23-3-01
il ragazzo è nella mia cantina. Devo avergli fatto più male di quanto credessi, dorme ancora. Scendo a dargli qualcosa da mangiare. Doveva uccidermi, forse può farlo ancora. Non posso lasciarlo morire di fame. Non di fame. Porto con me anche un martello, mi servirà per quello che ho in mente.
Mi avvicino a lui, sotto la luce posso osservarlo bene. Sembra di buona famiglia, se mi interessassero i soldi diventerei ricco col riscatto. Ma.. le sue braccia.. si droga.
Si buca.
Non posso essere ucciso da un tossico.
Raccolgo di nuovo le mie forze, e lo colpisco al ginocchio sinistro. È ancora intontito, ma il dolore lo sente bene. Spalanca gli occhi urlando, si guarda la gamba. È rotta in più punti, difficilmente potrà camminare di nuovo, e lo sa.
-Perché lo fai?, mi chiede, singhiozzando.
-Perché sono cattivo-, è la mia risposta, secca e indifferente, mentre mi godo le sue urla, adesso che mi sto dedicando anche all’altro ginocchio. La cantina è accessibile solo dalle scale, e così ridotto non riuscirà a fuggire senza che io me ne accorga. Lo medico alla meglio, non voglio che muoia.
Gli lascio il suo pasto, e ritorno su. Chiudo alle mie spalle la porta della cantina, a doppia mandata.
Vado al mio altarino, metto a posto il coltello del ragazzo. Lui è già morto, solo che non lo sa.
Ma adesso sono stanco, ho bisogno di dormire.
24-3-01
il ragazzo è mio “ospite” già da un paio di giorni. Non credo che stia male. A parte le gambe, ovviamente. Per il resto basta che mi chiami, ed io gli porto acqua e da qualcosa da mangiare. Non è un tossico, i buchi sulle braccia ce li ha perché è diabetico, usa l’insulina, ma ormai è troppo tardi per rimediare. Ormai è come se fosse già morto.
Scendo da lui, ho un regalo. Una sorpresa, di sicuro gli farà molto piacere.
-con questa potrai muoverti senza soffrire molto,- gli dico, mettendolo sulla sedia a rotelle che un tempo era stata di mia madre.
-perché? Prima mi fracassi le gambe e poi non vuoi che soffra? Sei completamente pazzo, amico. Fammi uscire, ti prego, ti prometto che non parlerò a nessuno di te.-
-No, non sono pazzo. Semplicemente, voglio che quando soffri sia io a farti male. Devo vederti negli occhi mentre implori pietà, ridotto così, senza più il tuo ridicolo coltello.
Per quanto riguarda uscire.. tu sei già morto, ragazzo.mettitelo bene in testa. Ora sei solo un mio divertimento. Se ti comporterai bene ti risparmierò qualche tortura, ma sei già morto.-
Gli lascio il cibo e ritorno sopra. Sono stranamente allegro. Penso che uscirò a fare una passeggiata. Sono in giro in centro, quando vedo una bella ragazza in un negozio di costumi da bagno. La riconosco, è la cassiera del supermercato. Mi piace molto. Entro nel negozio e, indicando la ragazza, mi rivolgo alla commessa.
-Compro tutto quello che sta bene alla signorina. Anzi, compro la signorina.-
mi sorridono entrambe. Poi mi rivolgo alla cassiera. –Ciao, Micaela-.
Sembra sorpresa. Nel supermercato non mi aveva notato davvero. Le spiego che il nome l’ho letto sul suo cartellino, parliamo un po’. Compra il costume, che insisto per pagare io, poi si riveste. Ha una gonna abbastanza corta, belle gambe, un lupetto nero. E’ molto carina, vestita così. Usciamo dal negozio, le offro un gelato. E’ anche simpatica. Penso che potrei sospendere per un po’ il mio “lavoro”, per lei. Non mi va di ucciderla. E pi ha quegli occhi.. quello sguardo ha un non so che. Resto incollato ai suoi occhi, non riesco a staccarmene. Lei parla, parla, ma l’unica cosa che mi interessa in questo momento sono i suoi occhi. Mi ha praticamente incantato.
-Ehi, ma mi segui?
-Mmm? Oh, scusa, Nadia, mi ero distratto un attimo..
-Nadia?chi è Nadia?
-Cioè, Micaela.. scusa, ma hai degli occhi bellissimi, mi ricordano molto gli occhi di mia sorella, che ora non c’è più.-
Non potevo mica dirle che Nadia è la sgualdrina che ho ucciso qualche mese fa?
Questa ragazza mi piace.
-Quando possiamo rivederci, Micaela?
-Beh non so.. però sai dove lavoro.. a proposito, mi accompagni? Il mio turno comincia tra venti minuti-.
La porto al supermercato, mi saluta con un bacio sulla guancia. Probabilmente le piaccio anche io. Torno a casa, devo occuparmi del ragazzo. A quest’ora avrà fame.
24-3-01 sera
Il ragazzo ha fatto un bel po’ di casino. Mi costringe a punirlo. Scendo da lui, ma gli porto solo un po’ d’acqua. Lui è sceso dalla sedia, si è trascinato su per le scale. Gran forza. Quando apro la porta della cantina mi afferra una caviglia, mi sbilancia, cado. Un dolore tremendo, la mia spalla.. grazie al bastardo devo essermela almeno slogata, speriamo che non sia rotta. Per fortuna non sono svenuto, lui forse sarebbe riuscito a fuggire e io sarei finito. Risalgo di corsa le scale,lui si è trascinato fuori. Cristo, mi ha sporcato tutto il pavimento, ora dovrò pulire di nuovo tutto.
Non posso prenderlo di peso e riportarlo giù, con un solo braccio non ce la farei. Però devo fermarlo. Ha perso molto sangue, deve essere molto debole. Ma nelle mie condizioni non posso essere sicuro di fermarlo. L’unica soluzione è questa: se non posso riportarlo in cantina, almeno devo impedirgli di muoversi. Lo prendo a calci sulla schiena, proprio alla base della spina dorsale. Le gambe gli fanno ancora male, non può muoverle e quindi non può difendersi da me, che sono dietro di lui. Ecco, si ferma, per fortuna. Sono stanchissimo.
Lo colpisco ancora una volta. Devo avergliela spezzata, finalmente. Non si muove più. Però è ancora vivo, ed ora è più che mai nelle mie mani. Con le ultime forze lo trascino piano piano nella sua “camera”, giù per le scale.
Lo tiro per le gambe, deve soffrire per quello che ha fatto.
Ora è di nuovo giù, e io di sopra. Lui è chiuso dentro, io sono chiuso fuori. Me ne occuperò domani.
25-3-01
Per prima cosa sono andato al pronto soccorso, per la spalla. Eh si, è proprio slogata. Mi ci vogliono almeno dieci giorni per tornare a posto. Mentre torno a casa medito sul modo di vendicarmi col mio animale. Deve essere un modo molto doloroso. Anche se ho paura che non mi resti che ucciderlo, ora che è completamente paralizzato. Entro in casa, do una bella pulita al pavimento. Non ci sono più le macchie di sangue. Prendo un po’ di avanzi e dell’acqua, e scendo in cantina. Che sorpresa!
Il ragazzo non è affatto paralizzato, doveva solo essere distrutto dal dolore. Ora sta già meglio, lo trovo sulla sedia, che aspetta me. E mi guarda fisso, nei suoi occhi c’è solo rabbia. Non ha paura o, almeno, lo nasconde bene.
-Ti rendi conto di quello che hai combinato? Hai visto come è ridotta la mia spalla, per colpa tua?- gli dico, porgendogli da mangiare.
-E tu, bastardo, hai visto come sono ridotte le mie gambe? Per colpa tua non potrò più camminare!sei malato, amico.. non appena riuscirò ad uscire ti denuncerò, ti voglio vedere morto. Cristo, guarda le mie gambe!-
Non doveva nominare Cristo. La mamma era molto religiosa, non si bestemmia in casa sua.. Però mi ha dato una buona idea su cosa devo fargli. Lo lascio mangiare, mentre salgo su a prendere le cose di cui ho bisogno.
Scendo con tutta calma, lo guardo mentre mangia. Lo lascio finire, lo osservo divorare tutto. A che serve, poi? Tanto tra poco morirà. Sferro un calcio alla carrozzella, ora lui è a terra. È molto debole, bastano pochi calci per farlo svenire. Dopo quello che gli sto per fare dovrò dargli da mangiare personalmente, ma non voglio privarlo di questa sofferenza. Lo stendo su un fianco, poi mi chino su di lui. Non ho dei chiodi così lunghi, uso i ferri da maglia di mia madre. Me ne bastano tre; con uno gli trafiggo le mani, con gli altri due i piedi. Lo inchiodo al pavimento. Non è stato come crocifiggerlo, ma è divertente lo stesso. Mi occupo prima delle mani, così ovviamente dopo lui, con le gambe frantumate, è già immobilizzato.
Urla. Urla molto forte, forse più di quando gli ho rotto le gambe. Il sangue schizza, si versa sul pavimento. Invece che dargli da mangiare, penso che lo lascerò morire così. Almeno capirà le sofferenze di quel Cristo che gli piace nominare.
Sto per tornare di sopra, quando mi rigiro e lo guardo.. mmm.. qualcosa non quadra, devo aver dimenticato un particolare.. ah si! Che stupido: la ferita al costato, prendo l’ultimo ferro da maglia, quasi con indifferenza lo trapasso da parte a parte. Uno dei miei sbagli più grandi: strabuzza gli occhi e smette di respirare; devo averlo colpito al cuore.
Fine del gioco, fine del divertimento.
Tra qualche giorno la mia spalla sarà a posto e potrò liberarmi del corpo.
Che peccato, era avvero uno spasso.
Devo tornare di sopra, squilla il telefono.
È Micaela, mi dice che tra mezzora stacca al lavoro e che se voglio posso passare a prenderla per andare a bere qualcosa insieme.
-Certo, bella, sistemo alcune cose e sono da te. Aspettami.-
Cambio i vestiti sporchi di sangue, chiudo per bene la cantina (perchè, poi? Mica può scappare, ora?) e vado da lei. Forse non la ucciderò. Non stasera, almeno.
25-3-01
sono con Micaela, in un bar. Lei è molto carina, anche stasera. Gonna cortissima, maglioncino. Di nuovo non riesco a distogliere lo sguardo da quei suoi occhi. Penso che abbia capito quanto sono attratto dal suo sguardo; forse un po’ in imbarazzo, sorride e abbassa gli occhi, arrossisce lievemente.
Tra una parola e l’altra si è fatto tardi anche stasera, l’accompagno a casa sua.
Mi saluta col solito bacio sulla guancia.
Tornando a casa ho strani pensieri. Forse quello che ho fatto finora è tutto sbagliato. Certo è che non posso cancellarlo. Magari posso dimenticare tutto e cambiare casa, cambiare vita.
Non so più cosa è giusto e cosa è sbagliato. Non so quante sigaretta fumo per strada, assorto nei miei pensieri. Mi ritrovo a casa senza nemmeno accorgermene. Mi lavo velocemente, do una controllata alla spalla: è ancora gonfia, ma mi fa meno male. Se continua così mi basteranno altri tre o quattro giorni per riprendermi. Domani devo liberarmi del corpo del ragazzo, è troppo pericoloso tenerlo in casa. E poi, tra qualche giorno comincerà a puzzare.
Vado a dormire, ma so già che avrò degli incubi orrendi. Mi rigiro continuamente nel letto in un bagno di sudore, guardo il soffitto, mi guardo le mani; le mie mani, che hanno ucciso tante persone. Non credo più alla mia “missione”, devo assolutamente smetterla con tutto. Forse mi resta poco da vivere, e non voglio passare il mio ultimo tempo in prigione. Domani dovrò andare anche in ospedale, sento delle fitte troppo forti allo stomaco. Probabilmente sono agli sgoccioli.
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