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Data: 24/12/2003 13.39.55
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La camorra, la sua evoluzione, i suoi tentacoli di Antonio D'Amato
È noto che, negli anni Settanta, la crisi delle associazioni mafiose siciliane impose loro di sostenere la propria ripresa attraverso il traffico di sigarette. Il soggiorno obbligato imposto a molti capimafia nel napoletano e la centralità assunta dai porti campani a seguito della chiusura del porto franco di Tangeri, trasformarono Napoli nella centrale del contrabbando internazionale e resero l’alleanza con le organizzazioni camorristiche napoletane essenziale per la prosperità dei sodalizi criminali operanti in altre parti del territorio nazionale. Di ciò fu logica conseguenza la maturazione, da parte delle organizzazioni napoletane, di una capacità, del tutto nuova, di gestire meccanismi fino ad allora estranei alla loro cultura. Esse compresero, ad esempio, come essenziale alla loro impunità fosse il potersi nascondere dietro società, con sede all’estero, alle quali imputare, formalmente, le fasi più rischiose dei propri traffici illeciti, e che furono, pertanto, costituite in gran numero. Si trattava delle cosidette società di “casella”, munite cioè, come struttura organizzativa, di una semplice casella postale, ma operanti in ogni parte del mondo, ed adoperate per la movimentazione dei carichi illeciti e per i pagamenti delle merci illegalmente negoziate. L’esperienza giudiziaria ha insegnato che, nonostante il loro enorme numero, queste società erano e sono di fatto gestite da una ristretta ed individuata cerchia di persone, “capi storici” del contrabbando su scala internazionale.
Gli anni Settanta furono il periodo d’oro del traffico del tabacco, che aprì peraltro la strada, col tempo, alla comprensione della possibilità di utilizzare le medesime rotte ed i medesimi canali per altri lucrosi traffici illeciti. Alla metà degli anni Settanta il traffico di sostanze stupefacenti sostituì quello delle sigarette, potendo contare sulle medesime strutture organizzative rimaste, fino ad allora, quasi indisturbate, in considerazione dell’ampia tolleranza verso il fenomeno, considerato da più parti improvvidamente come una quasi innocua soluzione ai drammatici problemi occupazionali del Meridione e della città di Napoli in particolare.
Tutto ciò comportò una decisa crescita di professionalità criminale, con la trasformazione, nel breve volgere di un decennio, di piccoli delinquenti marginali, di estrazione prevalentemente subproletaria, in operatori economici capaci di comprendere i più sofisticati meccanismi finanziari, in grado di spostare ingenti masse di capitali e di merci, ed ormai dotati di strutture che prevedevano la partecipazione alle attività delinquenziali, oltre che della manovalanza (fu calcolato che alla metà degli anni Settanta le attività di importazione del tabacco lavorato estero - t.l.e. - occupavano a Napoli più di 5.000 persone), di personale estremamente qualificato, in grado di risolvere i sofisticati problemi correlati al carattere transnazionale delle attività illecite espletate. Conseguentemente, il passaggio successivo fu quello dell’ingresso dei ceti professionali nella struttura organica delle organizzazioni camorristiche, con il precipuo compito di fornire ogni genere di assistenza specialistica, anche al fine di dissimulare gli ingenti proventi derivanti dalle attività illecite svolte, così sottraendoli ad ogni possibilità di individuazione e di confisca. L’esperienza ha mostrato come questa capacità sia stata ulteriormente perfezionata nel volgere del tempo, anche in considerazione della straordinaria duttilità manifestata dalle organizzazioni criminali nel sapere adeguare le proprie forme organizzative alle mutate esigenze e possibilità, nonché alle caratteristiche dell’azione investigativa e repressiva. Pertanto, possiamo dire che negli anni Settanta, allo svolgimento di quelle tipiche attività parassitarie della camorra (usura, estorsione), nel tempo, si sono aggiunti, dapprima, il traffico delle sigarette di contrabbando e, successivamente, il traffico della droga.

Gli anni Ottanta e le conseguenze della forte espansione
economica sul modo di agire della camorra
La forte espansione economica che caratterizzò gli anni Ottanta incrementò ed affinò ulteriormente queste caratteristiche dell’azione della camorra. La più potente organizzazione operante in Campania in quegli anni, quella facente capo a Carmine Alfieri e a Pasquale Galasso, modificò profondamente i tradizionali modi di operare delle associazioni criminali campane, rifiutando il traffico di sostanze stupefacenti e modellando le proprie attività estorsive secondo schemi radicalmente diversi da quelli fino ad allora praticati. Fu, in altri termini, abbandonato il sistema delle estorsioni “a tappeto”, nei confronti di piccoli operatori, e si privilegiò il settore degli appalti di opere pubbliche. La tangente finì per costituire soltanto una parte del prezzo preteso dalle organizzazioni camorristiche, laddove la preponderante parte residua fu rappresentata dalla diretta partecipazione ai lavori di imprese, controllate da prestanome, attraverso il sistema dei subappalti. La reazione dello Stato fu di modesta entità: con la legge 13.9.1982 n. 646 fu sanzionata penalmente la violazione delle regole sulla necessità dell’autorizzazione ai subappalti da parte dell’ente concedente, ma si qualificò il reato (artt. 21 e 22 legge cit.) così previsto come fattispecie a carattere meramente contravvenzionale, con le conseguenti limitazioni nei poteri investigativi degli organi inquirenti. Le conseguenze di questa nuova strategia della camorra si presentarono immediatamente dirompenti:
a) l’accumulo dei capitali derivanti dalle attività strettamente illecite garantiva alla criminalità organizzata straordinaria liquidità ed illimitata capacità di autofinanziamento;
b) il reinvestimento di quel denaro in attività legali poneva le imprese controllate dalla camorra in grado di praticare condizioni assolutamente insostenibili per le imprese concorrenti.
Il deficit di affidabilità, per quanto riguardava capacità tecniche ed esperienza imprenditoriale, veniva compensato attraverso la capacità di intimidazione delle organizzazioni criminali. L’esperienza giudiziaria ha dimostrato, d’altronde, come in numerose occasioni gli imprenditori impegnati nella realizzazione delle più importanti opere pubbliche trovassero una diretta convenienza nell’affidare gli interi lavori appaltati a quelle imprese che, notoriamente, risultavano controllate dalle organizzazioni camorristiche. Ciò per un duplice, fondamentale ordine di ragioni:
a) veniva scongiurato il pericolo di minacce e di atti di pressione;
b) l’effettuazione delle opere da parte di ditte collegate ai capi delle associazioni criminali, che ormai controllavano incontrastatamente il territorio, consentiva, inoltre, facilità nei rapporti con le pubbliche amministrazioni e totale tranquillità sociale.
Il tutto a costi assolutamente sostenibili e convenienti. è peraltro ben evidente come l’incidenza negativa di tale fenomeno sulla possibilità di crescita ed affermazione di una imprenditoria pienamente legale sia stata impressionante: le imprese legate alla criminalità organizzata hanno finito per monopolizzare la gestione di interi comparti produttivi, a totale discapito di quelle concorrenti (è circostanza nota la costituzione, in quel periodo, di consorzi per la fornitura del calcestruzzo e degli inerti, controllati totalmente dalla camorra, operanti in regime di assoluto monopolio, con la partecipazione di imprese, anche non campane, di rilevanza nazionale). La presenza del fenomeno camorristico ha così finito per scoraggiare gli investimenti e l’insediamento di quelle imprese, non disponibili a partecipare a questo sistema di imprenditoria criminale, che risultavano impossibilitate ad operare, a parità di condizioni, con quelle disponibili ad avere rapporti di contiguità con il crimine organizzato; con la conseguente impossibilità di radicamento sul territorio campano di un tessuto produttivo stabile ed ispirato a criteri di economicità.

Gli effetti della crisi del 1992
La crisi economica che il nostro Paese ha attraversato a partire dal 1992 e la brusca interruzione dei finanziamenti pubblici destinati alla realizzazione di opere infrastrutturali hanno determinato, nel recente passato, una ulteriore evoluzione dell’agire delle organizzazioni criminali, con il ritorno a settori che, negli anni Ottanta, erano stati accantonati. Può dirsi che oggi i traffici di droga, armi e sigarette siano tornati ad essere tra i più lucrosi affari della camorra. Con straordinaria capacità di analisi, la criminalità organizzata campana ha compreso la convenienza insita nel riallacciare i vecchi rapporti con le omologhe associazioni straniere, e nello stringerne di nuovi, resi possibili dal mutamento delle situazioni internazionali. Il potenziamento delle sinergie criminali trasnazionali si presenta, infatti, oggi quanto mai opportuno. In primo luogo, esso beneficia della sostanziale eliminazione dei controlli alle frontiere (per effetto degli accordi di Schengen), con conseguente diminuzione dei rischi correlati al transito di carichi illeciti. Ciò unitamente alla facilità di approvvigionamento di t.l.e., di armi e di sostanze stupefacenti, in taluni paesi, specie se confinanti con altri direttamente produttori o recentemente fuoriusciti da conflitti, di t.l.e. In secondo luogo, il frazionamento dello svolgimento delle attività delittuose in paesi sottoposti a diverse giurisdizioni nazionali comporta un oggettivo freno della capacità investigativa degli organi inquirenti, tanto più significativo se si pensa alla ridotta capacità repressiva di quegli Stati (e ci si riferisce in particolare ai paesi dell’Europa orientale e balcanica) che, dopo il crollo del regime comunista, stanno faticosamente tentando di ricostruire istituzioni dotate di minimi requisiti di efficienza. I rapporti con i paesi dell’Est europeo - già in vita prima del 1989, allorquando da questi (specie dalla Jugoslavia) partivano i carichi di sigarette - ha consentito alle organizzazioni campane di comprendere, meglio di tutte le altre, i complessi processi di trasformazione correlati al passaggio a forme di mercato capitalistiche, e di approfittare dell’assenza di regole e di controlli sulle attività economiche per reinvestire, in quegli Stati, gli enormi introiti derivanti dallo svolgimento delle proprie attività criminali. Ma l’approvvigionamento di merci di provenienza illecita e il fenomeno del riciclaggio e del reinvestimento dei capitali illeciti non esauriscono, come prima si accennava, la questione dei rapporti, specie economici, delle organizzazioni mafiose campane con l’estero. La cessazione degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno ha infatti imposto alla camorra di dare nuove connotazioni all’agire del sistema imprenditoriale che essa, come si è visto, nel corso degli anni, ha formato accanto alle strutture dedite alle attività delinquenziali tradizionali. Le imprese controllate dalla criminalità organizzata hanno saputo così individuare forme nuove per continuare a generare profitti illeciti non più attraverso il sistema dei subappalti, ma ricorrendo a sofisticati espedienti finanziari, nei quali i rapporti con l’estero hanno finito per avere una rilevanza essenziale. Sono stati infatti già individuati, in indagini giudiziarie, gli straordinari profitti derivanti alle imprese controllate dalla criminalità campana dal sistematico ricorso alle frodi comunitarie.
In altri casi si è rilevato addirittura come, attraverso l’evasione dell’IVA, le imprese legate alla camorra abbiano ottenuto la possibilità di commercializzare merci importate dall’estero a condizioni di assoluto favore, pervenendo - anche con il ricorso alla propria capacità di intimidazione e la riduzione o l’elisione della forza di contrapposizione di forze imprenditoriali concorrenti - a realizzare situazioni di totale monopolio. Qui si nota, in maniera esemplare, come l’internazionalizzazione dei rapporti commerciali abbia finito per divenire condizione determinante per il conseguimento della certezza dell’impunità, giacchè il frazionamento delle condotte delittuose ed il coinvolgimento nelle stesse di operatori esteri, impedendo di fatto - o rendendo estremamente difficile - lo svolgimento di controlli incrociati, impediscono l’accertamento dei percorsi della merce e dei corrispondenti pagamenti, garantendo così l’impossibilità dell’accertamento autonomo della frode. L’inarrestabilità del traffico di esseri umani, realizzato in sinergia tra le organizzazioni criminali albanesi e quelle pugliesi, con le quali pure la camorra campana risulta aver instaurato stretti e consolidati rapporti, pone in evidenza, in maniera drammatica, l’irrinunziabilità di un sistema di norme che consenta l’efficace estensione all’estero dell’attività investigativa, nell’ovvio rispetto delle prerogative dei singoli Stati.

Il periodo successivo alla stagione
delle collaborazioni dei cosidetti “pentiti”
Le attuali dinamiche criminali sono connotate dal recente susseguirsi di molteplici fatti di sangue, che seguono ad un periodo di apparente diminuzione della conflittualità tra clan camorristici. Tuttavia, occorre pure segnalare come, a seguito del periodo delle cosidette “grandi collaborazioni”, sono state registrate oggettive difficoltà nell’azione di contrasto alla delinquenza, svolta dagli organi inquirenti e di polizia giudiziaria; e su tale punto occorre fare chiarezza. Non possono nutrirsi dubbi sul profondo mutamento del contesto criminale, rispetto a quello emerso dalle indagini che avevano portato, fra il 1993 ed il 1994, a significativi risultati giudiziari, per merito, essenzialmente, del contributo conoscitivo fornito dai collaboratori di giustizia che, per le posizioni di vertice ricoperte all’interno delle rispettive organizzazioni, avevano consentito, con le loro rivelazioni, di penetrarne i più reconditi segreti. Proprio in virtù delle indagini scaturite da queste dichiarazioni, si era riusciti ad infliggere notevoli colpi alle bande più potenti operanti nella giurisdizione della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Qui, taluni clan (quelli dei Quartieri Spagnoli e quelli che controllavano il Rione Traiano) sembravano ormai definitivamente smantellati.
In provincia di Napoli, le inchieste effettuate avevano portato allo scompaginamento dell’organizzazione di Carmine Alfieri come entità dotata di propria autonomia, mentre gran parte dei gruppi in essa confluiti si era disciolta per la collaborazione di numerosi loro capi, che aveva condotto all’arresto della quasi totalità degli affiliati.
Nel casertano, erano stati eseguiti centinaia di arresti per innumerevoli ed efferatissimi episodi criminosi; e, soprattutto, era stato raccolto il materiale per ricostruire decenni di attività illecite svolte in condizioni di sostanziale impunità da parte delle associazioni delinquenziali operanti sul territorio. La situazione che ne era derivata era stata quella di una sostanziale polverizzazione delle associazioni criminali, con il fallimento dei tentativi “federativi” di cui erano stati in precedenza espressione la N.C.O. di Raffaele Cutolo e la Nuova Famiglia; dai quali erano sorti il clan dei Casalesi e quello capeggiato da Carmine Alfieri, che tale schema organizzativo avevano portato avanti sino a divenire, per potenza militare e capacità di infiltrazione negli apparati dello Stato, i più importanti sodalizi della regione. Con l’andare del tempo, dunque, si erano andate ponendo in evidenza caratteristiche di crescente frammentazione anarcoide della camorra napoletana, tendente ad aggregazioni e riaggregazioni suscettibili di continua composizione e scomposizione sul modello delle bande criminali urbane di tipo americano, alle quali era già stato imputato l’elevatissimo numero di omicidi che aveva caratterizzato il 1996 e il 1997. Ciò derivava essenzialmente, più che da caratteristiche di tipo genetico della delinquenza, da una sorta di condizione di fluidità seguita ai numerosi colpi inflitti ai vecchi assetti criminali dall’operato della magistratura e delle forze dell’ordine, che imponeva la ricerca di nuovi assetti e gerarchie in una cruenta lotta ingaggiata tra i clan per il controllo delle attività illecite. D’altra parte, l’arresto dei capi storici delle organizzazioni vincenti aveva determinato il riemergere di antiche rivalità, di antagonismi e di nuove ambizioni da parte di gregari che, mal tollerando il permanere della supremazia degli antichi vertici ormai privati della libertà, si erano resi protagonisti di scissioni o della costituzione di nuovi gruppi in aperto contrasto con i tradizionali apparati gerarchici esistenti, cagionando, in occasione di episodi eclatanti - quali l’omicidio di Silvia Ruotolo (uccisa nel corso di una violenta sparatoria scatenata in pieno giorno nelle strade del quartiere Vomero al fine della realizzazione di un agguato camorristico organizzato, secondo la ricostruzione investigativa attualmente confortata dal vaglio dibattimentale di primo grado, dal gruppo camorristico di Giovanni Alfano che aveva tentato di estendere la propria sfera di influenza tradizionale dal Vomero alla zona di Posillipo) e l’esplosione dell’autobomba in via Cristallini - non indifferenti turbamenti per l’ordine pubblico, così da giustificare l’adozione di provvedimenti straordinari, come il ricorso all’Esercito per la tutela degli obiettivi a rischio. Le innegabili difficoltà degli apparati repressivi dello Stato nel fronteggiare l’emergenza, palesatesi già nel 1997, erano da ricollegare a una serie di fattori:
a) la difficoltà e la lentezza nella celebrazione dei processi, con la inevitabile liberazione, per decorrenza dei termini di custodia cautelare, di numerosi esponenti di organizzazioni camorristiche i quali poi, ripresentandosi sul territorio, avevano preteso di riacquistare le vecchie posizioni dominanti, innescando ulteriori episodi di conflittualità;
b) il progressivo arresto verificatosi nel settore delle collaborazioni con la giustizia, o comunque la involuzione delle stesse, essendo sostanzialmente cessato l’apporto conoscitivo di soggetti ricoprenti posizioni di vertice nei clan. Il modesto profilo criminale dei nuovi collaboranti, infatti, se consentiva di far luce su singoli episodi criminosi, non permetteva una esatta comprensione delle dinamiche criminali interne ed esterne ai singoli gruppi, con conseguente agevole sostituibilità dei soggetti privati della libertà personale;
c) la inadeguatezza delle tecniche investigative degli organi inquirenti, ormai adusi al mero riscontro delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia e disabituati a percorrere la via di autonome investigazioni che da tali contributi prescindessero, specie in materia di accertamento delle responsabilità connesse ai singoli omicidi di camorra. Da ciò, la conseguenza della sostanziale impunità dei loro autori nella immediatezza dei fatti e il differimento dell’accertamento delle singole responsabilità a un futuro non meglio precisato, in vista di apporti conoscitivi forniti da nuovi collaboratori di giustizia. La situazione appare, oggi, peraltro profondamente mutata. Anni di sanguinosi conflitti hanno condotto - e la situazione è rimasta immutata fino ad alcune settimane orsono - al ristabilimento di un nuovo ordine camorristico e alla cessazione di quella frantumazione e polverizzazione cui si è fatto riferimento, attraverso la costituzione di federazioni e la creazione di una serie di vincoli e di alleanze caratterizzati da sostanziale stabilità, pur con le limitazioni che, a una definitiva cristallizzazione degli equilibri, sono frapposte dalle caratteristiche storiche della criminalità organizzata napoletana e dalla non ancora avvenuta “normalizzazione” di alcune aree. Il nuovo assetto - la cui materiale dimostrazione si ricava proprio dalla caduta progressiva del numero degli omicidi e dei delitti di sangue a matrice camorristica registrata negli ultimi anni - appare chiaramente percepibile proprio, e in primo luogo, nella città di Napoli, in cui la cosidetta Alleanza di Secondigliano, che risulta ormai dominante sull’intero territorio urbano, riesce a determinare, in funzione di un complesso gioco di accordi con altre bande, il prevalere dell’uno o dell’altro sodalizio. Per l’ennesima volta è stato confermato che l’assenza di episodi eclatanti, lungi dall’attestare la debolezza delle organizzazioni criminali, rappresenta invece il sintomo più evidente della pervasività del controllo mafioso che le stesse esercitano sul territorio, tanto da eliminare qualsivoglia fenomeno di conflittualità, interna ed esterna. L’apparente tranquillità della situazione nella provincia di Napoli sembra essere l’effetto dell’opposto fenomeno del ripristino di rapporti sinergici tra i gruppi già federati nell’organizzazione Alfieri e della conseguente assenza di ogni iniziativa di concorrenza criminale sul territorio. Va detto peraltro che le forze di polizia e la magistratura hanno acquisito, progressivamente, nuove e più specifiche capacità investigative di iniziativa, che prescindono dal contributo dei collaboratori di giustizia. Costoro, invero, pur rimanendo strumento essenziale nella lotta contro il crimine organizzato, sempre più spesso costituiscono il punto iniziale di una attività conoscitiva che prosegue - e giunge a maturazione - anche per vie indipendenti; muovendosi, in tal modo, nell’auspicata direzione di un meccanismo processuale privo di ogni carattere patologico, in cui sono le rivelazioni dei collaboratori a fungere da riscontro a materiale probatorio aliunde acquisito, e non il contrario. Occorre, inoltre, prendere atto della sostanziale permanenza dell’operatività di sodalizi che pur sono stati pesantemente colpiti, in epoche recenti e meno, da provvedimenti cautelari. Nel casertano perdura l’intollerabile presenza del clan dei Casalesi, anche a causa dell’oggettiva difficoltà di sviluppo del materiale investigativo raccolto nella prima fase delle indagini e del ritardo nella celebrazione dei dibattimenti, largamente addebitabile alle carenze di organico del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Ciò ha determinato la scarcerazione di numerosissimi capi storici dell’organizzazione, che sono ormai nuovamente liberi di muoversi in maniera indisturbata, per di più muniti di nuovo carisma a cagione dell’oggettiva loro sottrazione ai rigori della giustizia. A Marano, grazie alla sua consolidata capacità mimetica, è sempre radicato il potere camorristico della famiglia Nuvoletta. Essa è ormai dedita al reinvestimento dei capitali illeciti accumulati in anni di attività delittuose e all’investimento di parte degli ingenti capitali posseduti nel traffico di sostanze stupefacenti, tanto da rimanere priva di autonoma e rilevante capacità militare, che attinge dai rapporti di alleanza instaurati con altre organizzazioni, in primo luogo quella dei Polverino.
Nel nolano e nella fascia costiera stabiese, a parte la situazione di esplosiva conflittualità che contraddistingue la zona di Acerra (ancora una volta a causa del riacquisto della libertà di capi storici delle locali organizzazioni criminali), frammenti del clan Alfieri sostanzialmente rimasti indenni dall’esito delle indagini (perché l’autonomia dei vari gruppi federati non ha consentito ai collaboratori di giustizia, se non direttamente militanti in essi, di disegnarne gli organigrammi), hanno assunto la supremazia sulle altre associazioni camorristiche, mantenendo sinergici rapporti che attribuiscono loro straordinaria forza criminale e singolare capacità intimidatoria anche nei confronti di bande rivali. Con la riduzione dell’operatività del sodalizio di Mario Fabbrocino, seguita all’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare a carico del Fabbrocino avvenuta nel giugno del 1998, i clan Cesarano, Moccia e Russo hanno assunto capacità di influenzare gli equilibri criminali dell’intera provincia di Napoli, con eccezione delle sole zone sottoposte al controllo delle famiglie Nuvoletta e Polverino.

Gli attuali interessi delle
organizzazioni camorristiche ...
Anche il raggio di azione della camorra campana ha conosciuto una rilevante trasformazione, in quanto alle tradizionali attività illecite se ne sono aggiunte altre. Se è sempre vivo l’interesse per le estorsioni, per l’usura, per il traffico di armi e delle sostanze stupefacenti, per la gestione del lotto clandestino, si assiste oggi al coinvolgimento dei più importanti gruppi (Lo Russo, Mazzarella) nel settore del contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Ma altri, ed allarmanti, appaiono i nuovi obiettivi del crimine organizzato: si pensi alla gestione della immigrazione clandestina che, oltre a fornire rilevanti proventi, procaccia anche un serbatoio inesauribile di mano d’opera per le attività di strada; alla gestione della prostituzione, consolidatamente affidata nel casertano a cosche composte nella quasi totalità da cittadini extracomunitari, e che nella stessa città di Napoli ha visto fenomeni di conflittualità tra bande di albanesi ed importanti esponenti di clan; alla gestione organizzata del lavoro irregolare e minorile, di cui appaiono protagonisti, approfittando di straordinarie capacità mimetiche, sodalizi criminosi composti da immigrati cinesi. Si sta assistendo, altresì, a un fenomeno decisamente preoccupante, con le compagnie assicurative che tendono a ritirarsi dal mercato napoletano per l’eccesso di sinistrosità connesso e collegato a vere e proprie organizzazioni alle quali non è estraneo l’attivo cointeresse della criminalità organizzata, che fornisce supporti e metodologie per ottenere profitti illeciti. In altri termini, può dirsi, senza tema di smentite, che non vi è settore significativo del crimine che non sia controllato, direttamente o indirettamente, dalla camorra.
La convinzione che le organizzazioni di tipo mafioso campano risultino ormai indebolite, successivamente alle indagini giudiziarie sulle più importanti confederazioni camorristiche, così da aver circoscritto i propri settori di interesse ad ambiti marginali, e che non siano più in grado di influenzare complessi fenomeni decisivi per lo sviluppo delle regioni meridionali, quali quelli della trasparenza amministrativa e dell’ordinato svolgimento dei rapporti economici, risulta del resto smentita dai risultati di recenti indagini giudiziarie. Significativo, in tal senso, l’immediato interesse della criminalità organizzata napoletana sull’affare Bagnoli, essendosi anzi sviluppata, tra i vari sodalizi operanti nell’area interessata agli ingentissimi stanziamenti pubblici per un’impresa che appare decisiva ai fini del destino dell’intera città di Napoli, una lotta senza esclusioni di colpi, tesa a garantirsi, prima ancora che le opere abbiano avuto inizio, l’incontrastato controllo del territorio, in maniera da poter assumere il monopolio delle attività illecite nel settore delle estorsioni, cui si prevede di sottoporre, indiscriminatamente, tutte le imprese che inizieranno ad operare in zona.

... e le loro infiltrazioni
nella pubblica amministrazione.
Sopravvive, inoltre, la collusione tra camorra e pubbliche amministrazioni, secondo il consolidato schema dello scambio di pacchetti di voti controllati dai clan con l’appoggio per l’aggiudicazione degli appalti alle imprese direttamente o indirettamente controllate dalle organizzazioni. Indagini giudiziarie, specie in provincia di Napoli, hanno dimostrato che le associazioni criminali sono pronte ad appoggiare anche candidati appartenenti a schieramenti contrapposti, allo scopo di poter usufruire di appoggi e amicizie nelle amministrazioni, a prescindere dall’esito delle consultazioni elettorali.
È quanto emerso da recenti attività di indagine che hanno portato anche all’esecuzione di svariate ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di esponenti del clan Cesarano, operante appunto nella provincia di Napoli (Castellammare di Stabia, Pompei, Trecase).
Le attività di indagine si sono svolte lungo l’arco di circa trenta mesi ed hanno consentito di ricostuire uno spaccato delle attività dell’organizzazione criminale, consistente nel controllo del territorio e, in maniera particolare, di tutte le attività econimiche nelle zone di Pompei, S. Maria la Carità e parte di Castellammare di Stabia, nell’usura, nelle estorsioni, nel controllo degli appalti, nel mercato dei fiori, oltre che nell’attività delle Pubbliche Amministrazioni.
Le attività investigative hanno permesso di accertare che nessuna attività economica svolta sul territorio controllato dall’organizzazione fosse esente dal pagamento delle tangenti. La prova del controllo assoluto e dell’efficacia del sistema di intimidazione realizzato dal sodalizio camorristico è data dal fatto che, nei trenta mesi delle complesse indagini, nessuna denunzia per estorsione, nemmeno a carico di ignoti, è pervenuta da Pompei all’Autorità Giudiziaria. Impressionante per l’entità delle cifre è il sistema di usura ordito dall’organizzazione.
Inoltre, si sono rivelate molteplici le forme di manifestazione di controllo del territorio: il clan camorristico aveva assunto il ruolo di regolatore dei conflitti sociali, anche tra non camorristi. Infatti, sono state ascoltate numerose conversazioni dalle quali emergeva che esponenti dell’organizzazione ca-morristica venivano sollecitati a intervenire per il recupero di refurtiva e, soprattutto, per regolare rapporti di concorrenza commerciale. Pesante si è rivelato il condizionamento degli esponenti del clan nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni.
Le attività di indagine hanno fornito piena prova dell’appoggio assicurato dal clan in tutte le competizioni elettorali, svoltesi dall’evasione di Ferdinando Cesarano in poi, ai candidati di volta in volta prescelti.
In alcuni casi si è potuta cogliere la spregiudicatezza del clan, le cui frange hanno appoggiato entrambi i candidati in competizione per il ballottaggio alla carica di sindaco.

Brevi cenni su alcuni moduli investigativi
nelle indagini sull’usura e le estorsioni
Come si diceva in precedenza, la camorra oggi è tornata a svolgere le tradizionali attività parassitarie - usura ed estorsione - sia pure, ovviamente, avvalendosi di strutture molto più potenti e penetranti nel tessuto sociale di quanto non fosse venti anni orsono. Si assiste oggi, purtroppo, al dilagare del fenomeno estorsivo, che è diventato un’attività illecita, capillare, diffusa e generalizzata. Sono diverse le forme di manifetsazione di tale illecita attività:
a) la classica richiesta di denaro in cambio di protezione;
b) l’imposizione agli operatori commerciali di forniture di prodotti e servizi da parte di imprese camorriste (integrante gli estremi della concorrenza illecita mediante violenza e minaccia).
Appare evidente come il passaggio dall’una all’altra forma di manifestazione dell’attività estorsiva denota un salto di qualità dell’organizzazione camorristica.
E, sotto questo profilo, significative sono apparse le risultanze investigative che hanno portato, tra il 1998 ed il 1999, all’arresto di numerosi esponenti di un’organizzazione camorristica operante nel territorio di S. Antonio Abate che, sebbene decimata dagli arresti conseguiti a indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, mantiene ancora saldamente il controllo delle estorsioni - in particolare, nel settore conserviero. Il gruppo di camorra, dopo la scarcerazione per espiazione della pena di alcuni esponenti apicali dello stesso, aveva operato un salto di qualità perché, non tralasciando le tradizionali attività illecite, aveva costituito una società di servizi, naturalmente intestata a prestanome, per imporre il monopolio nel settore degli autotrasporti dei prodotti conservieri e della mediazione nella compravendita dei medesimi prodotti. Sono state altresì accertate infiltrazioni dell’organizzazione criminale a livello verticistico nell’organizzazione sindacale degli autotrasportatori italiani. In altri termini, è stato accertato che il fratello del capo cosca era stato designato a ricoprire la carica di vice presidente della F.A.I. (Federazione autotrasportatori italiani) e che, da quando aveva assunto tale carica, si erano registrati diversi episodi di danneggiamento di autocarri in pregiudizio di quegli autotrasportatori che non avevano voluto aderire allo sciopero indetto dall’organizzazione di categoria. È emerso, inoltre, dopo l’accertata infiltrazione camorristica nei vertici della citata organizzazione di categoria, che stavano per essere cambiate talune regole contrattuali in materia di costi relativi ai trasporti dei prodotti conservieri dalle industrie al porto per il successivo imbarco.
In sostanza, al fine di favorire l’organizzazione camorristica operante sul territorio, il costo del trasporto, tradizionalmente a carico dell’acquirente, lo si voleva trasferire a carico del venditore, di guisa che le imprese di trasporto avrebbero dovuto pagare la tangente al clan camorristico; ovvero le industrie conserviere avrebbero dovuto affidare i trasporti alla stessa impresa camorrista. I fenomeni estorsivi in questi anni hanno mantenuto la loro diffusione e in alcune realtà meridionali, con questi problemi, è chiamata a fare i conti la quasi totalità degli operatori economici. Eppure, in queste realtà, come quelle di Napoli, Reggio Calabria, Palermo, sono stati conseguiti significativi risultati nell’azione repressiva dell’estorsione. Nume-rose, invero, sono state le operazioni di polizia che hanno portato allo scompaginamento di intere famiglie mafiose. Ciò che sorprende è la sistematica riproduzione del fenomeno. Se è vero, da un lato, che, a seguito dell’intervento repressivo, un intero quartiere viene liberato dagli estortori e per alcune settimane i commercianti non pagano, è pur vero, dall’altro, che non appena trascorrono alcune settimane, si ripresentano nuovi estortori a esigere il pagamento (come le esperienze giudiziarie recenti dimostrano), evitando, in tal modo, che si verifichino soluzioni di continuità nella gestione dell’affare. E, in genere, la riproduzione di cui stiamo parlando avviene quando l’indagine giudiziaria è il risultato non già della denuncia spontanea degli operatori economici, bensì dell’iniziativa autonoma della polizia giudiziaria. L’affare per la camorra si riproduce fino a quando l’operatore economico troverà conveniente la protezione della camorra medesima. E, pertanto, occorre agire non solo sotto il profilo repressivo-giudiziario, ma anche sotto il profilo della prevenzione, ad esempio tenendo informati gli operatori economici sulle possibilità offerte dalla legge n. 44/99 che ha istituito il Fondo per le vittime dell’estorsione e dell’usura. Si può, per tale strada, spezzare il legame che lega la vittima all’estortore e, nel contempo, svolgere un’adeguata campagna che serva a convincere il cittadino ad associarsi ad altri per contrastare il fenomeno estorsivo. In tale ottica occorre operare anche dal punto di vista investigativo, atteso che è necessario comprendere che la denuncia del singolo imprenditore o commerciante non conduce ad alcun risultato utile e finisce soltanto per esporre il singolo denunciante. Forti di tali premesse, con la polizia giudiziaria sono stati elaborati e applicati nuovi moduli operativi, la cui essenza consiste nella cosidetta denuncia collettiva. Occorre, cioè, riuscire a convincere un congruo gruppo di imprenditori e commercianti a denunciare in maniera collettiva gli estortori. Ebbene, seguendo tale modulo, si è riusciti, dopo la denuncia collettiva di un gruppo di camorristi dediti alle estorsioni, a giungere al loro arresto e, nel corso di appena diciotto mesi, persino alla pronuncia della sentenza di condanna (peraltro, a pene consistenti nei confronti del capo clan: 23 anni di reclusione).



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