Nick: mir Oggetto: Morire in piedi - Indro Montan Data: 5/6/2006 11.19.46 Visite: 92
Ho appena pubblicato questa recensione su un libro che deve essere molto interessante. MORIRE IN PIEDI – INDRO MONTANELLI La Casa editrice Rizzoli, quasi a voler smentire la profetica accusa di contemporaneità che Indro Montanelli, sulla scia del suo maestro Ojetti, ha sempre rivolto a noi italiani ed ai nostri editori in particolare, è da qualche tempo impegnata nella ripubblicazione delle opere del giornalista di Fucecchio, nella apprezzata collana intitolata, appunto, "Opere di Indro Montanelli". L’ultima ristampa riguarda un libro molto discusso, "Morire in Piedi – Rivelazioni sulla Germania segreta 1938 – 45", uscito per la prima ed ultima volta all’indomani del processo di Norimberga, ed accolto con scarso entusiasmo sia dalla critica che dal grande pubblico. In Germania le case editrici si rifiutarono addirittura di tradurlo. Il libro è la cronistoria del famoso complotto ordito il 20 luglio 1944 ai danni di Hitler, ed è basato esclusivamente su documenti e testimonianze raccolte di prima mano dall’autore, inviato del Corriere della Sera a Norimberga per seguire il processo ai capi nazisti. La tesi sottesa al libro, e difficilmente confutabile in punto di fatto, è che in Germania vi sia sempre stata, fin dal momento dell’ascesa al potere del fuhrer, una classe dirigente, composta per lo più da aristocratici ed alti gradi dell’esercito, in massima parte prussiani, ostile al dittatore al punto di ordire, dopo aver cercato invano di dissuaderlo dal trascinare l’Europa in guerra, un complotto - o meglio, più complotti – per ucciderlo. Naturalmente, tale tesi cozzava vistosamente con l’idea dominante nel ’45 sia tra gli alleati vincitori della guerra che tra gli antifascisti, i quali sostenevano che Hitler ed il nazismo non erano stati il risultato di alcune circostanziate ed irripetibili evenienze storiche: la prima guerra mondiale e l’umiliante trattamento riservato agli sconfitti dal Trattato di Versailles, oppure la grande depressione del ’29; ma la naturale conseguenza di un lungo processo storico caratterizzato da istanze estremamente autoritarie, di cui il nazismo non fu che il logico e naturale sbocco. Talché, era conseguentemente necessario rieducare il popolo tedesco alla democrazia, in un erroneo processo, quello di Norimberga che, istruito e diretto dai vincitori del conflitto, non permise alla Germania di fare quell’esame di coscienza che solo un Tribunale composto da tedeschi avrebbe potuto imporre, e che l’intera nazione avrebbe riconosciuto. Sicché la teoria, suffragata dai fatti, di una classe dirigente compatta e totalmente schierata contro il suo dittatore, non poteva certo essere accolta da chi pretendeva di rieducare il popolo tedesco (i vincitori) e da chi non aveva fatto nulla per impedire l’ascesa al potere del fuhrer e per porvi fine (la classe proletaria). Perché anche questo riuscì a dimostrare il grande giornalista: "che la lotta contro Hitler in Germania fu il fatto di alcuni nobili e di alcuni grandi borghesi contro le masse non già indifferenti ma fedelissime al nazismo. (…) Il proletariato germanico, che secondo una retorica democratica oggi in voga sarebbe stato la grande vittima di Hitler, il reazionario suo castigatore e boia, non parteggiò allora per coloro che da Hitler avevano tentato di liberarlo e oggi invano cercherebbe in tutto lo sviluppo della congiura una qualunque partecipazione comunista". Ciò non fu capito né dall’intelligencija antifascista né dagli alleati i quali con il loro processo, tutto teso a distruggere quanto di più occidentalistico vi era in Germania, non facevano che continuare l’opera di Hitler, che aveva avuto i medesimi obiettivi, e naturalmente quella di Stalin, ormai entrato stabilmente in metà della Germania. Ma vi è un altro importante aspetto che traspare chiaramente dalle pagine del libro: il fastidio e l’imbarazzo che questo grande reportage - pubblicato a puntate, prima che di esso se ne facesse un libro, sulle pagine pomeridiane del Corriere della Sera (allora Corriere d’Informazione) - suscitò in Germania, anche e soprattutto fra i parenti dei congiurati, furono dovuti all’endemico sentimento di fedeltà al Governo e, quindi, allo Stato che da sempre caratterizza il popolo tedesco. Il fatto di aver tramato contro Hitler, cioè contro il legittimo potere costituito, fu un momento di grande disagio e di crisi interiore dei congiurati al tempo del complotto e dei loro familiari dopo la guerra: era giusto tradire il legittimo capo dello Stato? Era giusto per un militare non prestare fede al giuramento fatto, quand’anche il poter costituito fosse incarnato da un feroce dittatore come Hitler? Le crisi di coscienza furono molte in Germania: per il popolo tedesco – per tutto il popolo tedesco - i sentimenti di lealtà e di fedeltà verso la patria e verso chi incarna il potere costituito non possono essere merce di baratto. E questo spiega certamente il silenzio che avvolse quegli avvenimenti in tutta la Germania. Qualcuno, a questo punto, potrebbe domandarsi quale sarebbe stata in Italia la reazione di fronte ad un complotto di tal fatta. Io credo che ne avremmo fatto motivo di vanto e che qualche alto incarico ci avrebbe senz’altro ricompensato. Ma noi italiani, evidentemente, non siamo tedeschi. E da loro, ammettiamolo, avremmo sicuramente qualcosa da imparare. Girolamo Lazoppina http://www.librando.net/dev/projects/read.asp?pid=5&docid=807
|