Nick: thecrow75
Oggetto: Sentirsi Italiani
Data: 25/11/2003 1.27.15
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“Il Bello di sentirsi italiani”
Caro Presidente, grazie. Grazie da chi, allergico alla retorica, non ha mai intinto la penna nella melassa del sentimentalismo.
Mai come in questi giorni, mai come in questo momento, mi sono sentito vicino a lei. Mi sono sentito vicino a lei perché lei si è sentito vicino a milioni di italiani.
Si è sentito vicino senza enfasi e con grande commozione, che ha contagiato tutto un popolo, salvo quella facinorosa e ottusa minoranza di contestatori che, non senza complicità politiche, ammorbano la società.
Lei, e non lo dico per piaggeria, cui io sono avvezzo e di cui lei non ha bisogno, è un grande Presidente. E non solo perché assolve come meglio non potrebbe la missione di capo dello stato, ma anche perché quello che dice e quello che fa, lo dice e lo fa con il cuore. Io che non ho mai risparmiato, e non risparmio, ai miei connazionali frecciate e sarcasmi, non mi sono mai sentito così italiano come in questi giorni.
E non solo perché l’ecatombe di Nassirya mi ha profondamente colpito e ferito, ma anche perché, se gli italiani hanno risposto come hanno risposto, e non potevano rispondere meglio e più compatti, è perché in questi anni di presidenza lei ci ha restituito tanti valori. Quei valori che per decenni la codardia, la pavidità, l’opportunismo, il falso, iconoclastico progressismo di certi partiti, prima li avevano vilipesi, poi scardinati e infine occultati.
Diciamo la verità, per lustri si sono infangate parole nobili e grandi come Patria, Tricolore, Inno di Mameli. E’ vero che, durante il Ventennio, se n’era fatto un tale scialo che esse avevano perduto quell’afflato intimo e schietto che lei, caro Presidente, ha loro restituito. Ma è anche vero che, senza questi valori, una nazione non è una nazione, un popolo non è un popolo. Che ha bisogno di Ideali e bandiere, policromi simboli, insegne visibili e palpabili di patriottismo.
Dopo decenni di omissioni, di negazioni, di diffamazioni, di cui tanti dovrebbero vergognarsi, grazie a lei soprattutto a lei, la parola patria, retorica solo in bocca ai tromboni e ai marpioni, ha riacquistato quel suono di cui si era perduta anche l’eco più remota.
Grazie a lei, soprattutto a lei, il tricolore è tornato ad essere la nostra bandiera, da esporre a mezz’asta ai balconi e da sventolare nelle piazze.
Grazie a lei l’inno di Mameli scritto in altri tempi con aulica epicità, non è più un reperto archeologico, un polveroso spartito, ma il canto corale di un popolo. Un popolo pieno di difetti e di magagne, ma che sa ancora commuoversi e, ciò che più conta, vuole commuoversi in momenti come questi, davanti a diciannove carabinieri, soldati e civili morti non per abbattere un tiranno ma per riportare l’ordine e la pace in un Paese che ha l’una e l’altra.
Quando all’aereoporto di Ciampino, lei, caro Presidente, ha sollevato e deposto le mani sulla bara di uno dei caduti in Iraq, due lucciconi mi hanno solcato il volto.
E quando ha abbracciato il padre di una delle vittime al Vittoriano, che sarà anche un brutto monumento, ma è l’altare della nostra patria, il magone mi ha ancora stretto la gola. Lo stesso groppo che ha provato lei. Lei, che in quel momento non abbracciava solo un padre che aveva perduto un figlio( e un padre che perde un figlio perde tutto: può anche perdere la fede, se l’aveva; o trovarla se gli mancava)Lei, in quel momento, ha abbracciato anche me, mia moglie, mia figlia. Lei, caro Presidente, in quel momento ha abbracciato tutti gli italiani.
Lei in quel momento mi ha ispirato questa lettera, che spero legga non perché l’ho scritta io, ma perché milioni di italiani avrebbero voluto scrivergliela.
Io, interpretando i loro sentimenti, non ne sono che il portavoce.
Grazie ancora, Presidente.
Roberto Gervaso.
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