Il costo di un paio di scarpe Nike
Trymun è una ragazza indonesiana di 19 anni che lavora in una fabbrica di scarpe. Due anni fa lasciò il suo villaggio piena di ottimismo. Sperava di guadagnare abbastanza per mantenersi e mandare a casa un gruzzoletto. In realtà non ce la fa neanche a coprire le sue spese personali. Riesce a sbarcare il lunario condividendo la stanza con altre nove compagne e facendo un sacco di straordinari. Ecco il suo racconto: «Ogni giorno lavoriamo dalle otto fino a mezzogiorno, poi facciamo pausa per il pranzo. L'orario del pomeriggio dovrebbe andare dall'una alle cinque, ma dobbiamo fare gli straordinari tutti i giorni. Durante la stagione di punta lavoriamo fino alle due o le tre di notte. Anche se siamo sfinite non abbiamo scelta. Non possiamo rifiutare gli straordinari perché le nostre paghe di partenza sono bassissime. La mia corrisponde a 50 dollari al mese, che in realtà diventano 43 perché il datore di lavoro ci trattiene 7 dollari per le tasse di registrazione. Quando ci ho tolto le spese per il dormitorio, l'acqua e la corrente elettrica, mi rimane molto poco per mangiare".
La fabbrica in cui Trymun lavora appartiene a un sudcoreano, ma le scarpe che produce sono destinate a Nike. Nonostante mezzo miliardo di dollari all'anno di profitti, Nike si lamenta: «Con i tempi che corrono rimanere sul mercato è una battaglia continua. Per vincerla bisogna investire in pubblicità». E cosi fa. Abitualmente dedica a questa voce l'l’11% del suo fatturato, e non solo per spot televisivi e annunci sui giornali, ma anche per sponsorizzazioni.
Strano mondo il nostro. Nel 2003 James LeBron, un atleta americano di pallacanestro neanche diciottenne, ha firmato un contratto di sette anni che lo obbliga ad indossare maglie e scarpe col marchio Nike bene in vista. In cambio riceve 90 milioni di dollari. Trymun, che produce il bene su cui è costruito tutto il castello pubblicitario e commerciale, dovrebbe lavorare 150.000 anni per guadagnare la stessa cifra. Tutti si arricchiscono sul lavoro di Trymun, tranne lei. Su un paio di scarpe che in negozio paghi 70 euro, a Trymun va solo mezzo euro, poco più poco meno, a seconda dei cambio col dollaro. In definitiva, il prodotto di Trymun è come le patatine fritte: un bene insignificante che fa da pretesto per vendere una confezione ingombrante e permettere a pubblicitari, imprenditori, supermercati e altri parassiti di avere la loro fetta di guadagno.
Costo lordo di un operaio dell'industria dell'abbigliamento (2002) generico |
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Paese |
Costo orario($) |
Italia |
15,6 $ |
Messico |
2 ,45 $ |
Rep. Dominicana |
1,65 $ |
Malaysia |
1,41 $ |
Colombia |
0,98 $ |
Thailandia |
0,91 $ |
Giordania |
0,81 $ |
Cina |
0,68-0,88 $ Filippine | 0,76 $ Haiti | 0,49 $ | Sri Lanka | 0,48 $ | Pakistan | 0,41 $ | Bangladesh | 0,39 $ | Kenya | 0,38 $ | India | 0,38 $ | Madagascar | 0,33 $ | Indonesia | 0,27 $ | Fonte: Werner International Management Consultants, Spinning and Weaving Labor Cost Comparisons, 2002. | | |
fonte: http://www.disinformazione.it/vestire_critico.htm
considerazioni personali:
Naturalmente questa è solo una delle tante storie e delle tante fabbriche di marchi famosi, credo che se ne salvino pochi, dato che le nostre magliette, scarpe, borse, zaini, ecc... non hanno la citazione sull'etichetta "made in EU", non si salvano manco le marche + "carostose" tipo D&G ecc...
C'è da dire anche un'altra cosa, vi cito il caso della Nike, ma è comune a moltissime altre aziende. Sapete quante fabbriche ha la nike in giro per il mondo? NESSUNA! tutte sub-appaltate a enti locali che le subappaltano ad altri imprenditori in una catena seminfinita...
ki ci rimette? i lavoratori locali
ki ci guadagna? i marchi (ke reinvestono in PUBBLICITA'!) e i governi locali.
ma mo comm maggia vestì?
MeGlIo FrOcIo Ke FaScIsTa!
Basta convincere un altro
mezzo milione di persone che è
inutile stare a cercarsi un
lavoro e porteremo la disoccupazione ad un
confortante 5.5%.
..:: BlackGarden ::..