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Nick: thecrow75
Oggetto: Terrorismo in Italia
Data: 1/12/2003 2.55.30
Visite: 74

Magdi Allam spiega il motivo per cui l'Italia è nel mirino dei terroristi islamici, buona lettura....


D. - La sua inchiesta sul radicalismo islamico in Italia ha destato notevole preoccupazione. I dati da Lei raccolti circa la presenza di numerosi immigrati musulmani legati a Bin Laden, ripresi e amplificati da tutti i media, hanno determinato nell'opinione pubblica un forte allarmismo, che ha avuto ampia eco nel nostro Parlamento e suscitato non poche preoccupazioni anche negli apparati di contrasto al terrorismo.
Quali sono le sue valutazioni sulle reazioni alla pubblicazione del libro?

R. - Se parliamo delle reazioni degli italiani, direi che sono state di sorpresa e di grande inquietudine. Probabilmente non ci si attendeva di apprendere che sul territorio italiano risiede un numero così elevato di combattenti islamici, mujahidin. Credo che questo sia l'elemento che ha maggiormente impressionato i lettori del libro. Devo dire che questa realtà ha colpito anche me, nonostante da anni mi occupi del terrorismo mediorientale, pur senza specifico riferimento alla realtà italiana.
Sono convinto, in altre parole, che il dato quantitativo sia l'elemento che ha determinato la gran parte delle reazioni, delle domande, delle perplessità.
Devo comunque premettere che nel mio lavoro ho innanzitutto raccolto interviste, offerte al lettore in modo integrale e assolutamente fedele. Si è trattato di una scelta ben precisa, adottata nella consapevolezza che ci sarebbero stati margini di errore, elementi da valutare. Mi interessava tuttavia principalmente dare un'idea corretta di come gli ambienti islamici radicali, o comunque informati di questa realtà, rappresentano se stessi. Da questa rappresentazione speravo emergessero, per una corretta comprensione, le due caratteristiche fondamentali dell'Islam radicale, che sono anche elementi dell'Islam nel suo complesso: la pluralità e la conflittualità. Il mio scopo era consentire al lettore di conoscere una realtà che si coniuga al plurale e che, al suo interno, è fortemente conflittuale. Ho già avuto modo di dire, in altre circostanze, che i personaggi che ho intervistato, se potessero, darebbero forma a conflitti reciproci assai aspri. Se c'è una cosa di cui vado orgoglioso, proprio considerato questo aspetto, è aver intervistato tutti giocando a carte scoperte. A ciascuno ho riferito il progetto del mio lavoro, compresa la circostanza che avrei sentito anche quelle persone che so non andare loro a genio, tra le quali non esistono rapporti, che si evitano, con cui sono in conflitto.
Ricordavamo all'inizio che sorpresa e inquietudine sono stati i sentimenti prevalenti tra gli italiani di fronte alle rivelazioni del libro.
Una reazione molto diversificata ho invece riscontrato nella parte musulmana, non necessariamente islamica.
Per stabilire delle coordinate di comprensione, è bene sul punto precisare che con la parola musulmani intendo l'universo di coloro che a vario titolo fanno riferimento all'Islam. La parte laica dei musulmani, ad esempio, che rappresenta a mio avviso la maggioranza, ha apprezzato molto questo lavoro e l'ha ritenuto un contributo importante per far luce su una realtà che è fonte di problemi, in primo luogo per loro stessi. Le scelte radicali danneggiano infatti i musulmani prima ancora di danneggiare i non musulmani. Quando uso l'espressione "parte laica", intendo riferirmi a soggetti che sostanzialmente ragionano con le stesse categorie mentali di qualsiasi altro cittadino italiano e si rapportano agli altri senza fare riferimento ai precetti del Corano, a categorie religiose. Essi ricorrono, in sostanza, a categorie razionali.
La parte degli islamici, cioè coloro che hanno un approccio politico e ideologico nei confronti dell'Islam, in quanto utilizzano la religione politicamente e ideologicamente, ha pure messo in luce reazioni molto diversificate. Paradossalmente, gli elementi più radicali hanno avuto parole di stima e apprezzamento per il mio lavoro, riconoscendo che il loro pensiero è stato riportato correttamente. Coloro che assumono posizioni chiare hanno apprezzato l'obiettività della ricerca. Viceversa, quelli che si situano a metà strada tra le posizioni radicali e quelle legalitarie hanno avuto reazioni più dubbiose, del tipo: "Hai contribuito a dare un'immagine negativa dell'Islam e dei musulmani". Ciò è dovuto al fatto che costoro si considerano i detentori dell'immagine dell'Islam e della verità islamica. Di conseguenza, tutto ciò che non quadra con il loro modo di porsi viene considerato stonato. Direi in conclusione che le reazioni al mio lavoro sono state estremamente diversificate a seconda degli interlocutori e questo ovviamente costituisce per me motivo di riflessione.

D. - Una questione di grande interesse è quanto da Lei riferito circa la presunta violazione, da parte dell'Italia, del "Aqd al aman", il patto di sicurezza. Il nostro Paese sarebbe ora visto come un "Dar al Harb", paese nemico dell'Islam, quindi possibile scenario di atti terroristici.
Vuole ricordare ai nostri Lettori i passaggi essenziali di questo cambiamento?

R. - Vorrei fare una premessa, da esperto che si occupa di questa materia da tempo. Negli anni settanta/ottanta, quando l'Italia si è trovata a fronteggiare il terrorismo di matrice palestinese, un terrorismo laico portato avanti da organizzazioni laiche, né integraliste né religiose, è risultato più facile trovare dei punti d'intesa per prevenire il verificarsi di attentati sul territorio italiano. Attraverso una sorta di gentlemen agreement, un patto di sicurezza, l'Italia avrebbe tollerato una certa attività di tipo logistico in cambio dell'"incolumità". Avrebbe tollerato, ad esempio, l'ingresso di persone che si fermavano per un certo periodo per raccogliere fondi, ovvero procurarsi armi che, comunque, non sarebbero state impiegate sul territorio italiano. Mi ricordo in particolare la vicenda di Daniele Pifano, scoperto con un missile nel vano della propria macchina, mentre il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina si affrettava ad affermare, in quell'occasione, di non aver intenzione di attaccare l'Italia. Per costoro si trattava di un'attività all'interno dei parametri che essi ritenevano validi in base all'accordo di cui si parlava poco fa.
Questa situazione ha retto per un certo periodo di tempo, sebbene con alcune eccezioni. La principale riguarda Abu Nidal, dissidente di Al Fatah, condannato a morte da Arafat, protagonista dei due gravi attentati contro la Sinagoga di Roma e l'aeroporto di Fiumicino nel 1982 e nel 1985, se ricordo bene.
Tale patto di sicurezza, con le sue eccezioni, ha comunque consentito all'Italia di godere di una certa tranquillità, come si è potuto osservare anche in occasione dell'intervento italiano in Libano. Ricordo che tutti gli Stati che sono intervenuti militarmente in quel paese subirono pesanti perdite, con la sola eccezione dell'Italia. Non credo che ciò sia avvenuto per caso. Tale situazione era in effetti il frutto di una politica italiana sensibile nei confronti della questione palestinese, in prima linea nel favorire una soluzione politica. Ricordo, a questo proposito, la dichiarazione di Venezia che ha rappresentato, a livello europeo, la posizione più avanzata su questo argomento. Per la prima volta l'Europa si pronunciò a favore della creazione di uno Stato palestinese a fianco dello Stato di Israele.
L'impalcatura non ha più retto quando al terrorismo palestinese di natura laica è subentrato il terrorismo di natura integralista, che si muove secondo categorie mentali profondamente diverse. L'inversione di tendenza si è accentuata ulteriormente quando il terrorismo di matrice islamica è stato egemonizzato da Bin Laden, un miliardario che investe le sue risorse per privatizzare e globalizzare il terrorismo, rendendosi autonomo dall'azione degli Stati sovrani, come ad esempio l'Iran e la Libia.
Viene così meno l'interlocutore. Vengono meno i riferimenti circa la possibilità di trovare punti di intesa.
Nell'esaminare tale contesto, dobbiamo anche prendere in considerazione alcune forze - in qualche modo diretta emanazione di Bin Laden o comunque a lui vicine - che hanno identificato l'Italia come paese che ha cessato di essere neutrale, almeno a partire dal coinvolgimento nella guerra in Afghanistan, e ciò che ne è seguito. Mi riferisco all'intensificazione delle azioni di repressione dei musulmani in Italia e all'opera delle forze di sicurezza e della Magistratura che nel 2002, a seguito dell'introduzione della nuova normativa antiterrorismo, hanno avuto gli strumenti per iniziare procedimenti per reati di terrorismo.
Una parte del movimento islamico, insomma, ritiene che l'Italia abbia cessato di essere un paese amico, la considera di fatto un paese ostile all'Islam.
Su questo punto, tuttavia, le posizioni non sono univoche. C'è una fazione che ritiene che l'Italia non sia un paese amico dell'Islam ma, nonostante ciò, non debba essere attaccata dai musulmani che risiedono in Italia perché costoro hanno l'obbligo di rispettare il cd. patto di sicurezza, Aqd al aman, che è implicito nel fatto di essere entrati pacificamente in Italia e di aver quindi accettato di rispettare le leggi vigenti. Altre posizioni sono più oltranziste. Nel mio libro è riportata la testimonianza di Omar Muhammad Bakri, leader islamico residente a Londra, capo di un'organizzazione di emigranti principalmente formata da pakistani. Si tratta di un personaggio che ha conosciuto Bin Laden quando questi frequentava Londra, tra il 1992 e il 1996, prima del suo trasferimento in Afghanistan. Egli sostiene che i clandestini entrati in Italia senza un permesso di soggiorno non hanno l'obbligo di rispettare le leggi italiane, in quanto non hanno sottoscritto alcun patto con l'Autorità italiana. Secondo gli islamici che fanno riferimento, o sono contigui, a Bin Laden, gli obiettivi italiani al di fuori del territorio nazionale sono certamente obiettivi leciti da attaccare. Registro, infine, una posizione di ostilità nei confronti dell'Italia espressione dell'area dell'Islam intermedio, che proviene dai Fratelli Musulmani, integralisti islamici che tuttavia non adottano la lotta armata e il concetto del jihad come strumento programmatico di lotta, pur non rinnegandone la fede.


http://www.sisde.it/sito%5CRivista25.nsf/servnavig/21



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