelle missioni di soccorso e nelle campagne di liberazione in quasi ogni continente, gli americani hanno dato ampia prova della loro disponibilità al sacrificio per la libertà.

Non sempre il sacrificio degli americani è stato riconosciuto o apprezzato, cionondimeno ne è valsa la pena. Grazie alla risolutezza nostra e dei nostri alleati, la Germania e il Giappone sono oggi nazioni democratiche che non minacciano più il mondo.

Il contrasto nucleare con l’Unione Sovietica è finito pacificamente, come è finita l’Unione Sovietica stessa. Le nazioni d’Europa marciano verso l’unione e non si dividono in opposte fazioni, degradandosi fino al genocidio. Tutte le nazioni hanno imparato, o avrebbero dovuto imparare, una lezione importante: vale la pena di lottare, morire e stare sempre dalla parte della libertà – e l’avanzamento della libertà conduce alla pace.

Ed ora dobbiamo applicare quella lezione al nostro tempo. Abbiamo raggiunto un altro importante punto di svolta, e la determinazione che mostriamo ora delineerà la prossima fase del movimento mondiale per promuovere la democrazia.

Il nostro impegno verso la democrazia è messo alla prova in Paesi come Cuba, il Myanmar, la Corea del Nord e lo Zimbabwe, avamposti di oppressione nel mondo.

I popoli di queste nazioni vivono prigionieri, nella paura e nel silenzio. Ma i loro regimi non potranno impedire la libertà per sempre. Un giorno, dai campi di prigionia, dalle carceri e dall’esilio arriveranno leader di democrazie nuove. Il comunismo, il militarismo e il governo di persone imprevedibili e corrotte rappresentano i resti di un’era al tramonto. Noi staremo al fianco di questi popoli oppressi fino al giorno in cui saranno finalmente liberi.

Il nostro impegno nella democrazia è messo alla prova in Cina. Quel paese ora gode di un pezzetto, un frammento di libertà. Tuttavia, un giorno, il popolo cinese reclamerà la sua libertà totale. La Cina ha scoperto che la libertà economica conduce al benessere nazionale. I leader cinesi scopriranno inoltre che la libertà è indivisibile e che libertà sociale e quella religiosa sono anch’esse essenziali alla grandezza nazionale e alla dignità di un popolo. Un giorno, uomini e donne che già godono del benessere economico personale rivendicheranno anche il controllo delle loro vite e del Paese.

[...]

Tuttavia, oggi in Medio Oriente è in atto una grande sfida. Nelle parole di un recente rapporto redatto da studiosi arabi, l’onda globale della democrazia ha, e cito, "lambito appena gli stati arabi". E aggiungono: "Questo deficit di libertà mina lo sviluppo umano e costituisce una della manifestazioni più dolorose della lentezza dello sviluppo politico". Il deficit di libertà che essi descrivono ha conseguenze terribili per i popoli del Medio Oriente e per il mondo intero. In molti Paesi mediorientali la povertà è profondamente radicata e in espansione, alle donne sono negati i diritti e l’istruzione. Intere società ristagnano mentre il mondo va avanti. Ma ció non è dovuto al fallimento di una cultura o di una religione, ma al fallimento di certe dottrine politiche ed economiche.

Con lo scomparire dell’era coloniale, il Medio Oriente ha assistito al sorgere di molte dittature militari. Alcuni governanti hanno adottato i dogmi del socialismo impadronendosi del controllo totale dei partiti politici, dei media e delle università. Si sono alleati con il blocco sovietico e con il terrorismo internazionale. I dittatori in Iraq e in Siria promettevano il ripristino dell’onore nazionale, il ritorno alle antiche glorie. Al contrario, hanno lasciato un retaggio di tortura, tirannia, miseria e rovina.

[...]

Invece di soffermarsi sugli errori del passato e dare la colpa ad altri, i governi del Medio Oriente dovrebbero affrontare i problemi reali, e venire incontro ai veri interessi dei rispettivi paesi. Tutte le persone valorose e oneste del Medio Oriente hanno diritto ad essere guidati responsabilmente. Per troppo tempo, molti popoli di quella regione sono stati solo vittime e sudditi. Hanno il diritto di diventare cittadini partecipi.

[...]

Con l’attuarsi dei cambiamenti in Medio Oriente, coloro che detengono il potere devono chiedersi se vorranno essere ricordati per essersi opposti alle riforme, o per averle guidate. In Iran, il desiderio di democrazia è forte e diffuso, come abbiamo costatato il mese scorso quando migliaia di persone hanno accolto Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace. Il regime di Teheran deve venire incontro alle esigenze di democrazia del popolo iraniano, o perderà l’ultimo barlume di legittimità.

Per il popolo palestinese, l’unica via verso l’indipendenza, la dignità e il progresso è quella della democrazia. I leader palestinesi che ostacolano e minano le riforme democratiche e alimentano l’odio e incoraggiano la violenza non sono affatto bravi leader, ma gli ostacoli principali alla pace e al successo del popolo palestinese.

Osserviamo e incoraggiamo le riforme in quella regione ben sapendo che modernizzazione non significa occidentalizzazione. I governi democratici in Medio Oriente saranno l’espressione delle loro culture. Non saranno simili a noi, non devono affatto esserlo. Le nazioni democratiche possono essere monarchie costituzionali, repubbliche federali o sistemi parlamentari. Le democrazie che funzionano hanno bisogno di tempo per svilupparsi, come è accaduto a noi. Il cammino verso l’integrazione e la giustizia è durato 200 anni, e questo ci rende pazienti e comprensivi con altre nazioni si trovano in momenti diversi di questo cammino.

[... Iraq ...]

Sessant’anni di scuse da parte delle nazioni occidentali, che hanno accettato la mancanza di libertà in Medio Oriente, non ci hanno tenuto al sicuro perché, sul lungo periodo, la stabilità non si può comprare a spese della libertà. Finquando il Medio Oriente rimarrà un luogo in cui la libertà non riesce a fiorire, esso resterà un paese immerso nella stagnazione, nel risentimento e nella violenza, pronto ad esportarli altrove. Con la diffusione di armi che possono portare distruzioni catastrofiche al nostro Paese e ai Paesi nostri amici, sarebbe incosciente accettare lo status quo.

Pertanto, gli Stati Uniti hanno adottato una nuova politica, una strategia che punta alla libertà in Medio Oriente. Tale strategia richiede la medesima tenacia, energia e idealismo che abbiamo mostrato in passato. E produrrà i medesimi risultati. Come in Europa e in Asia, come in tutte le parti del mondo, l’avanzamento della libertà conduce alla pace.

La diffusione dei principi di pace costituisce la vocazione del nostro tempo, la vocazione del nostro Paese. Dai Quattordici Punti [del Presidente USA Woodrow Wilson, ndt] al discorso di Westminster, l’America ha messo la propria potenza al servizio dei principi. Crediamo fermamente che la libertà sia insita nella natura, crediamo fermamente che la libertà sia la direzione in cui si muove la Storia. Crediamo che la realizzazione e la superiorità dell’uomo siano il risultato dell’esercizio responsabile della libertà. Crediamo che la libertà, questa libertà che ci sta tanto a cuore, non è una nostra prerogativa esclusiva, ma ne ha diritto e facoltà l’umanità intera.

Lavorare alla diffusione della libertà può essere difficile. Tuttavia, l’America ha portato a termine compiti difficili in passato. La nostra nazione è forte, siamo forti dentro. E non siamo soli. La libertà trova alleati in tutti i Paesi e in tutte le culture. E nell’affrontare il terrorismo e la violenza del mondo, possiamo essere certi che l’autore della libertà non è indifferente al destino della libertà.

Con tutte le prove e le sfide del nostro tempo, questa è, soprattutto, l’era della libertà. Ognuno di voi qui in questa Fondazione è profondamente impegnato nella grande causa della libertà. Vi ringrazio. Che Dio benedica il vostro lavoro. E che Dio continui a benedire l’America.


http://www.usembassy.it/file2003_11/alia/A3110601ir.htm



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