1-6-01

L’ora d’aria. Non senza tentennamenti, il ragazzo mi segue. A dire il vero sono quasi costretto a trascinarlo: è terrorizzato, e purtroppo lo capisco.

Mi faccio strada tra i detenuti, cercando il Portoghese. Mi saluta amichevole, e sento Aaron, che ormai mi segue come un automa, irrigidirsi. Gli indico il ragazzo

“Che cosa gli hai fatto, pezzo di merda?”

“Oh, cagnolino.. tu es venuto a far la pipì in cortile? Alza la gamba a facci vedere, su, su..”

Scuoto il capo. “Ti ho fatto una domanda. Che hai fatto al ragazzo?”

Lui sorride, mostrandoci ancora una volta i denti gialli di sigaro.

“Oh, me? Ma niente, solo qualche carezza.. io sono un tipo muy affettuoso, amigo!”

intorno a noi intanto si è formato un gruppetto di detenuti, che ci circonda. E ho visto troppi film per capire che non è affatto un buon segno. Cerco di sorridere, ottenendo solo però qualcosa che assomiglia più ad un ghigno.

“Io so muy amichevole.. y con ti, y con la gallinella, y con tua senora.. Micaela.. si?”

senza che il ghigno vada via, ringhio. Lui pare divertito.

“Oh no amigo, calmo.. io voglio solo dare l’osso a te y a la tua senora!”

Aaron mi stringe la mano. Deve aver capito anche lui che qualcosa non va. Guardo il portoghese e gli sibilo

“Amigo.. tu hai rotto sia con il tuo accento finto.. che anche un idiota capirebbe che tu il Portogallo non l’hai mai nemmeno visto.. sia con il tuo modo di fare.. e te lo dico per la prima e l’ultima volta”.

Ride. Eh già, tutto ciò è molto irritante.

“Amigo, tu non devi sfidarme in casa mia.. mi sa che tu devi metterti in ginocchio e chiedere perdono y far anche la pipì contro il muro, eh si!”

Mi trattengo a stento dal saltargli addosso.

“E se invece ti rompesi le gambe e ti facessi tornare in cella strisciando come un verme?”

La cerchia attorno a noi si stringe, formando come una piccola arena in cui noi siamo i gladiatori.

Aaron viene tirato via, finendo nel “pubblico”.

“Oh, muy paura!” mi urla il Portoghese, alzando le braccia al cielo e ridendo a crepapelle.

Qualcuno mi passa qualcosa, lo stesso qualcosa che vedo comparire in mano al Portoghese. È una sorta di rudimentale coltello, ottenuto affilando un cucchiaio e avvolgendone il manico con del nastro adesivo, in modo da farne una comoda impugnatura. Guardo il coltello che ho tra le mani, poi il mio sguardo si sposta sul tipo. Ora so quello che devo fare.

Sono finito coinvolto in una sfida.. nemmeno in galera riesco a starmene tranquillo.

Alcuni dei detenuti che ci stanno attorno cominciano a cantare ad alta voce. A questo punto si può dire che la sfida è iniziata.

Il Portoghese inizia a saltellare, brandendo il suo coltello, avvicinandosi per poi allontanarsi di nuovo. Si farà così, ma lo trovo ridicolo.

Mi piego nelle spalle, flettendomi di poco sulle gambe. Se lui lo fa per onore, io lo faccio per istinto.

Avevo sbagliato. Il lupo non era in gabbia.. doveva solo conquistare quest’altro branco.

Vedo il pubblico lanciare incitamenti, anche passarsi soldi.

Mi accorgo con la coda dell’occhio che Aaron non mi stacca gli occhi di dosso.

Il Portoghese è piuttosto lento, goffo.. non so come non potrei ridere; ed è infatti quello che faccio, mentre mi avvicino lentamente a lui. Un solo passo falso, aspetto solo quello.

Il tipo mi squadra, cerca di capire il mio modo di muovermi, di intuire le mie mosse.. ma come si può prevedere l’istinto?

Un fendente sbagliato, lo tiro per il polso col suo corpo sul mio, mentre gli affondo il mio coltello nello stomaco, ruotandolo più volte. Posso guardarlo negli occhi, sentire il suo fiato sul mio viso mentre rantola.

“Quanti ne hai ammazzati, pezzo di merda?”

Due, ne ha ammazzati due.

“Io almeno il triplo. E sempre a mani nude o col coltello”.

Lo lascio stramazzare a terra. Nello scompiglio che si è venuto ad avere qualcuno mi tira via, e in un attimo mi trovo dall’altro lato del cortile. La gente intorno parla del più e del meno, come se nulla fosse successo. Mi trovo inserito in un gruppetto di detenuti che parlano di calcio, tirandomi nel discorso. In alcuni di loro riconosco i miei spettatori.

In lontananza, due guardie trascinano via il corpo dell’oramai fu Portoghese, mentre altre due, armate, si guardano intorno cercando di capirci qualcosa.

Dev’essere una cosa che capita di frequente, tant’è che, dopo una sommaria perquisizione, ci rimandano in cella. Dei coltelli, com’era prevedibile, nessuna traccia.

Adesso lo sguardo di Aaron è diverso, per tutto il tempo è rimasto a testa alta, indicandomi fiero con lo sguardo ad ogni detenuto che ci passava vicino. Torna a sedersi sulla branda con me.

“cazzo, che stronzo che sei! Lo hai sbudellato in un attimo! Ma che fai per lavoro, l’assassino?”

“No, sono un cagnolino. Vado a istinto.” Gli sorrido io “hai visto che non c’era nulla per cui preoccuparsi? Te lo dicevo io, no?”

Aaron mi sorride. Si toglie una collanina e me la allaccia al collo. Una stringa di caucciù con un pendaglio.

“Altro che cagnolino, tu sei un lupo! Adesso sei il capobranco!”

Ecco, adesso va meglio. Abbasso la testa per guardare il ciondolo. È una lettera, la enne.

“Scusami, ma non ti chiami Aaron?”

“Si, certo.. questo ciondolo infatti lo volevo regalare a mia sorella, ma chissà quando la vedo.. può anche darsi che sia tornata in Ucraina, per quel che ne so..”

Enne.. enne.. una puttana ucraina con la enne…

“e come si chiama tua sorella?”

“Nadia”

Chiudiamo gli occhi.

Ed è di nuovo buio.