25-5-01
Micaela è uscita, ora sono rimasto solo in casa. Casa sua, casa mia. Sono ancora molte le cose che devo sistemare. Con i pochi indizi che ha, dubito che la polizia possa giungere oltre le ridicole conclusioni che ha già tratto, ma devo comunque restare prudente. Sono troppi gli errori che mi sono lasciato dietro, e troppe volte mi sono salvato solo grazie alla fortuna.
Non resisto qui da solo; mi sa che andrò a trovarla al supermercato. Anche solo per scambiarci qualche sguardo mentre la cassa mi registra il tubetto del dentifricio.
La strada è sempre quella.. stessi negozi, stessa gente.. ma è come se la vedessi in modo diverso. È come se il mio modo d’essere avesse preso i miei occhi, riuscendo a manipolare ogni volta quello che vedo, facendomelo sembrare di volta in volta diverso.
E il supermercato.. beh, mi sembra ovvio, ma mi fa piacere venirci, ora. Vedo anch’esso diversamente
Come un posto dove poterci scambiare qualche occhiata furtiva mentre la gente ci passa intorno, come se fosse un gioco in cui noi siamo i bambini che stanno attenti a non farsi scoprire.
Strano.. è vuoto. La porta è socchiusa, ma dentro pare non ci sia nessuno.. eppure le casse sono in funzione.. non mi piace.
Non mi piace per niente.
Qualcuno dovrà pur esserci, qui intorno..
Giro tra gli scaffali, cercando un’anima che possa dirmi cosa succede.
Mi avvicino ad un commesso, che noto per caso mentre esce dal magazzino. Strano, non l’ho mai visto prima.. sarà un nuovo assunto.
Mentre mi parla guarda continuamente la porta; mi spiega che oggi il supermercato è chiuso per inventario.
E la pistola che ha alla cintura? Dice che lui è della vigilanza. Anche un idiota capirebbe che qualcosa non va.
-ma mia moglie lavora qui.. stamattina non mi ha parlato di nessun inventario – cerco di temporeggiare, lanciando di tanto in tanto un’occhiata al magazzino.
Si vede che non gradisce le mie domande, da come cerca di mandarmi via con risposte sbrigative e piantate in aria.
-va beh.. vorrà dire che le telefonerò-.
La chiamo, e sento il telefono squillare dal magazzino. Micaela non risponde, mentre io tengo gli occhi puntati sul tipo. Cosa ci fa chiusa in magazzino con questo qui? No, non va assolutamente bene.
Anche il tipo sente il telefono squillare, e si sbriga a chiudere la porta.
-amico.. che succede lì dentro? Sento il telefono di mia moglie squillare..-
lui pare scendere dalle nuvole “non lo so.. forse lo ha lasciato qui.. ti sarai impressionato, io non ho sentito nessun telefono..”
cerco di mantenere la calma. Il telefono l’ho sentito, eccome. Riprovo a chiamare. Ora il suo telefono è spento. Perché l’ha spento?
Io sono qui fuori.. Micaela è lì dentro.. e questo tipo si para davanti alla porta.
No, non va bene.
Lo sposto di peso e spalanco la porta.
Dio..
Altri due uomini armati; uno fruga nella cassaforte, l’altro tiene una mitraglia puntata su Micaela e un’altra sua collega, legate.
Assottiglio lo sguardo.. ringhio.
Un dolore fortissimo alla testa… ed è tutto buio.
Quando riapro gli occhi sono ancora nel deposito.
Io, due ragazze legate ed una mitraglietta puntata sul viso. Sono capitato nel bel mezzo di una rapina, a quanto pare.
La testa mi fa ancora male.. devono avermi colpito con qualcosa. Non dico nulla, mentre il mio sguardo scorre posandosi sulla porta e sulle loro armi, incrociandosi per pochi attimi con i loro sguardi.
Evito di guardare Micaela: la situazione, l’impotenza che mi opprime, diventerebbero insopportabili se solo mi lanciasse una richiesta d’aiuto. Non posso fare nulla.
C’è troppa tensione, in questa stanza. Devono essere due mezze tacche alla loro prima rapina; sono nervosi, quasi tremano, e in più hanno preso precauzione assolutamente insufficienti, mi hanno addirittura colpito in una sala dove ero visibile dall’esterno. Qualcuno avrà visto, spero solo questo.
Sei persone, nel magazzino.
Trafficano ancora con la cassaforte, mentre le ragazze piangono. Le sento piangere.
Io resto fermo lì, senza dire nulla.
Sto pensando. Sto pensando.
Ecco. Sirene.
Passano oltre. Dopo un attimo di panico in cui le dita si stringono sui grilletti, la situazione ritorna alla sua nervosissima calma. Eppure è un supermercato.. tutto questo casino per l’incasso di un supermercato?
Passano i minuti, minuti che sembrano ore. I nostri carcerieri cominciano a sudare freddo. Quello a destra ogni tanto lascia l’arma, l’appoggia al muro.. fuma una sigaretta, prima di scoppiare in una risata isterica. Quello a sinistra è immobile, tanto da sembrare morto; ogni tanto gira gli occhi per guardarsi intorno, ma nulla più.
Dopo l’ennesima sigaretta, il tipo si avvicina Micaela. La squadra troppo, per i miei gusti.
Guardo lui, ma cerco di tenere comunque lo sguardo lontano da lei.
-ehi bello.. è questa la tua donna?
Annuisco, fissandolo negli occhi.
-vuoi vedere come ci divertiamo un po’ con lei?-
no, questo sarebbe troppo. Io qui, senza poter fare nulla.. se la sfiora l’ammazzo, lo giuro. Per la prima volta incrocio lo sguardo di Micaela..e lei china il capo.
La sconfitta. La mia sconfitta. Sa che non posso fare nulla.
L’uomo passa la canna della mitraglia sugli occhi di Micaela.. sul naso.. sulla bocca, spostandole le labbra.. sul collo.. fino a fermarsi sul cuore. Ogni centimetro è una goccia d sudore freddo che mi cola dalle tempie.
Micaela mi guarda.
Mi trattengo stringendo i pugni.
Anche l’uomo mi guarda.
-allora.. a chi sparo? A te o a lei?-
Quell’arma puntata sul petto di Micaela è insopportabile.
-sai dove te la infilo, quella mitraglia?-
L’uomo scoppia a ridere, poi guarda Micaela.. guarda me.. guarda Micaela.. “BUM!” urla.
Sobbalziamo, mentre l’uomo ride. Micaela deve aver passato la sua soglia di sopportazione, abbassa la testa e crolla a terra, priva di sensi.
Mi alzo di scatto per avventarmi su di lui, ma le altre due mitraglie , puntate su di me, mi fanno cambiare idea. Con un ringhio che non riesco a trattenere, rimedio solo un colpo allo sterno col calcio del fucile. Un dolore tremendo, mi sento mancare l’aria.
Gli altri due tornano ad occuparsi della cassaforte, mentre la guardia adesso non mi stacca gli occhi di dosso. Mi sento come un topo in trappola..
Passa ancora del tempo. Micaela non rinviene. La sua collega ha una crisi di nervi, scoppia a piangere.
La guardia ogni tanto osserva l’orologio, poi torna a tenere gli occhi puntati su di me. Le lancette vanno avanti rincorrendosi, mentre anche i miei nervi cominciano a cedere. Sono ormai due ore che siamo chiusi qui dentro, con la morte costantemente puntata contro.
Sirene in lontananza. Ma stavolta si fermano qui fuori.
Dopo qualche minuto, veniamo a sapere che siamo circondati.
Panico. È il panico totale. Le due guardie che si stavano occupando della cassaforte imbracciano i mitra ed escono allo scoperto, per trattare. Una macchina, l’incasso e un ostaggio da portare come garanzia.
La polizia esita, prende tempo.
Nel magazzino, io e la guardia ci scambiamo sguardi gelidi.
Ad un certo punto lui inizia a sorridermi –Hai sentito il mio compare? Porteremo la tua donna con noi. E si divertirà, sta tranquillo.-
Silenzio. Vorrei spaccargli la testa, ma non mi resta che stare zitto. Lo fisso. Mi fissa. Fuori gli altri due urlano di fare presto, che sono pronti a far fuori gli ostaggi.
Veronica fissa il vuoto senza dire nulla, a quanto pare ha finito anche le lacrime. Uno dei due torna dentro e la trascina via, tenendole l’arma alla tempia, per far capire che non scherza.
Nei secondi che seguono, io e la guardia continuiamo a guardarci; io in silenzio, lui con quel risolino idiota sulla faccia.
Scoppio a ridere. Si, rido.
Mi guarda sorpreso, leggermente stizzito. E io rido, sempre più forte.
-Ma che hai da ridere, adesso?-
non gli rispondo. Mi alzo e mi avvicino, continuando a ridere. Lui sogghigna.
-Ho capito.. hai ceduto, uomo.. ti credevo più forte.-
sono a un passo da lui. Continuo a ridere, fissandolo negli occhi. Devo essere molto irritante, me ne accorgo dal suo comportamento. Mi urla di smettere.
Beh, che urli quanto vuole.. io ora ho voglia di ridere.
Come previsto, cede. Mi colpisce prima al volto, poi allo stomaco. Due pugni tirati con rabbia, ma che non fanno molto male.
Chiudo gli occhi e mi lascio cadere, tossendo, fino a restare immobile sul pavimento. Lo sento chiamarmi, smuovermi, prendermi a calci. Sono fermo, evito qualsiasi movimento.
Ecco, ha paura.
Si piega su di me. Si, avvicinati.
È in ginocchio, mi tasta il collo.
Bravo, vieni più vicino.. ancora di più..
Di sicuro sente che il mio cuore batte, ma il mio colorito, ormai cianotico, gli fanno notare che non respiro più. E un ostaggio ucciso non li farà andare lontano.
Si abbassa ancora, poggiando quasi l’orecchio sulla mia bocca, per controllare il mio respiro.
Ecco, ora sei vicino abbastanza.
Con una mano gli afferro il collo. Non ha nemmeno il tempo di reagire, che riesco a farlo cadere su un lato e a mettermi sopra di lui, fissandolo negli occhi.
Ringhio.
Un animale che ha bloccato a terra la sua preda, e la guarda gustandosi i suoi ultimi attimi, il suo terrore.
La sua mano cerca invano di afferrare l’arma, una salvezza che si trova a pochi centimetri dalla sua portata.
Anche da fuori avranno sicuramente sentito il suo urlo.
La polizia apre il fuoco, le urla degli altri due sono coperte dal fracasso degli spari e delle vetrine che vanno in frantumi.
Mi giro. Non me ne ero accorto.. Micaela è rinvenuta. Mi guarda, spaventata.. confusa.. guarda la mia bocca che gronda sangue.. guarda i miei occhi.. io.. ora lei mi ha visto.
Non volevo che succedesse.
Mi pulisco in fretta la bocca sulla camicia dell’uomo, proprio mentre gli agenti entrano nel magazzino.
Anche per loro lo stesso scenario: una ragazza terrorizzata ed un lupo che tiene per il bavero la sua preda.
Immediatamente mi trovo sotto tiro, mentre mi ammanettano e mi tirano via.
Il tutto sotto gli occhi di Micaela.
Lei mi ha visto.. non ho la forza di reagire.
Senza dire nulla entro nella volante, resto muto anche quando lo sguardo di Micaela mi segue allontanarmi.
So che è finita. In questa macchina, verso la più vicina stazione di polizia, so che ormai non potrò fare nulla; tutto quello che avevo pensato, i miei progetti.. i nostri progetti.. già, Micaela.. la fortuna, che con un giro di ruota me l’ha data, e con un giro di ruota me l’ha tolta.
Chiudo gli occhi, per trattenere le lacrime.
Ed è di nuovo buio.
Come se fosse notte; anche se so che fuori c’è luce, ciò non mi distoglie dal mio buio.. come una sorta di protezione, il mio piccolo mondo in cui rifugiarmi quando mi sento crollare tutto addosso. Tutti i miei sogni, tutte le mie certezze.
Buio, sempre buio. Il mio personalissimo buio.
La macchina continua ad andare. Non guardo fuori, non mi interessa dove stiamo andando, assolutamente.
Mi è bastato veder Micaela per l’ultima volta per capire che tutto è finito.
Finirò in prigione o in manicomio? Non lo so, ma ormai non mi importa. Tanto sarà per poco: i lupi in cattività muoiono presto. Abbiamo bisogno della nostra libertà, del nostro terreno di caccia.. un lupo in cattività è come se fosse stato spodestato da un altro suo simile, non gli resta che andare a morire che il suo tempo è finito. Homo homini lupus, no? Il significato non è lo stesso, ma mi viene ugualmente da sorridere.
Riapro gli occhi nel momento in cui senti l’auto fermarsi. Il poliziotto che guida mi avvisa che fuori ci sono i giornalisti, se lo preferisco posso coprirmi il volo.
Ma voglio uscire a testa alta. Non ho fatto nulla che non avrei dovuto fare. È stato il mio istinto di sopravvivenza a guidarmi. Legittima difesa, chiamatela come vi pare: io lo chiamo semplicemente istinto di sopravvivenza.
Scendo dall’auto, scortato dai due poliziotti. Flash mi abbagliano da destra e da sinistra, qualcuno più audace mi avvicina un registratore alla bocca, cercando di ottenere chissà quale rivelazione. Passo avanti, fingo che non esistano. Non ho voglia di rilasciare nessuna dichiarazione
I poliziotti devono aver notato il mio nervosismo, si sbrigano a portarmi dentro la stazione, cercando di allontanare i giornalisti.
“Legittima difesa”, è l’unica cosa che dico all’ispettore che mi chiede come si siano svolti i fatti. “aveva un mitra, ce lo puntava contro. Minacciava di sparare da un momento all’altro. Legittima difesa”.
Non deve essere stata una bella mossa, visto che mi hanno schedato.
Galera. In attesa di giudizio, dicono loro, ma intanto mi sbattono in galera, fino a “data da fissare”. Ridicoli.
Come se fosse la loro vita, quella in gioco.
Purtroppo non posso fare altro che salire in un’altra vettura e lasciarmi portare dove hanno deciso.
La telefonata che mi spettava di diritto l’ho fatta a Micaela. Non ha risposto.
Dove sarà, ora?
![]() ![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |