Nick: velvet Oggetto: 26 dicembre 1994 Data: 26/12/2003 20.28.7 Visite: 191
“Spararu” “Nonna, i botti di Natale” “No, figghja, chi botti? Lupari sunnu. Mmazzaru”. “Cu sapi ccu mazzaru”. E il silenzio, di nuovo, attorno al braciere. La televisione, il punto a croce. Come facevano a distinguere gli spari dai botti di Natale? mi chiedevo. Preferivo pensare che si sbagliassero. A santo Stefano i botti di Natale erano per me più plausibili delle lupare. Il profumo della buccia d’arancia sul braciere, l’odore delle carte da gioco, della tela, del filo. Il citofono. Mio zio si alza: “Cu è ?” “EU SUGNU” - ma del citofono non c’era bisogno, si sentiva anche in casa, urlava - “Eu cu?” “EU, EU !! LLAPRIMI ! SPARARU ! U ‘MMAZZARU” “Cu ? Cu mmazzaru ? Cu siti ?” “STEFANO! STEFANO! U ‘MMAZZARU! SCINDI PEPPI, SCINDI!” “Ma cu siti? Chi succidiu?” “SUNNU PIPPU. SCINDITI!” Paura, intorno al braciere. Che quello che stava urlando Pippo fosse vero, che avessero sparato a zio Stefano. “Mamma, scindu. Vaiu vju.” Nonna zitta. Ci siamo affacciati al balcone. In un attimo polizia, ambulanze, caos. E sangue. E vuoto. E incredulità. E di nuovo caos, trambusto, nella mia mente bambina. Non ricordo nient’altro di quella sera. Il giorno dopo telegiornali su telegiornali, lutto. E domande, ipotesi – sussurrate appena – Un avvertimento voleva essere, così dicevano. 7 colpi alle gambe. Clamore, sconforto, disappunto, sdegno, mormorii - in paese - Poi, di nuovo, il silenzio, il vuoto, l’indifferenza. E una ridicola idea di vendetta nella mia testa.
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