25-5-01
Apro gli occhi. Mi sento le palpebre pesantissime. Buio, e ancora buio. Pian piano, i miei occhi si abituano all’oscurità, anche se quello che vedo sono soltanto ombre.
La mia mano tasta nel vuoto, fino a trovare qualcosa.. la sua pelle.. è Micaela.
La testa gira, non riesco a mettere a fuoco i pensieri.
Le accarezzo la schiena, fissando il vuoto davanti a me.
Non devo essermi mosso da qui. Sorrido, pensando a ciò che ho ricordo di quello che ho sognato. Essere immobilizzato, dio mio.. non credo esista cosa più orrenda.. e tutta la mia vita sarebbe stata un sogno. Il sogno di un mostro. In effetti non è che io non lo sia, un mostro, con quello che ho fatto sinora.
Però.. dio, nemmeno voglio pensarci. Sorrido, mentre l’armadio prende forma davanti a me. Mi giro, alla sveglia. Sono le cinque meno venti. Fuori è ancora notte. Ormai il sonno è passato. Mi sa che mi tocca alzarmi. Magari fare un giretto, no so.. ma non mi va di restare a fissare l’armadio aspettando che la donna di fianco a me si svegli. Cioè, la donna.. volevo dire Micaela.
Raccolgo gli abiti dalla sedia, mi rivesto velocemente. Con pigrizia, ma velocemente.
Dalla finestra le solite cose. Solo i lampioni, e qualche faro di passaggio. Qualche omino che torna a casa, qualche ladro o ubriaco.. non so, e non mi interessa. Nemmeno mi viene da sorridere, come quando mi sentivo il mondo chiuso in una mano.
Facendo meno rumore possibile esco dalla stanza, passeggio nervosamente nel salotto. Le lui che provengono da fuori ogni tanto si riflettono sui vetri della mobilia, creando luccichii e giochi di luce.
Un cane ulula alla luna, forse anche lui piange disperato la sua solitudine. Come la urlerei io, in certi momenti. Non ora, non più.
Adesso lei è di là. Lei è con me.
Già, ma io sono qui. Questa casa mi dà già un senso come di soffocamento. Esco, sarà meglio fare due passi.
In strada sono in quel che vedevo dalla finestra. Solo io, i lampioni e quel cane che non smette di ululare. Poveraccio.
Cammino guardando la mia ombra, come la luce la deformi allungandola e accorciandola di volta in volta. Mi viene in mente Pirandello, il gioco delle maschere.. chissà come mi vedono gli altri, chissà se davvero importa quel che davvero sono.
Mentre sono preso in questi pensieri, la solita voce della strada mi chiama.
-Uomo.. piangi alla luna o ti vuoi divertire?
Sorrido. Certo che mi voglio divertire, non è tempo di piangere.
Lei è una donna sulla quarantina, volgarmente truccata. Una maglia molto scollata lascia quasi scoperto il seno, enorme e cadente, mentre dalla gonna spuntano (forse sarebbe meglio dire “straripano”) un paio di gambe che niente hanno di attraente. Strana concezione hanno del divertimento, in questo quartiere.
Ci accordiamo per il solito cinquantine e la seguo in un vicolo. Si tira su la gonna e si appoggia al muro, incitandomi a fare presto. Scuoto il capo. Mi tira a sé. La lascio fare.
Si inginocchia, cercando la lampo dei pantaloni.
Mi sposto indietro. Scuoto ancora il capo, e sorrido.
-bello, hai tempo da perdere? Io qui devo lavorare!
Rido. Ora rido, rido di gusto. Due mani mi afferrano per le spalle. Mi voltano.
Un uomo grosso, molto robusto. Il suo pappone, o un amico, che ne so..
-amico, hai sentito? Adesso paghi e te ne vai.
Cerco di protestare timidamente, facendo notare che non dovrei pagare, visto che non ho “usufruito del servizio”. Sorride, mi da una pacca sulla spalla.
-amico, non mi frega un cazzo se te la sei fatta o meno. Adesso paghi e te ne vai, se non vuoi che ti spezzi le gambe.
Un uomo simpatico, non c’è che dire. Gli tolgo la mano dalla mia spalla, ostentando ancora una certa flemma.
-signore.. non sono suo amico e non vedo perché dovrei pagare. Le ripeto, non ho usufruito.
La puttana, ancora appoggiata al muro, ride divertita.
L’uomo sembra non capire, ancora reclama i suoi soldi. Forse è meglio dargli ascolto, non mi pare un tipo con cui si può discutere. Prendo trentamila lire, gliele metto in mano e faccio per andarmene. A questo punto interviene la puttana “no, l’accordo era cinquanta. Faglieli cacciare tutti, a questo frocio”
Mi giro sorridendo al tipo. “non ho altro”, gli dico.
-beh,- fa lui. –Non prenderla come una cosa personale, ma qui siamo in affari. La prossima volta non ti accordi se non hai il denaro.-
mi tira un ceffone. Scuoto il capo.
–Amico, restiamo persone civili, per cortesia..-
la puttana ride. La sua risata stridula mi esplode nelle orecchie
altro ceffone. Idiota io, che cerco di restare calmo. Mi afferra per il bavero, sbattendomi al muro. Posso sentire il suo alito caldo e fetido dritto in viso.
-ma che hai mangiato, uno stronzo inzuppato nel cesso?- rido, mentre lui strabuzza gli occhi.
Mi lascia il cappotto, indietreggia barcollando. La puttana non ride più. C’è sangue dappertutto, sul serramanico.. le mie mani grondano. Afferro a mia volta l’uomo per il collo, schiaffeggiandolo.
Due ceffoni, poi lo lascio cadere. –Niente di personale, amico, ma questo è il mio lavoro. Adesso sai che è meglio non impicciarsi.-
Mi volto, sorridente. La puttana è contro il muro, trema; lo vedo bene da qui. Mi avvicino a lei, poggiandole la punta della lama sull’addome. I nostri visi sono a pochi centimetri.
-allora, troia.. veloce e indolore, o lenta e dolorosa?
Non risponde. Mi fissa, tremando.
-Guarda che se non rispondi decido io.
-ti prego- balbetta lei, con un filo di voce.
Risposta sbagliata. Non mi devi pregare, non sono il tuo dio.
Però mi sento buono. Le propongo un patto: se lei saprà darmi soddisfazione, non le farò nulla. Accetta, sembra quasi sollevata.
Si inginocchia di nuovo, tremante come una foglia. Le tengo la testa fra le mani, mentre cerca la lampo. Movimento veloce.
Crolla su un lato, col collo spezzato. Nessun gemito. Morte veloce e indolore. Beh, in un certo senso mi ha soddisfatto.
Prendo dal portafogli altre due banconote da dieci, giusto per saldare il debito. L’uomo è sparito.
Mi guardo intorno. Cristo, è sparito. Ci mancherebbe solo che mi denunciasse.. no, no, denunciarmi no.. di sicuro non va d’accordo con la polizia.. ma nemmeno mi farebbe comodo trovarmi contro i suoi compari.
-ehi, bastardo, dove sei? Volevi il resto dei soldi, no?
Nulla. Non è uscito dal vicolo, siamo troppo lontani dalla strada e, se avesse corso, l’avrei sentito.
Socchiudo gli occhi, guardando bene rasente il muro, e tra i rifiuti. Prendo il coltello, camminando lentamente. La luce è poca, ma sufficiente. Sorrido vedendo una scarpa spuntare da un cumulo di rifiuti.
-Amico.. sto elargendo il mio servizio.. nulla di personale-, mentre mi avvicino. Non ha reazioni. Ma mi sente, ne sono certo.
Gli sono praticamente addosso, non può non tentare di fuggire. Sposto i sacchetti. Lui mi guarda con gli occhi sbarrati. Si tiene lo stomaco. Gli volto le spalle e vado via, lasciandolo dov’è.
Ha giusto avuto il tempo di nascondersi, aveva già perso troppo sangue per resistere.
Pulisco il manico del coltello sulla gonna della troia e le lascio ‘arma in mano. Un’ultima occhiata e vado via.
Sono di nuovo in strada. Ormai è quasi l’alba, saranno le sei. Il sole già si fa vedere. Penso che non sia prudente restare in zona, così torno a casa da Micky. Fortunatamente i miei vestiti non si sono sporcati, così posso metterli sulla sedia e tornare a letto.
A fissare l’armadio, che illuminato con la luce di fuori ora ha anche un colore. Orrendo, tra l’altro.
Sorrido, chiudendo gli occhi.
Li riapro di scatto. Cristo, ma cosa ho fatto? Ancora.. due persone.. certo, mia aveva aggredito, ma che bisogno c’era di.. dio mio.. ancora.. è successo ancora.. credevo di essere “guarito”, ma invece..
Comincio a piangere sommessamente, ad occhi chiusi.
Quando li riapro vedo che Micaela si è svegliata. Mi osserva, seduta in mezzo al letto. Istintivamente, come preso dalla vergogna, smetto di piangere. Sono sicuro che si è accorta che sono sveglio, ma preferisce non dire nulla.
Aspetto finché non si alza ed esce dalla stanza, poi riapro finalmente gli occhi.
Sono solo. Come sempre, del resto.
La sento trafficare in cucina; sta preparando il caffè. Di lì a poco l’odore si diffonde fin nella camera da letto. Sono le sette passate.
Micaela mi porta il caffè. La guardo entrare, vestita solo con una mia camicia. Il buffo è che non ricordo assolutamente nulla di ieri sera.. solo qualche frammento di sogno e basta. Mi sorride, appoggia il bicchierino sul comodino. Mi guarda, forse aspetta che le dica qualcosa.
Riesco solo a mugugnare un “buongiorno”, accennando un mezzo sorriso, poi mi metto a sedere e la guardo. È davvero bella, ancora mi pare strano che io l’abbia qui, tra le mie braccia. Così dolce, così insicura.. e tremendamente bella.
Mi schiocca un bacio veloce sulla bocca, poi corre a chiudersi in bagno.
È tardi, tra poco deve essere al lavoro. Dovrebbe, almeno.
La seguo con lo sguardo mentre esce dalla stanza, coi miei occhi la accompagno fuori.
La sua mano compare un’ultima volta, giusto il tempo di appendere la mia camicia alla maniglia, poi sento i suoi piedi nudi correre di là.
Ah, Micaela, Micaela..
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