Nick: Franti Oggetto: Per Non Dimenticare Bis Data: 28/4/2006 18.14.4 Visite: 211
"Picchiano le armi Nella domenica ipocrita Delle morti intelligenti, Nel sangue della legalità"
Mi svegliai di soprassalto.
"Cazzo è ‘sto rumore? Che cazzo d’ora è?"
"Piè è mezzogiorno…E’ giovedì, non domenica che t’alzi all’ora di pranzao. Alzati forza, che stasera devo tornare a Genova e me la voglio godere ‘sta giornata in questo posto di verde e contadini"
Ero nervoso.
"Carlo ma ti rendi conto? Ma che cazzo fai? Sono intronato…E poi ‘sti cazzo di Subsonica di prima mattina…Spegni quel maledetto lettore, porca troia!".
"Batte il cuore, batte a fondo. Gli occhi non ti si confondono. Batte quando non è spento Dentro di te il sole silenzioso"
"Piè, non rompermi le palle, t’ho detto che è mezzogiorno e devi alzarti. Sono qua in questo posto tuo e me lo voglio godere. Voglio uscire, fare un giro e andare a mangiare dallo zio Bruno, in quel paesello…come si chiama?"
"Montefusco?"
"Ecco sì, bravo. Montefusco. Muoviti, da, porca puttanai. Che fuori c’è un sole bellissimo. Un sole che non parla. Silenzioso. Come piace a te. E a me. E a un sacco di altre persone come te. E me.".
"Giuliani, lo sai che niente fai ma pure rompi il cazzo? Va bene, mi alzo..Ma spegni quel lettore…"
Carlo sorrise.
Carlo che di cognome faceva Giuliani era venuto da me, nel mio paese di verde e contadini, da Genova, qualche giorno prima del G8. "Per rigenerarmi un po’ e sentirmi più libero", diceva.
Magrissimo, capelli tendente al biondo e cortissimi. Quel taglio di capelli lo faceva uscire direttamente da Trainspotting. Se avesse portato degli occhiali tondi, con la montatura alla Lennon, avrei detto ad occhio e croce che era un tipo di quelli che se ne stanno in disparte, gli occhiali spessi ed una collezione di insetti a casa, quelli che ti parlano del sistema solare.
Al primo posto, nella sua vita, non c’era la vita quotidiana, ma ciò che percepiva con i cinque sensi. Era disponibile soltanto ad assorbire emozioni o illusioni: contava quello. Era una persona libera.
Io questa cosa della libertà, in quel sfottuto fine luglio, non la capivo più. La libertà era per me come l’ossessione dei paranoici. Credono di essere in due: loro e il mondo. Io non volevo cambiare il mondo. Qualche anno prima forse sì, ma poi basta. Non volevo cambiare il mondo, ma solo ritagliarmi uno spazio piccolo, per me, all’interno del mondo. Uno spazio piccolo per me e per quelli come me, a cui tenevo. Poi ho capito che questa era pure l’aspirazione di Carlo, ma su larga scala. E Carlo, tempo dopo, m’avrebbe cancellato dalla testa ‘st’opinione m’avrebbe riportato a qualche tempo prima. Quando dicevo, senza retorica e con tono tutt’altro che da sermone: "Darei la mia vita per un mondo migliore"
La sera prima m’ero addormentato in poltrona, ubriachissimo. Carlo, altrettanto ubriaco, aveva dormito di là, in camera, con mio fratello Rocco. M’ero seduto in poltrona, il plaid addosso e mi ero addormentato. A casa mia. Finalmente a casa mia. Con le braccia piegate dietro la testa, sulla mia poltrona di velluto color ocra, con i braccioli sdruciti e scorticati.
Quella mattina di fine luglio m’ero alzato ed ero andato nella mia stanza, prima di entrare nel bagno. E m’ero riseduto. Avevo i piedi nudi, non coperti da calzini neri, poggiati su una sedia, con le gambe stese parallelamente al tavolino dove era ed è situato il pc.
Nella mista stanza v’erano sparsi, ma per la stanza, una moltitudine di oggetti elettronici, lasciati da mio fratello. Mio fratello aveva preso una fissa. Tanti gli oggetti. Tanti e tali che la stanza pareva si trasformasse in qualcosa di vivo. Forse, con il tempo, sarebbe stata capace di sviluppare una personalità propria, fino a diventare lei stessa il modello di organizzazione di me che la occupavo. M’avrebbe detto quello che devo fare, avrebbe influenzato il mio umore, avrebbe deciso di che tipo di habitat avrò avuto bisogno. Se fosse servito un ambiente adatto a fare l’amore me lo avrebbe preparato. Una stanza in grado di odorare e sentire la mia presenza. Quella cazzo di stanza con la presenza di Carlo che veniva dalla città ma con l’anima e la speranza di vivere, anche solo per due giorni, un Nuovo Cinema Paradiso, non c’entrava nulla.
M’alzai dalla sedia e mi diressi verso la porta del bagno. Prima di entrare gridai a Carlo, che era di là, in cucina, intento ad infilare le dita nel barattolo di nutella,
"Carloooo! Mi sento molto Mia Fallace. Facciamo una cosa: io adesso vado in bagno a incipriarmi il naso e tu resti seduto e pensi a qualcosa da dire"
"Ma vai a cagare", disse Carlo dalla cucina.
"Faccio pure quella nel cesso. Oh, ma che cazzo stai facendo?"
"’Agno ‘a ‘tella"
Aveva le dita piene di nutella in bocca.
"Cazzo hai detto?"
"Mangio la Nutellaaaaaa!"
"Ma che globalizzato di merda che sei tu e ‘sta nutella Ferrero"
"Ah sì? Perché tu pi che la compri?"
"Non l’ho comprata io. Ma mio fratello. E non mangio Nutella".
Era una balla e si vedeva da un chilometro che lo era.
"Vabbè, caga dai che è meglio".
Dopo aver fatto una doccia, indossato una maglietta, un paio di jeans sdruciti e un paio di stivali neri che indosso pure d’estate, io e Carlo uscimmo di casa. Carlo bacio sulla guancia e abbracciò Rocco, mio fratello.
Decisi di fare una capatina da Enrico. Enrico ve l’ho già presentato. Enrico è il mio pusher di fiducia Da anni lo è. Dai tempi del liceo. Un pusher di paese ma con una professionalità fuori dal comune, degna del miglior pusher di Brooklyn. Un cocker e una persona serissima, da certi punti di vista. Prende molto seriamente il suo lavoro. Innanzitutto vende solo hashish e marijuana di tutti i tipi, ma niente merda pesante. Al massimo, ma solo qualche volta, un po’ di coca come si deve. E già questa cosa fa di lui un pusher d’elite. Ma, oltre a ciò, ti da un sacco di consigli al riguardo degli acquisti e non è il pusher che ti deve rifilare a forza qualcosa a tutti i costi, anche merda.
Carlo legò subito con Enrico e la sua Widows.
"Giulià, quando torni a Genova, racconta ai tuoi amici di me e della mia Maria", disse Enrico a Carlo.
"Sicuro Enrico!", rispose Carlo, ridendo con gli occhi chiusi. Aveva un’espressione tenere, carlo. Sempre.
Giungemmo a Montefusco, un paesino che sembrava e sembra uscito da un romanzo di Verga. Entrammo nella trattoria di Bruno. Bruno: un quarantottenne grande e grosso, vestito come un facchino (con tutto il rispetto per i facchini), capelli ricci e sopracciglia folte ed attaccate. Bisogna sempre diffidare delle persone che hanno le sopracciglia folte ed attaccate. Sono lupi mannari. Ma Bruno no. Bruno era ed è un’eccezione. Non è un lupo mannaro, semmai ha l’aspetto di un orso ma ha il cuore e l’anima di un agnello. Un agnello grosso come un orso dalle sopracciglia folte ed attaccate. Nella sua trattoria aveva messo su un CD con sopra "Anarky in The UK" dei Pistols e nel "Cicirinella" cantata da chissà quale collettivo folk talentino.
Gli occhi di Carlo sorrisero quando scoprì che l'ormai quarantottenne Bruno era l’oste più anarchico che esistesse. Più anarchico di Pinelli il ferroviere, senza cadere giù dalla finestra.
Due figli e una moglie bassa e magra dai capelli corvini e le sopracciglia sottili e distanti tra loro. Immaginavo la smontasse quando facevano all’amore.
Bruno abbracciò prima me e poi Carlo, come se fosse suo amico da sempre. Ci fece accomodare. Mangiammo fagioli e funghi, cotechino e fettuccine, salame e formaggi. Il formaggio lo mangiò solo Carlo. Io ero e sono allergico ai latticini.
Osservavo Carlo e Bruno che, nel frattempo, s’era seduto a tavola con noi. Vederli parlare e cazzeggiare fra di loro fu un'esperienza shockante. Vederli fumare insieme la Maria, dopo il pranzo, non ve lo dico proprio. Vederli con il bicchiere di grappa che alla fine si spacca con i denti (mia vecchia usanza) mi fece venire la pelle d’oca.
Lasciammo Bruno verso le quindici e trenta e portai Carlo ad Apice Vecchia, un paesino abbandonato a seguito del sisma del sessantadue. Quasi totalmente diroccato.
Carlo ne rimase affascinato.
La prima cosa che fece, fu trovare una parete liscia. Aprì lo zainetto, estrasse fuori una bomboletta spray e scrisse sulla parete.
"Nelle nostre anime c’è posto per Mingus, Biko, Sandino, Jara, Dante di Nanni, Guevara, Jarry Durruti, Marcos. Queste persone immaginatele tutte con un sorriso. Sono persone che con la loro voglia di giocare, con la propria vita, hanno lasciato a tutti dei regali. Non so più cosa scrivere su questa parete ma l’elenco finisce con i milioni di fratelli e sorelle che non hanno mai avuto un posto o un nome, che non sono meno importanti, anche senza il fuoco dell’eroe, il sermone del perfetto. Così come loro. E come noi."
E firmò: "Pier & Carlo".
Sorrisi.
Dopo una mezz’ora, Carlo mi fece:
"Pier, torniamo a casa. Prendo il furgone che riparto per Genova, dai".
Mi venne un groppo alla gola.
Arrivati a casa, Carlo salì su, a prendere la Valigia. Riscese e ci salutammo con un abbraccio, prima che lui salisse su suo furgone.
Prima di salire mi chiese:
"Piè, allora? Che fai? Sali a Genova per la manifestazione contro il G8? Dai resti da me per un po’"
"No Carlo, ho da fare in questi giorni, lo sai…"
"Pier, stai diventando vecchio"
"Può darsi Carlo, ma ci sarà un casino là. Stai attento. Tu sei in strada e quegli arroganti di merda sono seduti ad un tavolo, in doppiopetto, a dettare diktat in nome del profitto e dell’accumulazione capitalistica. Se ne sbattono di un mondo che costringe alla fame interi continenti, dove le guerre diventano "umanitarie"
Carlo mi guardò teneramente e non disse nulla.
Continuai.
"Ma poi, prescindere dagli intenti schifosi e falsi, ti pare giusto che per riunire otto teste di cazzo, si mette a rischio la vita o l’incolumità fisica di persone che credono in qualcosa? Non sarebbe meglio una bella videoconferenza via iternet, senza scazzi e rischi per nessuno, semmai ‘sta conferenza dovesse servire, per assurdo?"
Carlo mi guardò e disse sorridendo:
"Pier..Io perciò sarò per strada. Per combattere la mia guerra, la nostra guerra. Senza armi. E tu mi sa che stai invecchiando..".
Non dissi nulla e pensai a quand’ero bambino. Da bambino è tutto più facile perché fai male per gioco, vivi per gioco, vai nel negozio a comperare gli Ovetti Kinder, li apri e trovi un soldatino. Quando ne hai nove o dieci, inventi una guerra. Adesso no. Adesso, se inventi qualcosa di finto sei pazzo o, minimo, sei esaurito. Allora pensai e penso che crescendo, a un certo punto, ho incominciato a giocare a un gioco che non si capisce mai. Tu guardi gli altri che guardano giocare te. Come se tutti ci spiamo a vicenda. Ma il gioco qual è, non lo sai. Nessuno lo sa.
Carlo accese il motore del furgone. Fece una manovra e mi salutò.
Mi venne da piangere. Carlo rigirò il furgone, rise quasi a prendermi per il culo, e disse:
"Oh ma che cazzo fai? Mica sono morto? Non sparisco, fesso. E poi, seppur volessi sparire, nella tua testa ci rimarrei per sempre, lo sai. E tu nella mia".
Sparire non è mai un trucco, un piano studiato a tavolino, un sistema per rendersi interessanti: può diventarlo, ma non lo è mai all’inizio. Nessuno può riuscire a sparire se non ne ha un intimo e patologico bisogno. Nessuno sparisce se non ne ha i coglioni strapieni, e se non ha qualche disturbo psicologico. Poi, dopo, magari diventa un motivo di fascinazione, ma non era per quello che eri sparito. Se non sei malato e non sei sfinito, non ce la fai a sparire: magari salti un giro, ti nascondi per un po’, eviti per un anno la luce di questo o quel riflettore quotidiano, stacchi il telefono per una settimana, butti il modem per un mese, ok, ce la puoi fare, ma garantito che poi arriva il giorno che ricompari. Garantito
Asciugai le lacrime, sorrisi e lo salutai. Se ridi, tutto il mondo riderà con te, se piangi, piangerai da solo
Il sole silenzioso che c’aveva fatto compagnia durante la giornata stava andando via eall’autoradio del suo furgone in movimento veniva su una scia di parole ritmate.
"Di chi disubbidirà. Lungo la terra di chi Sempre disubbidirà. Nella giustizia di chi, Di chi disubbidirà. Sole silenzioso. Quando il futuro è con chi Sempre disubbidirà. Sole silenzioso. La storia fatta di chi…"
Stanotte ho sognato Carlo. Eravamo a Genova, nei pressi della caserma Bolzaneto. Avevamo due bombolette spray, due passamontagna indossati e un estintore ognuno, legato alla schiena. Sembravamo due sommozzatori. Sugli estintori v’era la foto di Bruno, l’oste anarchico, grande e grosso e con le sopracciglia folte ed attaccate. Nei pressi della caserma v’era un ragazzo che vigilava. Era moro, un viso impaurito e una divisa da Carabiniere. Una targhetta su petto dove compariva il suo nome: Mario Placanica.
Carlo gli si è avvicinato, ha tolto via il passamontagna, ha preso l’estintore che aveva sulla schiena e gliel’ha consegnato, sorridendo. Il ragazzo con la divisa da Carabiniere, con una targhetta su petto dove compariva il suo nome Mario Placanica, ha sorriso e ha detto:
"Scusami…"
Carlo ha sorriso, gli ha tolto il berretto e gli ha dato un buffetto.
Il ragazzo con la divisa da Carabiniere, con una targhetta su petto dove compariva il suo nome Mario Placanica, ha sorriso di nuovo.
Io e Carlo ci siamo allontanati, salutandolo con un cenno della testa.
Siamo andati nei pressi di una parete della caserma Bolzaneto. Carlo ha detto:
"Dai, che non sei invecchiato, Pier! Fallo tu, forza"
Mi ha sorriso e si è allontanato.
Ho stretto nel pugno la bomboletta spray e ho lasciato una scritta sulla parete della caserma.
"Nelle nostre anime c’è posto per Mingus, Biko, Sandino, Jara, Dante di Nanni, Guevara, Jarry Durruti, Marcos. Queste persone immaginatele tutte con un sorriso. Sono persone che con la loro voglia di giocare, con la propria vita, hanno lasciato a tutti dei regali. Non so più cosa scrivere su questa parete ma l’elenco finisce con i milioni di fratelli e sorelle che non hanno mai avuto un posto o un nome, che non sono meno importanti, anche senza il fuoco dell’eroe, il sermone del perfetto. Così come loro. E come noi."
Firmato: Pier & Carlo.
Ps – E’ fantasia. La Fantasia è una bella cosa ma può fare male se non sai domarla. Le persone ed i fatti citati non sono puramente casuali. Niente è casuale.
Ps 2 – Si ringrazia Nove per una citazione. Ho visto fefy nel bar di rimpetto ad Architettura che cantava (con un panzerotto fritto in mano) "Luglio, col bene che ti voglio vedrai non finirà. Lallallallàààààààààààààààààààààà". Poi ha detto al giovinotto del bar se gli andava di cantare con lei |