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Nick: wickedher
Oggetto: Scioglimento per infiltrazioni
Data: 7/4/2006 16.25.38
Visite: 139

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PUBBLICITA' venerdì 7 aprile 2006 - 16:24 Scrivi alla redazione | Contatti | Pubblicità
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E' necessaria la presenza di indizi validi di condizionamento da parte della criminalità
Il Consiglio si scioglie in casi straordinari
(Tar Campania 1621/2006)
Il Consiglio Comunale può essere sciolto solo in casi straordinari, e cioè in presenza di indizi che facciano ritenere possibile l’esistenza di condizionamenti da parte della criminalità organizzata sull’ ente locale. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania ha così respinto il ricorso presentato contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno a causa del decreto con il quale è stato disposto lo scioglimento del consiglio comunale di Casoria per possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nell’ente locale. Secondo i giudici amministrativi il ricorso è infondato in quanto lo scioglimento del Consiglio Comunale è stato disposto sulla base di indizi idonei a far ritenere verosimile la possibilità di un condizionamento da parte del crimine organizzato sull’ente locale. Lo scioglimento è una misura di carattere straordinaria che può essere adottata con funzione preventiva e di tutela degli interessi pubblici in presenza di una situazione che evidenzi il pericolo di collegamenti anche indiretti con la criminalità organizzata che compromettono il buon andamento dell’amministrazione,a prescindere da accertamenti di carattere penale. (13 febbraio 2006)
Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione I, sentenza n. 1621/2006
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania 1^ Sezione - ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sui seguenti ricorsi riuniti:

- ricorso n. 7605/05 R.G. proposto da A ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli Avvocati Giuseppe Abbamonte, Felice Laudadio e Riccardo Marone ed elettivamente domiciliati in Napoli, via Cesario Console n. 3, presso lo studio dell’Avvocato Riccardo Marone;

- ricorso n. 7765/05 R.G. proposto da B ed altri, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato Vincenzo Duello ed elettivamente domiciliati in Napoli, via Tarsia n. 44, presso lo studio dell’Avvocato Vincenzo Duello;

c o n t r o

Comune di Casoria in persona della Commissione Straordinaria, non costituito in giudizio;

nonché contro

- Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio p.t.;

- Ministero dell’Interno in persona del Ministro p.t.;

-Ufficio Territoriale del Governo di Napoli in persona del Prefetto p.t.;

tutti rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domiciliano in Napoli, via A. Diaz n. 11;

per l’annullamento, previa sospensione

a) del decreto del Presidente della Repubblica del 25.10.2005, con allegata relazione del Ministro dell’Interno, con il quale è stato disposto lo scioglimento del Consiglio Comunale di Casoria ai sensi dell’art. 143 del D.Lgs. 18.8.2000 n. 267;

b) della deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21.10.2005, mai comunicata ai ricorrenti, avente ad oggetto lo scioglimento del Consiglio Comunale, della Giunta e del Sindaco di Casoria e la nomina della Commissione Straordinaria per la gestione dell’ente;

c) del decreto del Prefetto della Provincia di Napoli del 22.4.2005 che ha nominato, ai sensi della legge n. 726/82 di conversione del D.L. 629/82 e s.m.i., una Commissione di Accesso incaricata di compiere "mirati accertamenti su possibili forme di condizionamento e/o infiltrazione della criminalità organizzata sulla vita amministrativa del Comune di Casoria";

d) della relazione della Commissione di Accesso in data 5.8.2005;

e) della relazione del Prefetto di Napoli del 14.10.2005 di attivazione della procedura per l’applicazione della misura prevista dall’art 143, secondo comma del D.Lgs. 18.8.2000 n. 267;

f) della nota del Prefetto di Napoli prot. n. 1202/AREA II EE.LL. del 31.10.2005 di trasmissione del D.P.R. 25.10.2005 di scioglimento del Consiglio Comunale di Casoria;

g) del decreto del Prefetto di Napoli del 21.1.2005 con il quale è stata disposta la sospensione del Consiglio Comunale di Casoria ai sensi dell’art. 143 del D.Lgs. 18.8.2000 n. 267;

h) di ogni altro atto preordinato, connesso, consequenziale, comunque lesivo dei diritti dei ricorrenti, ivi compresi i verbali e le relazioni della Commissione di Accesso.

Visto i ricorsi con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato per le Amministrazioni intimate;

Visti tutti gli atti di causa;

Relatore il Dott. Paolo Corciulo;

Uditi alla pubblica udienza del 21.12.2005 gli Avvocati di cui verbale di udienza;

Rilevato in fatto ed in diritto quanto segue.

FATTO

A seguito di numerosi esposti inviati all’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli in cui venivano denunciati molteplici episodi di mala gestio riconducibili all’Amministrazione comunale di Casoria facente capo al Sindaco A, vicende ritenute sintomatiche di connivenze tra l’apparato di governo dell’ente e la criminalità organizzata locale, tale da comportarne un rilevante condizionamento, il Prefetto di Napoli con la nota riservata n. 1088/05/R/Area II/EE.LL. del 31.3.2005, dopo avere illustrato i risultati degli accertamenti eseguiti dalle Forze dell’Ordine, previo parere favorevole del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, chiedeva al Ministro dell’Interno, ai sensi dell’art. 1, quarto comma del D.L. 629/82, convertito in legge n. 726/82 , di essere delegato alla nomina di una commissione di accesso presso il Comune al fine di acquisire eventuali elementi di riscontro relativamente a fenomeni di infiltrazione criminale, con particolare riferimento al settore degli appalti pubblici, delle autorizzazioni amministrative e del settore urbanistico ed edilizio.

Intervenuta la delega ministeriale in data 21.4.2005, il Prefetto, con nota riservata n. 1202/05/R/AREA II/EE.LL. del 22.4.2005 disponeva l’accesso presso il Comune di Casoria, nominando la Commissione incaricata degli accertamenti ed assegnando il termine, prorogabile, di novanta giorni per l’espletamento dell’incarico.

La Commissione portava a compimento il proprio incarico tra il 26.4.2005 ed il 26.7.2005, redigendo la relazione finale in data 5.8.2005 in cui rappresentava che, sulla base degli elementi raccolti, era emerso che l’attività amministrativa, invece di essere volta ad una corretta ed imparziale gestione nell’interesse collettivo, risultava deviata in favore di soggetti collegati alla criminalità organizzata, essendosi inoltre concretizzate delle situazioni tali da non poter escludere ulteriori alterazioni del corretto procedimento formativo della volontà degli amministratori, con conseguente pregiudizio per la trasparenza, funzionalità ed imparzialità dell’attività amministrativa.

Pertanto, acquisito il parere favorevole del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica in data 8.9.2005, il Prefetto di Napoli, sulla scorta degli elementi acquisiti, con nota n. 1202/R/AREA II EE.LL. del 14.9.2005, chiedeva al Ministro dell’Interno lo scioglimento del Consiglio Comunale di Casoria per la durata di diciotto mesi, ai sensi dell’art. 143 del D.Lgs. 18.8.2000 n. 267, ritenendo sussistente una situazione di gestione politico amministrativa dell’ente poco rispondente ai principi di imparzialità e buon andamento, dovendosi altresì tenere conto della gravità degli indizi emersi in riferimento ad un supposto collegamento degli amministratori locali con la criminalità organizzata, sussistendo al riguardo la necessità di scongiurare ulteriori fenomeni di alterazione della libera formazione della volontà degli organi di governo.

Nelle more, con provvedimento n. 1202/AREA II/EE.LL. del 24.10.2005, il Prefetto di Napoli, sulla scorta degli indizi acquisiti ed in base alla circostanza per cui il Consiglio dei Ministri in pari data aveva deliberato lo scioglimento del Consiglio Comunale di Casoria, in via cautelare, decretava la sospensione del Sindaco, della Giunta e dello stesso organo assembleare, contestualmente nominando i commissari per la gestione provvisoria dell’ente.

Infine, con D.P.R. del 25.10.2005 il Consiglio Comunale di Casoria veniva sciolto per la durata di diciotto mesi, con affidamento della gestione alla commissione straordinaria in precedenza nominata, cui veniva inoltrata comunicazione con la nota prot. 1202/AREA II/EE.LL. del 31.10.2005.

Avverso il decreto presidenziale di scioglimento e tutti gli atti a questo presupposti, contro il provvedimento di nomina della Commissione straordinaria e nei confronti del decreto prefettizio di sospensione ed atti connessi, proponevano ricorso – rubricato al N. 7605/05 R.G. - a questo Tribunale Amministrativo Regionale A ed altri, chiedendone l’annullamento, previa concessione di idonee misure cautelari.

Con il primo motivo di ricorso, dopo avere evidenziato che il potere di scioglimento degli enti locali per condizionamenti di tipo mafioso costituisce rimedio eccezionale, nell’ottica del giusto equilibrio tra i valori costituzionali espressione del diritto di elettorato passivo e di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica – evidenziando, tra l’altro, che il libero esercizio del primo si tutela proprio grazie alle misure di salvaguardia sottese al secondo – i ricorrenti deducevano il difetto di istruttoria laddove, pur in presenza di episodi e di vicende al più sintomatiche di attività amministrative illegittime, non era stato dimostrato che queste fossero riconducibili o comunque trovassero causa in rapporti o condizionamenti operati dalla criminalità organizzata nei confronti degli organi di governo dell’ente; sul punto, evidenziavano che il Sindaco A era stato preceduto da diverse commissioni prefettizie sotto la cui autorità erano avvenuti molti degli accadimenti che si era ritenuto avessero valore indiziario.

Con il secondo motivo di ricorso si contestava la veridicità e comunque la rilevanza degli elementi indiziari adotti a sostegno dell’impugnato scioglimento.

In particolare, con riferimento alle frequentazioni da parte di alcuni amministratori con soggetti con pregiudizi penali o comunque vicini ad ambienti malavitosi, se ne contestava la significatività, trattandosi di normali accadimenti della vita di un piccolo centro, mentre, riguardo alla presenza di trenta dipendenti comunali con precedenti di varia natura, si evidenziava che si trattava di sole ventidue persone, per quattordici delle quali vi era stata archiviazione, mentre per gli altri vi era stato o il licenziamento o comunque l’irrogazione di sanzioni disciplinari.

Quanto alla tolleranza della situazione di occupazione abusiva sin dal 1984 della casa, di proprietà comunale, del custode del mercato ortofrutticolo da parte di una famiglia di cui farebbero parte soggetti vicini al clan camorristico locale, con accollo delle spese per le forniture a carico dell’amministrazione, si evidenziava che si trattava di una situazione risalente ad un periodo di molto anteriore rispetto all’insediamento della Giunta A che era del 1999; inoltre, non vi erano elementi di sorta circa il fatto che si trattasse di soggetti legati a sodalizi mafiosi e comunque il Sindaco si era attivato per la liberazione dell’immobile ed il pagamento di quanto dovuto fin dall’anno 2000.

Quanto alla ritenuta sussistenza di una situazione di condizionamento nella gestione del settore degli appalti, rilevata in base ad alcune anomalie ed illegittimità riscontrate in alcuni procedimenti di gara volte a vantaggio di imprese sospettate di contiguità mafiosa, si contestava l’eccessiva genericità dell’argomentazione, in assenza di puntuali specificazioni al riguardo e comunque la rilevanza unicamente sotto il profilo amministrativo, non avendo l’autorità istruttoria tenuto conto che si tratta di compiti affidati, per effetto del principio di separazione, in via esclusiva alla sola dirigenza dell’ente, con consequenziale estraneità a tali vicende degli organi di governo, soprattutto in assenza di indizi relativamente alla sussistenza di collegamenti tra l’apparato burocratico e quello propriamente politico dell’Amministrazione, tale da far ragionevolmente supporre la sussistenza di fenomeni collusivi o di condizionamenti di tipo mafioso.

Quanto alle anomalie riscontrate nella gestione del settore urbanistico ed edilizio, e, segnatamente, il rilascio di provvedimenti concessori a soggetti ritenuti vicini al clan camorristico locale, nonché l’approvazione di un piano di lottizzazione convenzionata in difformità della normativa regionale, in favore di determinati soggetti anche questi sospetti ed ancora il continuo differimento della discussione consiliare in merito alla destinazione finale da attribuire a manufatti abusivi soggetti a demolizione, ritardo che aveva consentito a persone vicine a sodalizi criminosi di accedere alla sopravvenuta normativa in materia di condono edilizio, si contestava l’assoluta genericità dell’argomentazione, non ravvisandosi alcuna responsabilità dell’amministrazione locale rispetto ad un provvedimento legislativo assunto in sede nazionale.

In relazione alla situazione della società Casoria Ambiente, partecipata dal Comune al 51% e rispetto alla quale era emerso l’affidamento di forniture in violazione della normativa di evidenza pubblica e di antimafia, favorendo così la stipulazione di contratti con imprese sospettate di contiguità con ambienti criminali, si rilevava l’impossibilità da parte degli organi di governo di procedere ad un controllo sull’attività della stessa e che comunque il Sindaco si era attivato al riguardo per conoscere la verità circa notizie di una possibile infiltrazione camorristica nell’impresa, senza che il Prefetto si pronunciasse minimamente sulla sua richiesta, al punto di dover procedere autonomamente alla revoca degli amministratori di competenza del Comune di Casoria.

In conclusione, parte ricorrente riteneva del tutto inidonei e comunque insufficienti gli elementi addotti a sostegno della grave misura adottata, mancando del necessario carattere mimino di pregnanza ed oggettività delle infiltrazioni mafiose, tale da poter giustificare un adeguato esercizio della discrezionalità connessa al potere di scioglimento di un’amministrazione che resta pur sempre espressione della volontà collettiva.

Con l’ultimo motivo di censura si deduceva che la normativa in materia di scioglimento di organi elettivi era risalente ad un epoca in cui tutta l’attività amministrativa era sostanzialmente affidata alla competenza della Giunta e del Sindaco; con il nuovo assetto di competenze introdotto dalla legge 8.6.1990 n. 142, recante la separazione tra attività di governo, affidata agli organi elettivi, ed attività di gestione, di competenza della dirigenza, emerge la necessità per cui eventuali vicende legate ad attività di concreta gestione, per poter assumere effettiva valenza indiziaria, devono essere riconducibili alle figure politiche dell’amministrazione locale; in altri termini, in presenza di elementi indiziari di mala gestio formalmente imputabili al solo apparato burocratico, è necessario accertare anche l’esistenza di un collegamento tra quest’ultimo e gli organi di governo, onde poter attribuire significatività ai predetti elementi fattuali ai fini della dimostrazione di un condizionamento o di un collegamento di natura mafiosa che può riguardare la sola componente politica elettiva dell’Amministrazione locale.

Si costituivano in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno e l’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli per mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, concludendo per il rigetto del ricorso e della domanda cautelare, allegando la nota di replica della Prefettura di Napoli n. prot. 173/AREA VI/LEG/ANT del 29.7.2005.

Con provvedimento istruttorio presidenziale n. 150/2005 del 9.11.2005 si ordinava all’Ufficio Territoriale del Governo ed al Ministero dell’Interno di depositare tutta la documentazione afferente il procedimento che aveva condotto all’adozione degli atti impugnati, adempimento cui l’Amministrazione ottemperava in data 24.11.2005 e 6.12.2005.

Avverso i medesimi provvedimenti proponevano ricorso - rubricato al N. 7765/05 R.G. - anche i signori A ed altri - il quarto, il quinto ed il sesto quali assessori, gli altri quali consiglieri della disciolta amministrazione – anche loro chiedendone l’annullamento, previa concessione di idonee misure cautelari.

Con il primo motivo di ricorso, dopo avere evidenziato che il potere di scioglimento degli enti locali per condizionamenti di tipo mafioso costituisce rimedio eccezionale, nell’ottica del giusto equilibrio tra i valori costituzionali espressione del diritto di elettorato passivo e di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, partendo dagli elementi addotti nella relazione della Commissione, quanto alle presunte frequentazioni di alcune persone appartenenti agli organi di governo con soggetti sospetti di contiguità con sodalizi criminali, si deduceva che sarebbe mancato l‘ulteriore ed importante indizio relativo all’incidenza distorsiva o comunque non trasparente di tali circostanze fattuali sull’attività dell’amministrazione, il tutto restando, quindi, a livello di mera illazione.

Con il secondo motivo di censura si contestavano tutti gli altri indizi posti dalla commissione a sostegno della prospettata ipotesi di condizionamento mafioso; in particolare, si rilevava che, quanto ai dipendenti gravati da pregiudizi penali, non solo questi erano in numero inferiore rispetto a quello indicato dall’organo istruttorio, ma l’Amministrazione aveva avviato i relativi procedimenti disciplinari ed aveva provveduto anche ad alcuni licenziamenti a cui aveva però fatto seguito la reintegrazione ad opera del Giudice del Lavoro; si trattava, comunque, di persone che rivestivano incarichi di modestissima entità e che non avrebbero potuto in alcun modo condizionare le scelte di governo dell’ente; quanto all’occupazione abusiva dell’alloggio del custode del mercato ortofrutticolo, si segnalava che si trattava di una vicenda sorta sotto una diversa amministrazione e che era passata anche attraverso varie gestioni commissariali, senza che nulla fosse fatto per porvi rimedio, dovendosi attendere proprio l’intervento del Sindaco A che aveva promosso un giudizio civile attualmente pendente presso la locale Sezione del Tribunale.

Con riguardo al settore degli appalti, si contestava che l’affidamento di quelli ritenuti sospetti, tra l’altro di modestissima entità, fossero sintomo di una connivenza, essendo mancata del tutto l’allegazione di un un indizio in tal senso, dovendosi in senso contrario evincere l’assoluta trasparenza della condotta assunta dall’Amministrazione che aveva sempre richiesto la certificazione antimafia; pure si contestava la rilevanza degli indizi emersi in base agli accertamenti relativi al rilascio di concessioni edilizie ritenute illegittime in favore di persone ritenute vicine ad associazioni criminali locali, nonché in relazione alla convenzione di lottizzazione, provvedimento, del resto, approvato anche da parte della Provincia, nonché dagli stessi organi straordinari insediatisi per effetto dello scioglimento, né poteva assumere il significato attribuito dall’organo istruttorio il continuo rinvio della discussione in sede consiliare sulla destinazione degli immobili abusivi, atteso che si trattava di una questione delicata e che comunque il Comune aveva sempre combattuto con vigore il fenomeno dell’abusivismo.

Infine, anche riguardo alla società Casoria Ambiente ed all’assegnazione di appalti in favore di imprese collegate alla camorra locale, si contestava sia che il Sindaco potesse avere diretta influenza su tali organi, sia che gli affidamenti fossero stati disposti con l’intento di agevolare qualche impresa sospetta, posto che – essendosi in una fase anteriore alla stipula del protocollo di legalità – era sufficiente l’acquisizione delle sole certificazioni antimafia, così come era avvenuto; inoltre, si evidenziava che l’Amministrazione A aveva proceduto alla revoca dei membri del Consiglio di Amministrazione della società, avendo anche al riguardo richiesto notizie al Prefetto il quale non aveva mai risposto.

Anche in questo giudizio si costituivano la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno e l’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli per mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, concludendo per il rigetto del ricorso e della domanda cautelare, allegando la nota della Prefettura di Napoli n. prot. 714/AREA VI/LEG/ANT del 30.11.2005 e nota pari numero del 19.12.2005.

Con provvedimento istruttorio presidenziale n. 162/2005 del 29.11.2005 si ordinava all’Ufficio Territoriale del Governo ed al Ministero dell’Interno di depositare tutta la documentazione afferente il procedimento che aveva condotto all’adozione degli atti impugnati, adempimento cui l’Amministrazione ottemperava in data 2.12.2005.

All’udienza di discussione del 21.12.2005, in vista della quale i ricorrenti e l’Amministrazione depositavano memorie conclusionali ed ulteriore documentazione, entrambe le cause venivano trattenute per la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I signori A ed altri, con il ricorso n. 7605/05 R.G., hanno impugnato il decreto del Presidente della Repubblica del 25.10.2005 – oltre alla nota del Prefetto di Napoli prot. n. 1202/AREA II EE.LL. del 31.10.2005 di trasmissione dello stesso - con allegata relazione del Ministro dell’Interno, con il quale è stato disposto lo scioglimento del Consiglio Comunale di Casoria ai sensidell’art. 143 del D.Lgs. 18.8.2000 n. 267 [1], nonché la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21.10.2005 avente ad oggetto lo scioglimento della predetta assemblea, della Giunta e del Sindaco, con nomina della Commissione Straordinaria; oggetto di gravame sono stati, inoltre, il decreto del Prefetto della Provincia di Napoli del 22.4.2005 con cui si è proceduto alla nomina della Commissione di Accesso, nonchè la relazione da quest’ultima redatta in data 5.8.2005 ed ancora la relazione del Prefetto di Napoli del 14.10.2005 di attivazione della procedura per l’applicazione della misura prevista dall’art 143, secondo comma del D.Lgs.

Gli stessi atti e provvedimenti sono stati impugnati anche da B ed altri - il quarto, il quinto ed il sesto quali assessori, gli altri in veste di consiglieri della disciolta amministrazione - con il ricorso rubricato al n. 7765/05 R.G.

Va preliminarmente disposta la riunione dei due giudizi ai sensi dell’art 52 del R.D. 17.8.1907 n. 642, trattandosi di ricorsi aventi ad oggetto i medesimi atti, nonché proposti contro le medesime amministrazioni da soggetti tutti appartenenti agli organi di governo della disciolta Amministrazione comunale di Casoria.

La controversia ha ad oggetto l’applicazione agli organi di governo del Comune di Casoria della norma di cui all’art 143 del D.lgs. 18.8.2000 n. 267 che al primo comma prevede che "fuori dei casi previsti dall'art. 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell'art. 59, comma 7, emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonchè il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica."

L’istituto è stato interessato da numerosi interventi giurisprudenziali che ne hanno definito caratteristiche e limiti di applicazione, soprattutto riguardo alle finalità di tutela, all’individuazione della categoria degli "elementi di collegamento o condizionamento", alla sua compatibilità costituzionale nella ricerca di un giusto equilibrio tra obiettivi di sicurezza pubblica e salvaguardia delle scelte del corpo elettorale, pervenendo così ad elaborare soluzioni volte a calibrare gli effetti e la portata di un intervento statale comunque fortemente invasivo e traumatico sulla vita sociale ed amministrativa delle comunità locali.

Al riguardo, si è specificato che lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali costituisce espressione di un potere straordinario cui è possibile far ricorso solo in evenienze altrettanto straordinarie (Corte Costituzionale 19 marzo 1993, n. 103, a proposito dell’art. 15 bis, L. n. 55/90), costituendo, al pari di altri strumenti di contrasto alla diffusione della criminalità organizzata in settori nevralgici della vita delle amministrazioni locali, un mezzo di intervento che garantisce la massima anticipazione della soglia di tutela, risultando svincolato sia da accertamenti in sede penale sia dalla ricorrenza di misure di prevenzione o di sicurezza e ciò anche al fine specifico di disporre di un mezzo immediato di salvaguardia (Consiglio di Stato, IV Sez., 4 febbraio 2003, n. 562; Consiglio di Stato, V Sez., 14 maggio 2003, n. 2590, 23 giugno 1999, n. 713, 22 marzo 1999, n. 319, 3 febbraio 2000, n. 585, 2 ottobre 2000, n. 5225; Consiglio di Stato, sez. VI, 6 aprile 2005 n. 1573 ; Consiglio di Stato, sez. V, 18 marzo 2004 n. 1425). Per quanto concerne l’onere probatorio relativo alla sussistenza degli elementi di contatto tra amministrazione ed ambiente del crimine organizzato, l’esercizio del potere di scioglimento è stato ritenuto legittimamente fondato sulla base di eventi anche di semplice pericolo, riconoscendosi decisiva rilevanza ad elementi di natura meramente indiziaria, disponendo l’autorità investigativa di un ampio margine di discrezionalità nella valutazione degli elementi acquisiti (Consiglio di Stato V Sezione 20.10.2005 n. 5878). Al riguardo, la significatività degli indizi addotti a sostegno dello scioglimento non deve collegarsi ad una finalità repressiva o sanzionatoria (Consiglio di Stato, sez. V, 3 febbraio 2000 n. 585; Consiglio di Stato, sez. IV, 21/11/1994, n. 925) nei confronti del Sindaco o di uno specifico amministratore - non essendo in tal senso necessaria un’espressa situazione di collusione - dovendo piuttosto trattarsi di elementi che rendono verosimile la possibilità di una soggezione tout court o comunque di un sintomatico grado di permeabilità dell’ente alle logiche ed agli obiettivi del crimine organizzato, essendo quindi sufficiente, oltre alla notoria presenza sul territorio di quest’ultima, una situazione di diffuso cattivo funzionamento di alcuni settori dell’amministrazione locale sensibili agli interessi economici dei sodalizi criminali.

Gli elementi, inoltre, devono essere intesi, non già in senso atomistico, ma valutati nel loro insieme, ossia come quadro indiziario sintomatico di un atteggiamento complessivo dell’amministrazione dell’ente locale che, per effetto di possibili contatti dall’esterno, non sia teso alla esclusiva cura degli interessi pubblici di cui lo stesso è attributario (Consiglio di Stato IV Sezione 15.6.2004 n. 4467); per altro, il sindacato giurisdizionale sul corretto esercizio del potere di scioglimento deve essere limitato alla verifica, oltre che di un idoneo e sufficiente supporto di istruttoria ed apparato motivazionale, anche di una sostanziale ragionevolezza delle valutazioni operate, diversamente potendo prospettarsi situazioni di erronea interpretazione di elementi di fatto ed allontanamento dalla funzione tipica del potere, la cui stringente applicazione rende omaggio alla salvaguardia delle libere scelte della comunità locale di riferimento.

Tanto premesso, ritiene il Collegio che dagli accertamenti compiuti dalla commissione e richiamati nell’impugnato provvedimento di scioglimento siano emersi elementi indiziari idonei e sufficienti a giustificare l’adozione della grave misura adottata: infatti, le indagini hanno consentito di accertare che nel territorio del Comune di Casoria vi è una forte presenza della criminalità organizzata idonea a condizionare, sotto vari aspetti, l’attività degli organi di governo e di gestione, con particolare riferimento a settori la cui rilevanza economica stimola maggiormente un atteggiamento invasivo da parte del mondo criminale.

Va al riguardo rilevato che l’onere dimostrativo da parte dello Stato deve ritenersi adeguatamente assolto attraverso l’accertamento di vicende sintomatiche di un’oggettiva situazione di mala gestio complessiva, verosimilmente ascrivibile ad atteggiamenti, oltre che di connivenza, anche di mera tolleranza e di non manifesta dissociazione rispetto a possibili agevolazioni in favore di soggetti appartenenti o comunque vicini a sodalizi mafiosi.

Di conseguenza, non può essere accolto il primo motivo del ricorso n. 7605/05 R.G. con cui è stata denunciata la carenza di istruttoria e di motivazione, nella parte in cui non sarebbe stata specificamente dimostrata la sussistenza di un collegamento o di un condizionamento di natura camorristica come causa delle riscontrate illegittimità addotte quali sintomi di cattivo funzionamento della gestione dell’ente.

Ciò che occorre verificare, infatti, non è se specifici fatti sintomatici di illegittimità si colorino anche di illiceità per effetto dell’intervento collusivo da parte di determinati soggetti inseriti nell’apparato di governo dell’ente – il che sarebbe, di per sè, ampiamente giustificativo di una misura di scioglimento – ma se il quadro indiziario complessivamente emerso dagli accertamenti istruttori e valutato come significativo di una gestione amministrativa poco lineare, sia idoneo a far dubitare che l’attività dell’ente possa non essere indifferente a possibili ingerenze e pressioni da parte della criminalità organizzata.

In tal senso, quindi, non assume rilevanza nemmeno la circostanza per cui alcuni episodi richiamati in sede di accertamento risalirebbero ad un’epoca antecedente rispetto a quella di insediamento degli organi comunali disciolti ed addirittura sarebbero riferibili a precedenti gestioni commissariali, dovendosi ritenere che una tale evenienza comunque non esimerebbe gli amministratori successivi dall’obbligo di attivarsi al riguardo.

Con il secondo motivo del ricorso n. 7605/05 R.G. sono state analiticamente contestate le risultanze degli accertamenti compiuti dalla commissione e poi trasfuse nell’impugnato provvedimento di scioglimento, sia con riferimento alla legittimità dell’operato dell’amministrazione comunale, sia in relazione alla loro inidoneità a giustificare il giudizio finale in termini di condizionamento di natura mafiosa.

In primo luogo è stata contestata la rilevanza dell’elemento soggettivo afferente la frequentazioni di tre amministratori con pregiudicati e persone vicine alla malavita locale, nonché la presenza di trenta dipendenti dell’amministrazione che si accompagnano a malavitosi ed hanno pregiudizi di varia natura, tra cui uno anche per il delitto di associazione mafiosa; quanto al primo aspetto si è obiettato che eventuali sporadiche frequentazioni, tra l’altro inevitabili in un piccolo centro qual è Casoria, in quanto tali non hanno alcun efficacia probatoria, nemmeno di natura indiziaria, mentre con riferimento ai dipendenti, che sarebbero ventidue e non trenta, per quattordici di essi il processo sarebbe stato archiviato, per tre sarebbe intervenuto un licenziamento poi annullato dal Giudice del Lavoro, mentre per gli altri cinque sarebbero stati adottati provvedimenti disciplinari; in ogni caso, nessun addebito potrebbe essere rivolto agli organi di governo, né è stato minimamente dimostrato che la descritta situazione avrebbe potuto dare adito a fenomeni di condizionamento di tipo mafioso.

Sul punto si osserva che le specifiche situazioni di contatto personale tra alcuni amministratori e persone con pregiudizi penali, per alcuni anche gravi e comunque rientranti in logiche delinquenziali affini alle attività proprie delle associazioni criminali (quali delitti inerenti le armi, le sostanze stupefacenti, estorsioni), costituiscono un elemento indiziario di indiscutibile gravità e non certo giustificabile con l’affermazione – infondata in punto di fatto – secondo cui il Comune di Casoria sarebbe di dimensioni talmente ridotte da poter escludere l’inevitabilità dei denunciati contatti.

L’esistenza di indiscutibili momenti di contatto tra amministratori e persone comunque sospette contribuisce dunque a rafforzare l’ipotesi di non piena affidabilità di tali soggetti, i quali sono in ogni caso preposti al perseguimento esclusivo dell’interesse pubblico locale, aspetto che costituisce imprescindibile condizione per l’assolvimento dei compiti conferiti attraverso il mandato elettorale.

Più debole è invece la rilevanza indiziaria degli elementi desunti dalla situazione dei dipendenti con pregiudizi di varia natura, poiché non può affermarsi che vi sia stata inerzia o compiacente tolleranza da parte degli organi di governo ed inoltre la circostanza appare sminuita dalla scarsa rilevanza del ruolo dei dipendenti stessi.

Quanto all’occupazione della casa del custode del mercato ortofrutticolo da parte di esponenti della famiglia di X – ossia il precedente custode arrestato nel 1984 e deceduto nel 1993 – parte ricorrente ha lamentato che si trattava di una situazione risalente ad un periodo anteriore rispetto alla disciolta amministrazione, preceduta anche da gestioni commissariali che nessun rimedio avevano posto alla situazione; aggiungeva ancora che la casa, insieme all’intera struttura mercatale, era stata oggetto nel 1998 di una convenzione stipulata con un’associazione di categoria, rapporto poi risolto per inadempienze di quest’ultima, proprio su iniziativa dell’attuale Sindaco; ancora, nella relazione mancava l’indicazione di elementi idonei a comprovare la supposta contiguità mafiosa dei membri della famiglia X e che tale circostanza non poteva in nessun modo essere ritenuta come un sintomo di un condizionamento da parte degli organi di governo dell’ente.

Osserva il Collegio che la circostanza, anche questa da valutarsi nell’assetto complessivo degli elementi indiziari emersi, poggia su un atteggiamento di effettiva e risalente tolleranza di una situazione di occupazione senza titolo dell’immobile in questione da parte di esponenti della famiglia X - la cui prossimità con la criminalità organizzata locale risulta ampiamente comprovata dalle indagini compiute dalla commissione rispetto ad alcuni suoi membri - con contestuale accollo anche dei costi per l’illuminazione elettrica, situazione, non solo nota agli organi di governo, ma anche rimossa solo ad avvenuto insediamento della commissione straordinaria; né rileva in senso contrario l’iniziativa giudiziaria assunta dall’Amministrazione di richiedere il rilascio dei locali, trattandosi di un’azione rivolta piuttosto contro l’associazione concessionaria morosa per l’intero complesso del mercato e quindi non deponente nel senso di una volontà di intervenire sulla specifica situazione di occupazione abusiva della casa del custode che ha di fatto continuato fino alla fine ad essere servita da una fornitura di energia elettrica i cui costi rimanevano a carico del Comune.

Circa la situazione degli appalti, le indagini hanno posto in evidenza quattro affidamenti, operati in modo non trasparente in favore di imprese contigue o comunque sospette di prossimità con ambienti mafiosi.

Al riguardo, è stato lamentato che le considerazioni svolte dell’organo istruttorio, poi fatte proprie nel provvedimento di scioglimento, si sarebbero limitate ad un generico giudizio di illegittimità delle procedure di affidamento, senza addurre alcun elemento volto a dimostrare l’esistenza di una causa di condizionamento, aggiungendo che si tratta di attività proprie della sola dirigenza, in alcun modo riconducibili, in assenza di un comprovato collegamento, agli esponenti degli organi di governo del Comune.

Nella memoria depositata in vista dell’udienza di discussione si è ancora osservato che si tratta di contratti di importo irrisorio e quindi del tutto estranei ai ben più cospicui appetiti della criminalità organizzata; in ogni caso, per tutti era stata richiesta la certificazione antimafia, benché non obbligatoria in ragione dell’esiguità dei valori, adducendosi altresì la contraddittorietà della relazione della commissione con riferimento all’affidamento di un appalto ad una ditta operante nella zona di Casal di Principe e quindi non collegata agli interessi della criminalità organizzata locale.

Rileva il Collegio che la relazione della commissione di accesso ha operato una disamina puntuale delle vicende relative ai quattro affidamenti, tutti disposti in favore di imprese fondatamente ritenute contigue ad associazioni criminali; il momento di agevolazione deve ricondursi ora ad una decisione di procedere all’affidamento a trattativa privata senza motivare sulle ragioni della scelta ricaduta su quella specifica impresa (come è avvenuto nel caso dei due affidamenti diretti disposti in favore della D. G. s.r.l. relativamente alla Caserma della Polizia Municipale ed alla G. S. per il servizio di lavaggio degli automezzi), ora attraverso un’ingiustificata tolleranza nell’allegazione di documentazione volta a comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione ed affidamento, come nel caso del contratto con la ditta D. L. di Casal di Principe.

D’altronde, nessuna rilevanza liberatoria può assumere la circostanza dell’avvenuta richiesta della certificazione antimafia, trattandosi di un adempimento che non ha impedito di procedere ad un affidamento in favore di imprese più che sospettate di prossimità mafiosa, senza che a tale ultimo riguardo possa rilevare la provenienza di queste da un territorio diverso da quello di Casoria; né serve a sminuire la rilevanza indiziaria di tali episodi il fatto che si tratta di contratti di modesta entità, posto che le circostanze che hanno dato luogo agli affidamenti depongono comunque nel senso di una sensibilità dell’Amministrazione rispetto ad istanze di imprese sospette di contiguità in un settore nel quale comunque è immanente l’attenzione della criminalità organizzata.

Riguardo poi all’assunto per cui la materia contrattuale è di competenza degli organi di gestione dell’ente, la questione sarà oggetto di esame nell’ultimo motivo di ricorso con cui tale censura è stata espressamente sviluppata.

Rispetto al settore dell’urbanistica, anche questo di rilevante interesse per le associazioni criminali, la commissione ha ampiamente illustrato vicende afferenti il rilascio di alcune concessioni edilizie in favore di soggetti indiziati di essere vicini a sodalizi criminali, nonché l’approvazione illegittima di un piano di lottizzazione convenzionata e il continuo rinvio della discussione in sede consiliare del punto all’ordine del giorno riguardante la destinazione delle opere abusive oggetto di demolizione, circostanza che avrebbe consentito agli autori, tra cui anche persone collegate alla mafia locale, di beneficiare della sanatoria edilizia del 2003.

Al riguardo i ricorrenti hanno contestato la genericità delle conclusioni rassegnate dalla commissione, per poi analiticamente argomentare nella memoria finale, tra l’altro non notificata, circa la legittimità dei provvedimenti urbanistici ed edilizi oggetto in questione.

Tra tali episodi, senza addentrarsi nel merito tecnico delle singole contestazioni afferenti i provvedimenti in materia urbanistica, ciò che assume particolare significatività, sotto il profilo di un diffuso condizionamento mafioso riguardante direttamente gli organi di governo, è proprio il differimento dell’argomento all’ordine del giorno del Consiglio Comunale relativamente alle determinazioni da assumere riguardo alla destinazione delle opere abusive, ritardo che ne ha di fatto scongiurato la demolizione, a salvaguardia degli interessi di chi ha realizzato le predette opere in violazione delle prescrizioni che regolano il razionale sviluppo dell’assetto del territorio; tale atteggiamento di colpevole inerzia, già sintomo di mala gestio in sé, assume particolare pregnanza anche per il vantaggio arrecato ai soggetti individuati nella relazione istruttoria come vicini alla criminalità organizzata, nessuna rilevanza assumendo in senso contrario la circostanza per cui il differimento avrebbe agevolato una pluralità di soggetti, non tutti necessariamente mafiosi; infatti, trattandosi di un atteggiamento già di per sé non costituente da parte del Consiglio Comunale puntuale assolvimento del mandato elettorale e dei compiti istituzionali cui è preposto, la circostanza per cui non tutti i proprietari di opere abusive fossero mafiosi – o addirittura che solo alcuni lo fossero – non consente di superare il sospetto di una condotta comunque agevolativa anche di interessi della criminalità organizzata locale, senza dubbio presenti in un campo quale quello dell’abusivismo edilizio.

Riguardo al capitolo relativo alla Casoria Ambiente s.p.a., società a capitale interamente pubblico di cui il 51% di proprietà del Comune di Casoria, la commissione ha accertato l’affidamento di servizi e forniture in favore di varie imprese vicine a sodalizi criminali, senza che fossero adottate le necessarie cautele per evitare l’instaurazione o comunque per giungere alla cessazione di rapporti contrattuali con le medesime.

Al riguardo è stato obiettato che non solo il Sindaco e l’Amministrazione comunale non avevano diretti poteri di controllo sull’operato della società, ma che comunque erano state vanamente richieste al Prefetto notizie sui membri del Consiglio di Amministrazione di nomina comunale, soggetti comunque successivamente revocati dal Sindaco A.

Nella memoria depositata in vista dell’udienza di discussione, si evidenzia anche che, riguardo all’affidamento alla Campania P. G. s.p.a. della fornitura di carburante per autotrazione, dopo che tale vicenda era stata ritenuta sintomatica di una promiscuità mafiosa, lo stesso Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, allorquando dette informazioni erano state richieste dalla commissione straordinaria nel frattempo insediatasi, aveva in modo del tutto contraddittorio attestato la mancanza di pregiudizi antimafia.

Va osservato che, sebbene la società Casoria Ambiente s.p.a. abbia una soggettività distinta dal Comune di Casoria, non è dubitabile che tra di essi sussista comunque uno stretto collegamento proprio in relazione allo svolgimento di servizi di interesse comunale; al riguardo, non è contestato – e la relazione istruttoria è ampiamente esaustiva sul punto – che la società abbia intrattenuto rapporti contrattuali con imprese sospette di contiguità con associazioni mafiose, senza che fossero state poste in essere tutte le opportune cautele volte a scongiurare l’instaurazione o comunque il mantenimento di tali vincoli. In tal caso, scarsa significatività assume l’iniziativa del Sindaco A relativamente alla sostituzione dei membri del C.d.A., atteso che ciò che avrebbe potuto avere rilevanza ai fini di un comportamento effettivamente dissociativo e quindi attestante una concreta volontà di contrasto delle cointeressenze mafiose rispetto all’effettivo perseguimento degli interessi pubblici, anche interposti, di cui è competente l’ente locale, sarebbero state iniziative volte ad assumere informazioni o disposizioni di indirizzo destinate ad approfondire proprio l’assoluta trasparenza dei soggetti cui venivano affidati importanti commesse.

In altri termini, anche tale argomento deve essere inteso non in termini dimostrativi di un effettivo collegamento tra organi di governo del Comune e criminalità organizzata, ma quale elemento indiziario di un comportamento non efficacemente volto ad evitare ingerenze o comunque contatti di natura sospetta incidenti sulla trasparenza di interessi pubblici quale l’assolvimento di servizi comunque facenti capo all’ente locale.

In conclusione, e con ciò respingendosi anche il quarto motivo di ricorso, l’impugnato provvedimento di scioglimento si presenta privo dei lamentati profili di carenza di motivazione e di istruttoria, nonché adeguatamente argomentato sotto il profilo della razionalità, essendo emersa una generale situazione di ambiguità dell’apparato amministrativo, sia di governo che di gestione, tradottasi in comportamenti e scelte che, oltre ad arrecare un concreto vantaggio a persone vicine ad ambienti malavitosi, depongono nel senso di una gestione non assolutamente insensibile alle istanze della criminalità organizzata.

Con l’ultimo motivo di ricorso è stato lamentato che, in ogni caso, gli addebiti riguardano attività di esclusiva competenza della dirigenza, rispetto alla quale manca qualsiasi potere di intervento da parte degli organi di governo o, comunque, la dimostrazione di un collegamento di fatto tra apparato politico e burocrazia .

Al riguardo – in disparte la vicenda del differimento della discussione consiliare sulla demolizione delle opere abusive, direttamente riconducibile all’attività di un organo di governo - va osservato se è pur vero che nei settori "sensibili" quali quello degli appalti e dell’urbanistica, la competenza appartiene senz’altro alla dirigenza, ciò non vale a superare la considerazione per cui l’attività dell’ente risulta comunque aver subito diffusamente l’influenza di soggetti appartenenti o comunque vicini al mondo della criminalità organizzata, senza che gli organi di governo, comunque a conoscenza di specifici episodi che avrebbero comunque dovuto doverosamente conoscere proprio per la delicata funzione di indirizzo e di responsabilità rivestita, nessuna azione di concreto contrasto o rimedio abbiano posto in essere; né è dubitabile che, anche in presenza dell’invocato principio di separazione, gli organi di governo siano responsabili, in quanto organi di vertice, della conduzione generale dell’attività amministrativa, sia in termini di efficienza che di trasparenza; è quanto emerge anche dal principio generale di responsabilità del Sindaco ai sensi dell’art 50, primo comma del D.Lgs.18.8.2000 n. 267 [2] e dal potere di nomina dei dirigenti e dei funzionari di cui ai commi ottavo e decimo della medesima disposizione.

Le considerazioni che precedono valgono anche per i motivi di censura proposti nel ricorso n. 7765/05 R.G., attesa la quasi totale coincidenza con quelli contenuti nel ricorso n. 7605/05 R.G.

Ed infatti hanno già costituito oggetto di approfondimento la ritenuta irrilevanza dei rapporti di frequentazione tra amministratori e persone sospettate di contiguità mafiosa, nonchè la presenza di alcuni dipendenti con precedenti penali, essendosi sul punto rilevato che si tratterebbe di persone che comunque svolgono mansioni di modesta entità: al riguardo è sufficiente osservare che tale ultimo aspetto non viene in considerazione in termini di diretta influenza di costoro sugli organi di governo, quanto in chiave indiziaria di un’oggettiva situazione di malessere dell’ente, anche sotto il profilo dell’assetto organizzativo.

Quanto alla questione dell’occupazione della casa del custode del mercato ortofrutticolo ed alle agevolazioni nell’affidamento di appalti ad imprese orbitanti in ambiti malavitosi, è sufficiente riportarsi alle argomentazioni sviluppate in occasione dell’esame del ricorso n. n.7605/05 R.G., così come anche riguardo alla rilevanza del comportamento serbato dal Consiglio Comunale a proposito della destinazione degli immobili abusivi ed ai rapporti tra il Comune e la società Casoria Ambiente s.p.a.

Deve conclusivamente ritenersi che le attività di accertamento compiute hanno consentito l’emersione di elementi indiziari significativi e sufficienti a giustificare un giudizio di non indifferenza dell’apparato di governo e di gestione del Comune di Casoria rispetto ad interessi della criminalità organizzata, valutazione che, inoltre, non presenta profili di irrazionalità o di inadeguatezza.

Entrambi i ricorsi, pertanto, devono essere respinti, con integrale compensazione tra le parti delle spese processuali sussistendone giusti motivi per la complessità delle questioni esaminate.


P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Prima Sezione

- previa riunione dei ricorsi n. 7605/ R.G. e n. 7765/05 R.G. ai sensi dell’art. 52 del R.D. 17.8.1907 n. 642;

- li respinge;

- spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella Camera di Consiglio del 27.12.2005 dai Magistrati

Giancarlo Coraggio Presidente

Fabio Donadono Consigliere

Paolo Corciulo Primo Referendario, estensore


Il Presidente L’Estensore



Depositata in Segreteria il 6 febbraio 2006

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