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Nick: ilBuio
Oggetto: da "la Padania" di oggi
Data: 27/6/2006 15.7.3
Visite: 139













Il Lombardo-Veneto è un Paese a sé
 
GIANLUIGI PARAGONE
«Tenteremo ancora, forse la gente ha bisogno di maturare». Così parla Umberto Bossi con l’agenzia Ansa quando il risultato si ferma sul 61 a 39. Per i no. La consolazione arriva dalla Lombardia e dal Veneto: ancora una volta fanno Paese a sé. «Solo sopra il Po il sì vince bene: qualcosa vorrà dire, no? Prodi deve avere paura di un Lombardo Veneto che non molla e spinge per il cambiamento».
Umberto Bossi parte insomma dalle sue roccaforti storiche, dal motore economico, dalle regioni che non si sono fatte impressionare dal fuoco di sbarramento della conservazione. «Qualcosa vorrà pur dire», per dirla con Bossi, se soltanto Lombardia e Veneto sono andate in controtendenza rispetto al resto d’Italia. Qui il federalismo lo vogliono sul serio. Rivendicano autonomia. Lo hanno detto in ogni elezione e ora anche con questo referendum. Poteva andar bene anche nel Friuli Venezia Giulia, unica regione a statuto speciale al Nord che non s’è chiusa a riccio nel proprio egoismo (come invece hanno fatto Trentino Alto-Adige e Val d’Aosta che hanno respinto l’idea di un federalismo comune a tutti) e che per un pugno di voti poco ci mancava che non si mettesse con il fronte del sì. Non c’è il Piemonte sabaudo, quello conservatore, quello che vota a sinistra; ma i sì vincono nelle province di frontiera come il Vco, Cuneo, Novara, Biella, Vercelli, tutte province che hanno un tessuto produttivo fatto di piccoli imprenditori e artigiani.
Insomma, la questione settentrionale resta in piedi. Forse è diversa rispetto a quella più granitica che credevamo. Ma c’è. E non è di poco conto. Sta nascosta... ...(mica tanto, poi...) dentro le assise di Confindustria ma anche dentro le tessere dei sindacati, si struscia nelle vasche del corso principale ed emerge con il popolo delle partita iva. Si diceva che fosse gente “distratta” rispetto all’impegno politico: in parte lo era perché disillusa dalla politica che tarda a fornire risposte ferme e nette. «Quando prendono una decisione, noi siamo già dieci metri avanti», si lamentano. Eppure nel corso di questo recente quindicennio qualcosa è cambiato e l’hanno fatto vedere con la scheda elettorale: sono loro i protagonisti del Vento del Nord.
Forse poteva essere più netto il consenso al Nord; però sono convinto che da qualche parte ancora sonnecchi un consenso verso politiche autonomiste. E poi ci sono anche quelli che addirittura non sono andati a votare perché credono che il federalismo di questa riforma sia troppo poco.
Insomma, da qualsiasi parte la giri la questione settentrionale resta in piedi. Il Lombardo-Veneto è il suo epicentro. Sperava nel cambiamento uguale per tutti, in un federalismo che dalle Alpi al Mediterraneo desse a tutte le Regioni la possibilità di cambiamento. L’urna ha detto il contrario. Adesso, che fare? Fermare tutto non si può. La politica è a un bivio: chiudere gli occhi come finora ha fatto oppure studiare una “specialità” per il Lombardo-Veneto. Replicare per esempio il modello catalano dove si attribuisce un potere statutario accentuato che comprende il federalismo fiscale e il rispetto delle identità locali. Bossi ha ricordato la tenacia delle battaglie dei popoli catalani, irlandesi e scozzesi: «Non si sono fermati ai primi no: andremo avanti anche noi nella nostra battaglia contro il potere romanocentrico». Andremo avanti, dice il Senatur dando prova di essere ancora lui al timone della Lega. «E nessuno si sogni di chiedere le dimissioni: i generali devono stare fermi sulle gambe. I generali restano qui, fermi». Un bel segnale a chi, dentro la Lega, si lascia scappare dalla bocca parole come congressi straordinari o dimissioni. «Decido io», taglia corto Bossi. «Poteva andare meglio? Forse, ma intanto sopra il Po hanno vinto i sì. Da qui si deve ripartire».
La vittoria dei no non può fermare l’impegno della politica a dare delle risposte. Il successo dei no è un successo tondo, ma non ha lo stesso significato né tra i partiti della sinistra e né nel Paese. È possibile che nel Lazio, in Campania, in Calabria o in Sicilia ai cittadini non gliene importi nulla del federalismo, nel senso che non viene avvertito come necessità. E magari anche nelle rosse Emilia, Toscana e Umbria si preferisce il regionalismo perché non smonta quell’assistenzialismo che in fondo piace molto ai compagni. Può anche essere come dice Bossi che i tempi non siano maturi per tutti in questo preciso momento storico.
Ma siccome c’è qualcuno che da tempo chiede il federalismo come strumento per crescere di più, a questo qualcuno una risposta va data. A prescindere - io credo - da una politica uguale per tutti. In Lombardia, nel Veneto, in Friuli e persino in parte del Piemonte, l’esigenza di autonomia non è un fuoco di paglia: è una tendenza che resta immutata da decenni. La sinistra non può ficcare ancora una volta la testa sotto la sabbia. La politica deve dare una risposta a una parte di Paese che esiste nella società e nel pil.

 


[Data pubblicazione: 27/06/2006]



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