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Nick: POESIA_70
Oggetto: malagiustizia
Data: 13/4/2006 12.3.5
Visite: 89

Nei pochi mesi in carcere leggeva la Bibbia e parlava di «percorso di redenzione». Poi una grave cardiopatia del suo bambino lo fece uscire. Nonostante il parere negativo del pm.



Era stato un bambino a salvarlo dalla galera: suo figlio Giuseppe. Era il marzo 2001. Da quasi 7 mesi Mario Alessi era chiuso in una cella del carcere di Agrigento. Accusato d'avere stuprato una ragazza minorenne e sequestrato il suo fidanzato, giurava di essere innocente, parlava di «un percorso di redenzione». S'era perfino fatto consegnare una Bibbia, la leggeva con devozione. I suoi legali chiedevano che venisse scarcerato. Sul tavolo del gip c'era il parere del pubblico ministero: un no secco. Ma da Mezzani, in provincia di Parma, i genitori della nuova compagna di Alessi, Antonella Conserva, si dichiaravano disposti ad accogliere in casa il genero, portandolo via dalla Sicilia.

E in cella Alessi mostrava di disperarsi per la sorte del suo bambino, Giuseppe, venuto al mondo nell'aprile del 2000 con una cardiopatia congenita, talmente debole da non riuscire neppure a piangere alla nascita, con una madre che poteva comprare latte e pannolini solo con l'aiuto del Comune. In nome di quella creatura, della sua fragilità, il gip aveva detto sì alla scarcerazione, inviando Alessi agli arresti domiciliari nella casa dei suoceri. Due mesi dopo, il 29 maggio 2001, anche quella misura era stata revocata, sostituita da un più blando obbligo di dimora.
Un anno dopo sarebbe arrivata la condanna: sei anni in primo grado, col rito abbreviato, confermati in appello. Un verdetto sul quale a giugno si pronuncerà la Cassazione. Ora che Mario Alessi è tornato in una cella, accusato di essere la mente e, forse, il braccio violento del sequestro e dell'assassinio del piccolo Tommaso Onofri, quella scarcerazione, dovuta all'esaurimento dei termini di custodia cautelare, viene agitata come un'imperdonabile imprudenza.

E con impegno si scava nella vita di quest'uomo che il primo giugno compirà 45 anni, per cercare una traccia, anche labile, un annuncio del crimine che avrebbe compiuto. Ma a San Biagio Platani, il paese agrigentino dove Alessi è nato e vissuto, con brevi fughe di lavoro al Nord fino al marzo 2001, la storia di Mario appare la vicenda di un balordo, un taglialegna abituato a fare debiti e a non saldarli mai, cattivo marito, pessimo padre, capace di abbandonare, nel gennaio 1993, la moglie Marianna, lasciandola con una bambina di sei anni e il secondo figlio in grembo, un ragazzino che ha visto suo padre solo in questi giorni, in tv. Un commediante pronto a ostentare cortesia e gentilezza, ma talmente violento da stuprare, con un complice, una ragazza di 16 anni, dopo avere legato e derubato il fidanzato diciottenne, allora ausiliario di leva nei carabinieri.

Era il 30 luglio del 2000. I due fidanzati avevano trascorso il sabato sera in una casa di campagna, appena fuori del paese. Al momento di tornare a casa, all'una di notte, avevano visto due uomini sbucare dal buio. Indossavano calzamaglie scure sul viso, impugnavano un coltello e una pistola. Strappati bracciale e collanina d'oro al ragazzo, l'avevano legato a un albero e si erano avventati sulla ragazza. Prima di lasciarla, con un pretesto s'erano fatti dare il suo numero di cellulare. E alle 21.15 della domenica sera uno sconosciuto aveva chiamato: era Mario Alessi.
Da quel momento, per la ragazza, era cominciata una persecuzione. Il suo violentatore chiamava a qualunque ora, a casa e sul cellulare. Badava che il suo numero non apparisse, e naturalmente non rivelava il suo nome, ma chiedeva scusa per ciò che aveva fatto, voleva incontrare la sua vittima: un nuovo appuntamento, a qualunque costo. Chiamò, per sbaglio, perfino quando la ragazza si trovava nella caserma dei Carabinieri per denunciare quell'assedio. Finché lei finse di piegarsi, domandò che lui le fornisse un numero di telefono per poterlo contattare. E Alessi cadde in trappola. Provò a cavarsela dicendo d'avere prestato il telefonino a un amico. Ma la prova del dna lo incastrò definitivamente.




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malagiustizia   13/4/2006 12.3.5 (88 visite)   POESIA_70
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