Casa circondariale. Le chiamano così le galere adesso, a quanto pare. Siamo arrivati.
I poliziotti di custodia mi lasciano al personale. “Da ora in poi saranno loro a occuparsi di te”, mi saluta uno dei due con una pacca sulla spalla. Ma che simpatico.
Fogli da compilare, altre foto.. ed io odio le fotografie. Secondo gli indiani d’america una fotografia ti ruba l’anima. Chissà che non avessero ragione.
Mi invitano a lasciare in una cassetta tutti gli oggetti metallici, taglienti o potenzialmente pericolosi, insieme ai documenti e agli altri effetti personali.
Passo il metal detector.. e suona.
“Ho una chiodo nella tibia”
E va bene.. spogliati. Mi sfilo lentamente i vestiti, sotto il suo sguardo che sembra quasi divertito da quest’ulteriore umiliazione.
Passo di nuovo il metal detector.. niente, suona ancora. E ci credo! Ma mi sa che lui alla storia della protesi non ci crede affatto.
“agente, se mi guarda un attimo la gamba..” no, e va bene.. via anche le mutande.
Il metal detector suona lo stesso. Lui è sospettoso, io mi sto cominciando ad innervosire.
“E lì cos’hai?”
“Lì.. nel retto?” gli chiedo io, tra il sorpreso e l’incredulo. “Ma che devo avere?”
“Non lo so, voi delinquenti le pensate tutte. Piegati in avanti e tieni le gambe divaricate.”
Rimango davanti a lui, fissandolo. “Ho una bomba atomica nel culo. Se scoreggio la innesco e saltiamo tutti in aria.”
Nemmeno questa deve essere stata una bella mossa. Un record: in carcere da meno di un’ora e già mi vogliono frugare nel culo e mi prendo anche una manganellata allo stomaco.
Fortunatamente, dopo un po’ di insistenza da parte mia acconsentono a farmi una radiografia. Oggetto metallico nella tibia. Come volevasi dimostrare.
Mi danno finalmente qualcosa da mettere.. una divisa. Da questo momento sono solo un numero.
Passo in un corridoio abbastanza stretto, fino ad arrivare a quella che sarà la mia cella. Ho raggiunto la fine di questa discesa all’inferno. Stamattina ero libero mentre adesso.. davvero strana la vita.
E la cosa più strana è che non solo non mi pento di nulla, ma che sento tutto ciò come se non mi riguardasse. Quasi come se stessi vedendo un film, come se tutto questo stesse capitando ad un altro.
“per te una bella doppia.. se resti con noi per qualche tempo ti sposteremo in quella con vista mare”.
E la porta si chiude. La porta sul mondo, intendo.. insieme al cancello di questa gabbia.
Individuo il mio “letto” e vado a coricarmi. Il mio “coinquilino” si volta a guardarmi, mettendosi a sedere sulla sua branda. È un ragazzo, avrà al massimo una ventina d’anni. Magrolino, porta gli occhiali. Un viso vivace… chissà che avrà combinato, per stare qui.
Mi tende la mano “Ciao, io sono Aaron”.
La ritira un po’ deluso quando gli rispondo con un mugugno e mi giro dall’altro lato, cercando un po’ di sonno. Almeno questo, in una giornata di merda.
Tenta un dialogo un altro paio di volte, ma fingo di non sentirlo. Solo quando, orami esasperato, mi manda a fare in culo non riesco a trattenere un sorriso e gli tendo la mano.
“Ciao. Io sono Gabriel.”
“Come Batistuta! Che figo!”
“o come d’Annunzio”
Lui ci pensa un po’ su, poi fa “e in che film era?”
Scuoto il capo sorridendo “lascia stare.. non lo danno mai in televisione”
Si spengono le luci. Buonanotte, Aaron.
26-5-01
sento del rumore attorno a me. Deve essere di nuovo giorno. Tasto nel letto, cercando Micaela. Solo quando riapro gli occhi torno alla realtà.
Il ragazzo è davanti allo specchio, a guardarsi quei quattro peli che con orgoglio chiama “la mia barba”.
La guardia passa fuori la cella. Guarda Aaron, poi guarda me “non avevi fame stanotte, eh?”. Sempre più simpatici.
Il ragazzo sui volta a guardarmi; io faccio spallucce, con la faccia di chi non ha capito cosa volesse dire la guardia.
“come, non lo sai? Il tuo compagno di cella sta qui perché s’è mangiato un rapinatore.. legittima difesa, dice lui” è ancora la guardia, che detto questo va oltre, ridendo come un matto.
Aaron smette di osservarsi, appoggiato con le mani al lavandino, girato verso di me.
Lo sguardo di chi non ha capito, o preferirebbe aver capito male. Se mi va bene, dovrò sorbirmi le urla di un ragazzino che farà di tutto per cambiare cella.
Gli annuisco. “Cioè.. non che me lo sia mangiato.. ma se non lo avessi fatto credo che ora avrei avuto un proiettile in fronte..” cerco di spiegargli, con un mezzo sorriso che nasconde piuttosto male il mio imbarazzo.
“Ma il pezzo di carne l’ho sputato, giuro!” Dio, quante cose stupide si dicono quando si è in un tremendo imbarazzo.. volevo sdrammatizzare, e invece sono caduto nel grottesco.
Il ragazzo sgrana gli occhi.. balbetta qualcosa di incomprensibile.. mi sa che adesso piange..
“Figoooo!” urla lui.
Eh? Come sarebbe, “figo?” io gli dico che ho ammazzato un uomo con un morso e lui mi dice… “figo”?
Senza pensarci un attimo, mette da parte sapone e asciugamano e salta sul mio letto. “racconta, racconta!”
Dio, questo è un pazzoide. “E che dovrei dirti? Stavano facendo una rapina, quel tipo teneva l’arma su di me e sulla mia donna.. minacciava me e lei.. appena ho potuto gli sono saltato alla gola”, gli spiego io, abbastanza sorpreso dalla sua reazione e dal suo interesse.
“la tua donna è Micaela?”
Eh? Mi metto a sedere sul letto, davanti a lui.
“L’hai chiamata nel sonno”
Già, ora mi metto anche a parlare nel sonno.
“e com’è? È una bella donna?”
“si.. è una bella donna”. Il mio tono è chiaramente quello di chi non ha voglia di parlare.. di quando si tocca un argomento che preferiamo evitare. Il dialogo, se così si può chiamare, finisce nel silenzio, ma mi accorgo che non può fare a meno di tenermi gli occhi addosso. Fino a che prende coraggio e allunga una mano verso la mia bocca “Dai! Fammi vedere i denti!”
gli afferro il braccio.
Una specie di sirena ci avvisa che è pronta la colazione. Si divincola quasi impaurito, finisce di vestirsi e va verso la porta.
Mi aspetta “Gab, non vieni a mangiare?”
In effetti ho fame.. sono due giorni che non tocco cibo. Mi do una veloce lavata e lo seguo.
Come un cicerone, mi guida fino alla sala dei pasti, indicandomi di volta in volta la palestra, il corridoio che porta al cortile e la biblioteca, e parlandomi dei tipi che incontriamo durante il tragitto. Una bella guida, non c’è che dire.
Dopo una noiosa fila per la distribuzione, durante la quale il ragazzo ha cercato di farmi parlare il più possibile giusto per potermi osservare i denti, prendiamo le nostre razione ed andiamo a sederci al primo banco libero. Non per confermare un luogo comune, ma credo di essere persino io migliore dei cuochi che hanno qui. Tanto in questo posto siamo solamente numeri.. a chi importa di un numero?
La colazione è piuttosto breve, così dopo pochi minuti siamo di nuovo nella nostra cella. Sembra un posto abbastanza tranquillo, dopotutto. Mi aspettavo fosse decisamente peggiore.
“E tu come mai sei qui?”
“Solite cose.. un paio di stereo.. tra tre mesi sono fuori.. ma tanto qui ci esco e ci rientro in continuazione “ sorride lui. Chissà, magari è stato proprio lui a fregarmi lo stereo. Gli chiedo se è solo.. se ha qualcuno che lo aspetta, lì fuori.
“Oh beh.. ho una sorella da qualche parte.. ormai saranno mesi che non la vedo.. sai, fa la puttana.”
“Ehi Aaron.. ma ti sembra questo il modo di parlare di tua sorella?”
Come mi sono sentito idiota quando lui, con una naturalezza disarmante, mi ha risposto “se fa la puttana come la dovrei chiamare, scusa?”
Eh già.. ha ragione, pure lui.
Non passa nessuna guardia a portarmi notizie, e così il giorno scorre normalmente. La vita continua, là fuori.
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