Nick: Franti Oggetto: A Love Supreme Data: 17/6/2006 12.19.36 Visite: 125
MO’ BETTER BLUES 1990 – USA– regia di Spike Lee. TRAMA. Quando non ha ancora sette anni, e solo per la severità della madre che lo vuole musicista, Bleek Gilliam passa ore ed ore a studiare la tromba. Da adulto diventa un trombettista applauditissimo e costituisce una brillante band, della quale si occupa come manager il suo amico d’infanzia Giant, che divide il proprio tempo fra il complessino e folli scommesse sui cavalli. Per Bleek non c’è che il jazz: le due donne che se lo contendono con gelosia – Indigo la maestrina di colore come lui, e la seducente Clarke – lo sanno bene. Quest’ultima, ottima cantante, tenta dapprima di entrare nella band, poi tradisce Bleek con Shadow Henderson, il sassofonista, ma Bleek non reagisce anche se si dichiara disposto a cacciarlo (non lo farà, poichè sono amici da troppo tempo). Frattanto Giant, ingolfato nei debiti, viene orribilmente picchiato dai sicari dei creditori. Amareggiato ed infuriato, per salvare l’amico, Bleek , al termine di un assolo, si precipita nel vicolo dietro il locale dove lui ed il suo gruppo si stanno esibendo, ma viene pure lui malmenato dagli scagnozzi dei creditori, e si ritrova con le labbra spaccate: per lui è la catastrofe in quanto non riuscirà più a suonare la tromba. La band passa ora a Shadow, con Clarke come voce solista. Senza più il conforto della musica, e consegnata la tromba al fedele Giant, Bleek torna allora da Indigo, la quale, da prima recalcitrante, cede poi all’uomo che dice di amarla, malgrado alcuni anni di scontroso silenzio, e che la implora di salvargli la vita. Il matrimonio alla presenza di tutti i vecchi amici in festa è allietato dalla nascita di Miles. Dopo alcuni anni il piccolo comincia ad esercitarsi sotto l’esperta guida del padre, ed a differenza di lui non rinunciando a qualche gioco con i coetanei. CRITICA "Una storia sul jazz, sull’amore supremo che riceve dai suoi musicisti, almeno da quelli che ci credono fino in fondo, fino a sacrificare la propria vita, come Charlie Parker, per esempio, o come John Coltrane, il grande sassofonista a cui questo film è dedicato." (Marco Molendini, "Il Messaggero", 15 settembre 1990) " ‘Mo’ better blues’ è un jazz-film molto amaro in cui convergono molti temi cari al regista: la famiglia, la vita per le strade di Brooklin, i miti della cultura afroamericana, i rapporti di copia. Le storie domestiche sembrano evidentemente ispirare Lee, e anche un questo caso hanno uno spazio assai evidente. (...) Il jazz diviene dunque, in questo film, la chiave di lettura e di interpretazione privilegiata per osservare la black comunity, i suoi miti e il suo tran-tran giornaliero, i suoi luoghi e le sue tipologie, attraverso un’immagine come quella di Lee che non si vergogna affatto di rifarsi a una tradizione hollywoodiana di genere, conscio di scardinare in questo modo un meccanismo che è quello di film bianchi per bianchi che parlano di bianchi. Le regole, la sintassi di quel cinema vengono catturate e portate a livelli alti, ma poi utilizzate per parlare di una razza e di un popolo che hanno stentato a essere rappresentati con onestà e realismo nella stessa cinematografia americana. ‘Mo’ better blues’ è giustamente inserito nel gruppo delle ‘nostalgie’, accanto a commemorazioni storiche ben più dense e profonde (‘Cotton club’, ‘New York New York’, ‘Kansas City’) perchè in questo suo essere anche melodramma sentimentale e grosso videoclip con brani d’epoca viene assaporato nostalgicamente il frutto appunto dell’essenza jazzistica, soprattutto in rapporto a quanto emerso in precedenza con l’arte della celluloide. Lee, infatti, oltre che profondo conoscitore della black culture (e dunque della storia del jazz) lo è anche dell’immagine audiovisiva: simbolicamente infatti dimostra qui di attraversare l’iter evolutivo del jazz-film, guardando proprio con nostalgia, per poi contestarne i valori, al passato in cui sullo schermo appariva magari Luis Armstrong. (...) Numerosi camei di autentici jazzisti come Abbey Lincoln, Bill Lee e Brandford Marsalis." (Guido Michelone, "Il jazz-film. Rapporti tra cinema e musica afroamericana", Edizioni Pendragon) Ho visto fefy nel bar di rimpetto ad Architettura che cantava (con un panzerotto fritto in mano) "Luglio, col bene che ti voglio vedrai non finirà. Lallallallàààààààààààààààààààààà". Poi ha detto al giovinotto del bar se gli andava di cantare con lei |