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Nick: Mr_LiVi0
Oggetto: Giornale del giorno
Data: 21/7/2006 9.19.25
Visite: 170

La verità su questa guerra? Non interessa, non finirà mai di MICHELE BRAMBILLA
È inutile farsi illusioni: la guerra tra i palestinesi (più in generale: il mondo islamico) e Israele è destinata a non avere fine perché nessuno dei contendenti vorrà mai - anzi, «potrà» mai - rinunciare al proprio obiettivo. Chi crede che si possa risolvere il conflitto con gli strumenti della diplomazia, della politica e dell'economia è soltanto un'anima bella che pensa di poter applicare le proprie categorie di pensiero a un mondo che ha ben altre, e ben più profonde, motivazioni. Dunque finirà così: finirà che a un certo punto diventerà decisiva l'immane sproporzione numerica: un miliardo di musulmani da una parte, cinque milioni di israeliani dall'altra. E allora Israele, per difendere il proprio diritto a esistere, non avrà altra via di scampo che fare ricorso alla bomba atomica. Mamma mia. Che scenario. Ma questo è quello che pensa Vittorio Messori, uno che per anni è stato ritenuto troppo "politicamente scorretto", ma che alla fine ha dimostrato di vederla lunga. Andiamo con ordine. A Messori (...) avevamo telefonato perché ci era venuto un sospetto di cui volevamo chiedergli conferma. Il sospetto era questo: la guerra in Libano è un fatto drammatico e inevitabilmente occupa le prime 10-12 pagine di tutti grandi quotidiani; però abbiamo l'impressione che il 90, forse 95 per cento dei lettori, quelle pagine le salti a piè pari. E' cinico dirlo: ma di quel che sta accadendo in Libano la gente disinteressa totalmente. Perché è lontano da casa nostra? Non solo. Il fatto è che alla guerra in quei posti siamo abituati, anzi assuefatti. La riteniamo inevitabile. Pensiamo, da maledetti egoisti: è un film già visto, tanto lì continueranno ad ammazzarsi, non c'è niente da fare. Vittorio Messori, forse il più noto scrittore cattolico del mondo, ci conferma nel nostro sospetto: «I credenti lo pensano per sensus fidei, i non credenti per semplice fiuto della realtà: ma tutti pensano che la guerra in quei posti sia una non-notizia. Da quelle parti non è patologica la guerra: sarebbe patologica la pace». Abitudine e rassegnazione, dunque? «Non solo. C'è anche l'incapacità dei nostri analisti, dei nostri cosiddetti "esperti" di spiegare che cosa sta succedendo. Preciso: non sanno spiegare che cosa sta succedendo per il semplice motivo che non lo capiscono». Perché? «Perché pensano di spiegare comportamenti dei contendenti con le categorie della politica e dell'economia. E sbagliano. Quello che avviene là non fa parte della storia ma della metastoria. Più che l'analisi sociologica, lì conta la profezia biblica. La prospettiva non è politica, ma teologica e perfino apocalittica. Quando trovo sui giornali l'ennesimo saccente che dice la sua senza tenere conto dell'importanza del fattore religioso, ridacchio e giro pagina» Adesso è lei che deve spiegare. «Ci provo. Cominciamo con l'analizzare le tre forze in campo» Perché tre? «Israele e Palestina sono gli attori sul palcoscenico, ma dietro le quinte ci sono gli Stati Uniti. Anzi, nella prospettiva araba, contendenti sono solo due: loro, gli arabi, e gli Stati Uniti». E Israele? «Per gli arabi Israele non esiste. Nei libri di scuola non è mai neppure nominato. Ciò che vive nel territorio di Israele è chiamato "Entità Sionista". E l'"Entità Sionista" per gli arabi è solo la cinquantunesima stella degli Usa». Una tesi molto simile a quella della sinistra italiana. «Esatto. La quale sinistra italiana oggi dice che nel 1948 gli ebrei "rapinarono" la terra ai palestinesi, ma evidentemente non sa che nei dibattiti del 1947 alle Nazioni Unite fu proprio l'Unione Sovietica ad appoggiare con ogni mezzo la realizzazione del "sogno sionista". Stalin vedeva nella nascita dello Stato di Israele un colpoall'imperialismo britannico inferto dagli ebrei comunisti russi e polacchi. L'Urss fu il primo Stato al mondo a riconoscere la nuova repubblica di Israele. Poi il voltafaccia, quando Stalin si rese conto che - per ragioni economiche, storiche e culturali - il nuovo Stato cominciava a gravitare verso l'Occidente e soprattutto verso gli Stati Uniti». Ma andiamo avanti con l'analisi delle forze in campo e delle motivazioni che le muovono. «Tutti e tre si muovono in una dimensione teologica. Comincio dalla forza in campo meno sospettabile di fondamentalismo: gli Usa». Cioè? «Anche Bush è spinto da motivazioni religiose. Fa parte di una corrente protestante oggi maggioritaria negli Usa: i "Cristiani per Israele". Sono convinti che la Parusìa, cioè il ritorno di Cristo sulla terra, potrà avvenire solo quando Israele si convertirà. E' una convinzione tratta da una frase di san Paolo. Il punto è che questi protestanti, di cui Bush fa parte, ritengono che gli ebrei, per convertirsi, devono essere riuniti in un solo luogo. Quindi Bush si batte per una causa non ebraica bensì cristiana: ma comunque religiosa». Veniamo ai musulmani. «Ovviamente anche loro sono mossi da motivazioni teologiche. E' sbalorditivo vedere opinionisti che trattano la questione in termini politici, senza tener conto che per l'islam non esiste politica senza religione. Nella prospettiva islamica il mondo è diviso in due: i territori di Allah e i territori di guerra. Quindi fare guerra ai Paesi non islamici è un dovere. Ma c'è di più». E cioè? «Una volta che il terreno è stato "santificato" dalla presenza islamica, non si può più tornare indietro. Dove oggi c'è Israele, dal nono secolo c'erano i musulmani. E quindi quella terra deve tornare musulmana. Non dimentichiamo che per l'islam Gerusalemme è la seconda città santa, è la città dove riapparirà Maometto alla fine dei tempi. Capito? Per l'islam Israele è un cancro da estirpare. Mi fanno ridere gli analisti che propongono cooperazione economica e reciprocità. Tutti questi discorsi sui confini, sulle spartizioni territoriali eccetera, sono cecità di gente che non conosce la prospettiva religiosa degli islamici ». E gli ebrei? «Pure loro si muovono in una prospettiva teologica. Per l'ebraismo terra e sangue sono inscindibili. E la loro terra è quella, non altre. Per questo, nel corso della storia, il movimento sionista ha rifiutato la proposta di altri territori anche più grandi e più ricchi: in Uganda, in Australia, in Canada, in Etiopia. Gli ebrei non vogliono una terra dove possono stare al sicuro. Vogliono "quella" terra. Vogliono Gerusalemme». Qualcuno sorriderà nel sentirla parlare così. Dirà che la vera questione non è religiosa ma come al solito economica. «Faccia pure. Ma è frutto di un inquinamento marxista pensare che tutto giri intorno al denaro. Nel mondo musulmano si preferisce morire piuttosto che darla vinta a Israele». E quelli che dicono che è la miseria a spingere i palestinesi alla guerra? «Una scemenza smentita da un fatto incontrovertibile. Hanno calcolato che con i soldi spesi dai Paesi arabi per fare tre guerre a Israele, avrebbero potuto regalare a ogni palestinese una villa con piscina. Ma i palestinesi preferiscono la guerra alla villa con piscina». Come finirà? «Visto che le motivazioni sono queste, nessuno può cedere. E allora finirà che a un certo punto diventerà soverchiante la disparità numerica: un miliardo di musulmani contro cinque milioni di israeliani. E Israele, quando sarà con le spalle al mare, sarà costretto a usare la bomba atomica».


Zidane, un colpo di testa anche alla decenza di DIEGO MINONZIO
Certo, il fatto che il calcio italiano sia rimasto prigioniero per un decennio di una banda di traffichini e margnaffoni è una vergogna senza precedenti. Ma, insomma, nella vita c'è pure di peggio: mai stati a cena con un membro anziano della Fifa? A ennesima dimostrazione - tra l'altro non richiesta - che il pallone mondiale è governato da un manipolo di buffoni, ieri la commissione disciplinare della Federazione più tartufesca che c'è si è esibita in una clamorosa esibizione di paraculismo politicamente corretto, condannando solo a tre giornate di squalifica Zidane e - incredibilmente - a ben due Materazzi per l'ormai celebre testata durante la finale dei mondiali. E' stata la vittoria, ridicola e irritante, del perbenismo da salotto, dell'ipocrisia da educande, del ruffianismo all'ennesima potenza che, punendo in maniera praticamente identica la provocazione - tra l'altro priva di offese razziali - alla reazione, ha scolpito nella pietra un mostro giuridico senza precedenti che serve solo e soltanto a due cose. Innanzitutto, ad affibbiare un sonante schiaffone morale agli umanoidi italioti, secondo la Fifa capaci di vincere le coppe solo grazie al trucco e all'inganno, evidentemente ben impressi nei loro geni culturali, assieme ai bucatini, la balera e la lupara. Poi, e soprattutto, a determinare il trionfo della doppia morale anche nel grezzo, ma almeno ogni tanto meritocratico, mondo sportivo, visto che da oggi in poi i comportamenti scorretti non verranno valutati a seconda della loro gravità (minima e mai sanzionata fino a ora per chi provoca, massima per chi reagisce), ma della purezza "razziale" e "politica" di chi li compie. E quindi, se questa è la nuova logica, ammantati dalla nobiltà della difesa della famiglia e dell'onore della preclara stirpe francese nel caso della crapata di Zidane - che in questomodo hadimostrato almondo quantoanchegliimmigrati magrebini si sentano parte integrante della meravigliosa schiatta di Voltaire e Napoleone (e pazienza che se per caso infili il naso in un quartiere musulmano di Marsiglia ti accolgono a scippi e coltellate) - e, invece, imputriditi dalla schifezza tipica dell'essere inferiore se a compierli è uno scimmione spaghettaro come il brutale difensore dell'Inter. Al quale, non a caso, già durante i mondiali avevano fatto capire come va il mondo, visto che era stato buttato fuori a calci per un intervento più scomposto che cattivo durante la partita con l'Australia, mentre un giorno dopo al broccaccio Juan, solo perché faceva parte dell'équipe dei giocolieri carioca, per una scarponata assassina da ultimo uomo gli avevano fatto pat pat sulla spalle e mille scuse e in fondo è solo un ragazzo e tante di quelle moineche ancoraunpo' gli offrivano pure un caffé al bar dello stadio. Stesso trattamento riservato anche al dio Zidane, che nel pieno della semifinale con il Portogallo aveva platealmente sfanculato l'arbitro, probabilmente già conscio che a lui era concesso quello che al resto dell'umanità, specialmente se italiana, viene del tutto negato. Che pena. Ma - anche - che sollievo per aver avuto la conferma che il calcio, oltre a non essere uno sport per signorine, non lo è neppure per i tromboni della ghenga di Blatter, quel curioso personaggio che da tre secoli spadroneggia ai vertici del calcio planetario sbandierando atteggiamenti da dama di carità che fa finta di stupirsi perché i giocatori in mezzo al campo si mandano a quel paese e utilizzano strofe di Petrarca per descrivere le mamme e le sorelle degli avversari, e nel frattempo gestisce il baraccone miliardario della pelota con metodi più consoni a Tony Soprano che a quelli di un manager del terzo millennio. E poi ci lamentiamo di Moggi e Pairetto... Adesso saranno contenti, Blatter e il resto della congrega dei sepolcri imbiancati della Fifa: hanno fatto vedere che sono dei signori pieni di indignazione, hanno ribadito che se in campo dici le parolacce san Luigi piange, faranno scontare la squalifica al mite Zizou con lavori socialmente utili con i bambini dove si dimostrerà quanto è candido l'orgoglioso paladino delle minoranze oppresse (mentre a quel cialtrone di Materazzi lo manderanno a spurgare le fogne di Calcutta) e, infine, hanno detto a tutti che il calcio è vietato agli sporchi, ai brutti e ai cattivi. Dimostrando di non capirne niente, di calcio, e di non averci mai neppure giocato. Perché vendere una partita fa parte - per quanto faccia schifo - della storia del pallone, punire un campione del mondo per un "vaffa" allo stesso modo di uno che prende a craniate gli avversari è solo la parodia del migliore dei mondipossibili che, come noto, è da sempre regno dei cretini.


Chi grida abbasso l'Italia se ne vada all'estero di ANNA CORRADINI PORTA
Non so voi, ma io non ne posso più di sentir parlare male dell'Italia. Sono profondamente offesa. Che un qualunque cretino di francese, di tedesco, di inglese, possa permettersi di darci dei mafiosi, dei parassiti, dei vigliacchi. Sono profondamente offesa che i giornali stranieri ci infilzino troppo spesso con titoli così umilianti che se fossimo ancora ai tempi dei duelli, andrebbero lavati nel sangue. Ma soprattutto sono profondamente offesa che ci siano italiani che parlano male dell'Italia. Perché? Cosa vi ha fatto questo Paese? Questa è la terra dove siamo nati, dove sono nati i nostri genitori, dove sono seppelliti i nostri morti. Questa è la terra della nostra storia. Dove scorre la nostra vita. L'Italia che lasceremo ai nostri figli. In quale altro Paese vorreste essere? Dove se non qui, dove siete nati, vorreste vivere? ::: Non posso dimenticare, e son passati alcuni mesi, una frase pronunciata da Rossana Rossanda del Manifesto, durante un'intervista con Fabio Fazio: «Posso vantarmi di non aver mai pronunciato viva l'Italia ». Complimenti signora! Mi spieghi perché. Cosa le ha fatto questo povero Paese? Cosa non le ha dato? Mi viene in mente la famosa frase pronunciata da John Fitzgerald Kennedy in occasione del suo insediamento a presidente degli Stati Uniti. Incalzò gli americani con queste parole: «Non chiedetemi cosa l'America farà per voi, ditemi voi cosa farete per l'America ». Ha capito signora Rossanda? Lei cosa ha fatto per l'Italia ultimamente? So che è stata nella Resistenza sessant'anni fa, la ringrazio, nessuno lo dimentica, ma un po' di resistenza ci vorrebbe ancora oggi, l'Italia ne ha bisogno, ci attaccano da tutte le parti. ::: Lo stesso discorso vale anche per Sandro Curzi che, intervistato dalla televisione in occasione dei Mondiali di calcio, ha detto: «Sono qui a Parigi nel mio piccolo appartamento, davvero piccolissimo, però nel Marais e sono pronto ad alzarmi in piedi per l'inno francese...». Complimenti a lei signor Curzi. Si sarebbe alzato anche per l'inno italiano? Per quel Fratelli d'Italia che gli intellettuali, soprattutto di sinistra, irridono perché non ha un testo intelligente? Ma chi se ne frega del testo, è il nostro inno, è l'inno della riscossa, dovremmo ascoltarlo come gli americani ascoltano il loro, con la mano sul cuore. Ma non è così e solo da poco, grazie a Ciampi, abbiamo ricominciato a rispettare la bandiera, a pronunciare la parola patria senza vergognarci. ::: Voi che siete grandi giornalisti, rispettatissimi intellettuali, mettetevi dalla parte dell'Italia. Perché nessuno mai dice qualche buona parola per il nostro Paese? Perché quelli che hanno voce in capitolo, che sono seguiti e ascoltati a destra come a sinistra, non trovano qualche buon motivo per essere orgogliosi? Oggi per difendere l'Italia possono bastare le parole, in passato per difenderla ci sono voluti milioni di morti, tanti ragazzi coraggiosi che si sono immolati per il loro Paese, per il nostro Paese, spesso protagonisti e vittime di atti eroici. Morivano gridando viva l'Italia. Noi non siamo neanche capaci di dirlo seduti nei nostri salotti. E poi non dimentichiamo che più sputiamo sul nostro Paese, più all'estero si sentiranno autorizzati a offenderci, a considerarci una Italietta della quale si può dire di tutto. Chi ha risposto all'insulto, mi sembra proprio del quotidiano radical chic Le Monde, che sempre nei giorni dei Mondiali ha titolato, alludendo a noi: "La mafia in finale"? Allora, per favore, smettiamola di farci del male. Basta! E a tutti quelli che hanno intenzione di continuare a massacrare il Paese, dico: se non vi piace l'Italia, andatevene.

D'Alema e Prodi al club di Zapatero «Fermiamo Israele»
Mentre lo spagnolo posa con la kefiah, i nostri incontrano politici di Beirut e condannano le azioni di Tel Aviv
ROMA La sinistra europea ha deciso da che parte stare. Con i palestinesi. E contro Israele. E a simbolo di questa scelta di campo si può prendere il premier spagnolo Jose Luis Zapatero, che ieri si è fatto fotografare con una kefiah sulle spalle. L'immagine, scattata durante il festival della gioventù socialista ad Alicante, è stata molto criticata dagli esponenti del partito popolare, mentre il ministro degli Esteri, Miguel Angel Moratinos, ha difeso il suo presidente del consiglio spiegando che «le accuse di antisemitismo nei confronti di Zapatero sono infondate e intollerabili». LA SINISTRA EUROPEA È CONTRO ISRAELE In Italia nessuno ha indossato materialmente la kefiah, ma da quando è scoppiata la crisi in Libano il centrosinistra ha scelto di stare ancora una volta contro Israele, attirandosi le critiche della comunità ebraica, specialmente degli ebrei che votano per l'Unione. Del resto basta vedere come le parole di Massimo D'Alema sulle «reazione spropositata di Israele» siano state apprezzate da Oliviero Diliberto e Franco Giordano, mentre al ministro degli Esteri sono arrivare le critiche dei moderati della Margherita e del suo stesso partito. Poco importa se poi Piero Fassino partecipa alle fiaccolate pro-Israele perché poi, almeno in politica estera, sono i massimalisti a dare la linea ai riformisti. Con Romano Prodi e Francesco Rutelli che, almeno sul fronte della politica internazionale, sono costretti a lasciare il pallino in mano a D'Alema. Un D'Alema anti-israeliano nonostante il fatto che il ministro della Difesa di Gerusalemme nonché leader del Labour faccia parte insieme a lui dell'Internazionale socialista. Ieri intanto il Professore e il ministro degli Esteri hanno ricevuto Saad Hariri, leader del partito libanese "Future movement", figlio del premier Rafik Hariri assassinato a Beirut il 14 febbraio 2005. E proprio l'omicidio di Hariri, di cui non si conosce ancora il colpevole, anche se i sospetti vertono su Damasco, scatenò una serie di manifestazioni anti-siriane, "la rivoluzione dei cedri", che costrinse Damasco a ritirare le proprie truppe dal Libano. «L'Italia è pronta a partecipare all'apertura di un corridoio umanitario tra Libano e Cipro per consentire l'afflusso di consistenti aiuti alla popolazione libanese», ha detto D'Alema durante l'incontro con Saad Hariri. Ipotesi avanzata anche da Bruxelles, dove la presidenza dell'Ue fa sapere che «i corridoi sono necessari per far fronte all'emergenza e per permettere l'accesso agli aiuti per la popolazione in grave difficoltà», mentre la commissione Ue ha stanziato aiuti per 10 milioni di euro per il Libano. LA VISITA DI HARIRI D'ALEMA FORSE A BEIRUT D'Alema poi ha parlato anche della possibilità di una sua visita a Beirut. «Se il primo ministro mi invitasse potrei andare, ma per ora in preparazione non c'è niente. Però non vogliamo lasciare nulla di intentato per dare un contributo sul fronte umano e politico. Bisogna difendere l'integrità del Libano, perché la sua disgregazione sarebbe un brutto colpo anche per Israele. Anche per questo abbiamo invitato il governo di Gerusa lemme alla moderazione», ha precisato D'Alema. A chiamare in causa l'Italia è stato proprio il primo ministro libanese Fuad Siniora che, in un'intervista al Corriere, ha chiesto la mediazione dell'Italia per la soluzione del conflitto, esprimendo fiducia per un ruolo di "facilitatore" da parte di Prodi. Hariri ha confermato la richiesta di aiuto all'Italia e all'Europa affinché «il sogno libanese non finisca». «Noi siamo l'unica democrazia moderata del Medio Oriente», ha detto Hariri, «gli unici a com battere il fondamentalismo, per questo dovete aiutarci. Hezbollah ha sbagliato a rapire i soldati israeliani, ma Gerusalemme ci sta scatenando contro una guerra che noi non abbiamo voluto. Per mettere fine al conflitto serve una soluzione globale». Infine, secondo D'Alema l'invio di truppe di pace in Libano non è un'ipotesi ravvicinata: «Non siamo ancora la vigilia della partenza dei caschi blu. La situazione è ancora molto complessa». ANDREA VALLE IN VISITA A ROMA FIGLIO DEL PREMIER Saad Hariri è il figlio dell'ex premier libanese Rafik Hariri, Assassinato nel 2005 e protagonista della ricostruzione del Libano dopo la guerra civile. Proprio il suo omicidio scatenò una serie di manifestazioni anti-siriane che costrinsero Damasco a ritirare le proprie truppe dal Libano. AMICO DI CHIRAC Rafik Hariri ha assunto per la prima volta la guida del governo nel '92 ed è quasi sempre stato primo ministro, con un intervallo di due anni fra il 1998 e il 2000. Hariri ha sempre coltivato importanti amicizie internazionali, fra cui il presidente francese Jacques Chirac.

La meglio gioventù
Intervistato dalla Stampa di Torino, Daniele, 28enne militante dei centri sociali milanesi scagionato di fresco per i fatti di corso Buenos Aires a Milano, ci informa di essere sicuro dell'innocenza di tutti i suoi compagni. Il motivo è semplice: «Chiunque sia antifascista è innocente». E ancora: «Combattere i fascisti è compito di tutti». «Dopo questa sentenza», aggiunge, «chiunque vada in piazza rischia di essere denunciato». Comprendiamo lo stato d'animo di Daniele. A Milano ieri c'erano 38 gradi, un colpo di sole può capitare a chiunque. Meno comprensibile l'insensibile che ha strappato il giovane dalla sua fresca e ben areata cella a San Vittore.

Quei libanesi sciiti e anti-israeliani in piazza a Milano
Riceviamo e pubblichiamo: Spett.le Direzione, a proposito del vostro articolo del 19/07/2006, riguardante il presidio in piazza Velasca della comunità libanese organizzato dalla A.S.R.I Onlus contro l'aggressione israeliana in Libano non sono vere per nulla e non riflettono la realtà. Il Consolato generale del Libano dichiara che tutto quello che è stato scritto nll'articolo non è vero in quanto il consolato generale è al servizio di tutti i cittadini libanesi senza distinzione. Il console generale del Libano HASSAN NAJEM Smentisco in modo categorico di aver mai dichiarato a Libero di essere stata chiamata dal Consolato del Libano a partecipare alla manifestazione tenutasi a Milano il 18.07.2006 e chiedo rettifica per essere stata inclusa nel novero dei cosiddetti "amici dei terroristi". NAYDI NACHAR Perché smentire, quando è ovvio che il presidio del mattino di martedì 18 intendeva controbilanciare quello di solidarietà a Israele, svoltosi nel pomeriggio? Molti libanesi residenti in Italia non sono stati invitati. Era una protesta di parte, sulla quale molti riconoscono il marchio del partito (ex milizia) sciita Amal. Quanto alla signora Naydi Nachar, ripeto quel mi ha dichiarato in pubblico: «Siamo stati chiamati dal Consolato». Nella cronaca non è etichettata come "amica dei terroristi". A.M.


«Cari pacifisti, finalmente vi schierate con noi»
ROMA «Cari pacifisti, benvenuti. Per ultimi». Nel senso che dopo cinque anni passati a urlare nelle piazze contro la guerra senza "se" e senza "ma", attacca Carlo Giovanardi, adesso che sono al governo fanno esattamente come il centrodestra: votano a favore delle missioni militari all'estero. Comprese quelle in Afghanistan e Iraq per cui prima manifestavano. «Ora paghino il dazio di questa denuncia pubblica della loro inaffidabilità e doppiezza», aggiunge il deputato dell'Udc, che per l'occasione a Modena ha fatto stampare un manifesto in cui sopra la bandiera arcobaleno compare un ironico "ben arrivati" indirizzato al popolo "no war". «Anche se ultimi, finalmente ci danno ragione». Onorevole Giovanardi, che effetto le ha fatto vedere l'Unione votare a favore delle missioni all'estero? «Hanno perso sia la credibilità che la faccia. Per cinque anni non solo hanno votato contro, ma hanno addirittura cavalcato un movimento pacifista. Da un certo punto di vista apprezzo di più i dissidenti di Rifondazione comunista. Almeno hanno salvato l'anima». Chi ne esce peggio? «Per Rifondazione comunista, Comunisti italiani e Verdi votare per la continuità della politica estera italiana significa tradire la loro base elettorale. Io sono agli antipodi rispetto a Gino Strada, ma ha ragione da vendere quando dice "scusate, ma voi ieri insieme a me non vi battevate contro la violazione dell'articolo 11 della Costituzione? E adesso perché fate esattamente come il governo Berlusconi?"». Una differenza, a sentire il centrosinistra, resta: dall'Iraq si torna il prima possibile. «Mi scappa da ridere. Il ministro Martino aveva annunciato in Parlamento che il contingente italiano sarebbe rientrato entro l'anno, vale a dire entro il 31 dicembre. L'Unione, invece, ha spiegato che i nostri militari al più tardi torneranno a casa entro la fine dell'autunno, cioé entro il 20 dicembre. La differenza tra il nostro programma e il loro sono undici giorni. E poi c'è un altro aspetto». Quale? «Nella passata legislatura hanno sempre preteso e ottenuto di votare separatamente le due missioni per sottolineare la natura diversa delle operazioni. Per noi, invece, andavano votate tutte insieme perché erano sempre missioni di pace. Che hanno fatto adesso che sono al governo? Hanno votato un unico testo dandoci ragione anche su questo: le missioni in Iraq, Afghanistan e nei Balcani hanno tutte la stessa natura». All'orizzonte si profila - parole del premier Romano Prodi - l'invio di una forza di interposizione, italiani compresi, al confine tra Israele e Libano. Perché ora che c'è di mezzo lo Stato ebraico i militari vanno bene? «Siamo sempre ai due pesi e due misure. Del resto quelli che si oppongono all'intervento in Iraq sono gli stessi che hanno spedito gli aerei italiani a bombardare la Serbia». Si riferisce a Massimo D'Alema, allora Presidente del consiglio? «Anche ad Oscar Luigi Scalfaro. Il presidente della Repubblica avallò l'entrata in guerra dell'Italia. I nostri aerei fecero esattamente quello che stanno facendo in questi giorni gli aerei israeliani in Libano. Poi si è scagliato per anni contro la nostra presenza in Iraq per la ricostruzione del Paese». TOMMASO MONTESANO Il manifesto diffuso da Giovanardi

Israele apre ai soccorsi umanitari
Olmert d'accordo con il "corridoio" per gli aiuti proposto da D'Alema, ma non esclude un'offensiva terrestre
BEIRUT Cessata la fase più acuta dei bombardamenti, Israele non si oppone all'idea di aprire un corridoio umanitario fra il Libano e Cipro per inviare aiuti alla popolazione libanese. Era stato il ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema ad avanzare questa proposta. Il premier israeliano Ehud Olmert, accettandola, ha aggiunto: «Servirà anche per evacuare gli stranieri in fuga dal Libano». Passi avanti che non sembrano sufficienti al segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, che ha chiesto ieri nuovamente l'immediata cessazione delle ostilità fra Israele e Libano per «evitare una ulteriore perdita di vite innocenti e ulteriori sofferenze», riconoscendo il diritto di Israele a difendersi, ma denunciando anche «un uso eccessivo della forza» da parte dello Stato ebraico. Reagisce l'ambasciatore d'Israele al Palazzo di Vetro, Dan Gillerman: «Senza la citazione del terrorismo non c'è soluzione alla situazione». In più, è stata omessa la citazione di «due Paesi che costituiscono l'asse portante del terrore», ma per Gillerman «se si vuole mettere fine al terrore bisogna chiamare in causa Siria e Iran». E ora, mentre la diplomazia arranca alla ricerca di una soluzione, il Pontefice torna a prendere l'iniziativa. Domenica prossima, invita «i Pastori ed i fedeli di tutte le Chiese particolari come tutti i credenti del mondo ad implorare da Dio il dono prezioso della pace» con una giornata speciale di preghiera e penitenza . Il Papa affida a una nota della Santa Sede l'auspicio «che la preghiera si elevi al Signore, perché cessi immediatamente il fuoco tra le parti, si instaurino subito corridoi umanitari per poter portare aiuto alle popolazioni sofferenti e si inizino poi negoziati ragionevoli e responsabili, per porre fine ad oggettive situazioni di ingiustizia esistenti in quella regione». «In realtà - conclude la nota vaticana - i Libanesi hanno diritto di vedere rispettata l'integrità e la sovranità del loro Paese, gli Israeliani hanno diritto a vivere in pace nel loro Stato ed i Palestinesi hanno diritto ad avere una loro Patria libera e sovrana». Ma il ministro della Difesa israeliano Amir Peretz non esclude un'offensiva di terra nel Paese dei Cedri, dichiarando: «Se avremo bisogno di intraprendere azioni per riaffermare la nostra determinazione a portare avanti, se ne cessario, qualsiasi misura, le adotteremo senza esitare». Peretz, che parlava durante una visita nelle regioni settentrionali di Israele duramente colpite dai razzi katyusha sparati dagli Hezbollah, ha precisato: «Non abbiamo alcuna intenzione di rioccupare il Libano ma, allo stesso tempo, non intendiamo indietreggiare dinanzi alla necessità di adottare qualsiasi tipo di operazione militare». Nemmeno ieri la capitale libanese è stata risparmiata dai bombardamenti contro le sedi dei terroristi, come rappresaglia contro il lancio di razzi sul territorio dello Stato ebraico. Intanto proseguono gli scontri, in particolare nella regione di frontiera di Marun al Ras, tra Israele e il Libano, dove secondo la tv Al Jazeera, gli Hezbollah tengono sotto assedio 9 soldati israeliani, dopo averne uccisi tre e feriti altrettanti. Infine un "giallo" a Beirut, dove 2 giornalisti televisivi britannici, in un primo momento, sembravano essere stati sequestrati da Hezbollah. In realtà, li aveva fermati la polizia, rilasciandoli poche ore dopo perché sospettati di spionaggio. I due reporter, Dave Masono e Richard Gaisford, che lavorano per l'emittente, Gmtv, erano stati bloccati mentre filmavano il parco pubblico di Sanayeh. ANDREA VALLE ARRIVANO I MARINES I marines sono sbarcati sulla spiaggia a nord di Beirut e con l'ausilio dei soldati libanesi hanno trasferito 1.052 cittadini statunitensi, compresi molti bambini, sull'unità da trasporto Nashville, che ha fatto rotta verso Cipro ap

Gay e lesbiche mettono paura a Veltroni
�?��?��?� La paura di mettersi contro il popolo degli omosessuali ha fatto correre il sindaco ai ripari. Ecco i fatti. Ieri pomeriggio Imma Battaglia, presidente di "Di Gay project onlus" fa sapere, in una lunga lettera indirizzata al primo cittadino, Walter Veltroni e al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che il Gay Village, luogo di ritrovo della comunità omosessuale romana e non solo, da questa sera avrebbe chiuso spontaneamente i battenti. Per questioni di orario, ufficialmente, per discriminazione ufficiosamente. CARO WALTER Tre pagine nelle quali l'ex presidente del Circolo omosessuale Mario Mieli spiega a Veltroni e Napolitano che l'amministrazione romana «non concede il prolungamento dell'orario di chiusura dall'una e mezza alle ore 3. Problema che si ripete di anno in anno». Come se non bastasse, ai problemi di chiusura si aggiungono le continue proteste del pubblico, «costretto ad andare via in orari poco consoni a quella che nei fatti è una vera e propria discoteca», ma, soprattutto, i continui controlli dei vigili urbani che, come spiega Battaglia, «procedono a sanzionare pesantemente ogni minimo sforamento». È chiaro, la Battaglia parla senza mezzi di termini di «grave situazione di ingiustizia e discriminazione». Proprio perché, aggiunge, «la comunità omosessuale soltanto a Roma, comprende oltre 300mila persone, non ha un luogo riconosciuto di aggregazione e servizi». L'INDOTTO Di più. Gay Village, che piaccia o meno, crea un indotto di un milione e mezzo di euro e rappresenta un'opportunità di lavoro per oltre 250 persone, tra lavoratori diretti o indiretti (partner e società fornitrici di beni e servizi) che beneficiano del successo dell'evento e che oggi vedono messa a rischio la loro posizione a causa di una grave discriminazione». L'AMMUINA Nella lettera , poi, la Battaglia torna sul vecchio problema della location. Il gay village ogni anno cambia posto: prima al Mattatoio, poi Caracalla e adesso all'Eur. Una scelta, quella del laghetto dell'Eur, motivata, secondo Battaglia, «dalla volontà di collaborare con il Gabinetto del sindaco, per ridurre al minimo l'impatto sulla città». Ma ai continui trasferimenti si aggiungono le spese: il Gay Village - pur avendo vinto un bando pubblico che dà diritto ad un area comunale - per ovviare alla penuria di spazi ha preso in affitto l'area privata del Parco delle Cascate dell'Eur, data in concessione dall'Ente Eur a Roma Concerti, «caricandoci», ha chiarito l'ex presidente del circolo Mario Mieli, « un onere di 144.000 euro». GRILLINI CONTRO VELTRONI Attendendo una mossa del Campidoglio, nel pomeriggio al Gay Village giunge anche la solidarietà di Franco Grillini deputato Ds, che trovando «assurdo che l'amministrazione locale non conceda il prolungamento dell'orario di chiusura al Gay Village, visto che ha preteso lo spostamento della manifestazione in un'area diversa rispetto», invita Veltroni a « maggiore attenzione ai problemi in questione». LA MARCIA INDIETRO Alle 20 circa la svolta dal Comune arriva un comunicato. «Il Campidoglio», si legge, «riconoscendo il grande valore cultu rale e sociale del Gay Village è d'accordo con il prolungamento dell'orario di chiusura della manifestazione stessa sino alle 3 come richiesto dagli organizzatori. Nella giornata di oggi grazie, alla collaborazione tra il Gabinetto del Sindaco e la Questura di Roma, si è finalmente riusciti ad ottenere il nulla osta affinché questo sia possibile. Il parere di nulla osta espresso dalla Questura è stato trasmesso al Municipio XII per la valutazione di merito. Non appena queste valutazioni saranno espresse, il Dipartimento IV è pronto a rilasciare l'autorizzazione al prolungamento dell'orario». Se le promesse saranno mantenute da domani il Campidoglio avrà un bel da fare a rilasciare permessi a quanti, sino ad oggi, si sono sentiti dire di no. Potere delle lobby. CHIARA PELLEGRINI


Confalonieri: «Vogliono farci male»
ROMA Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, resta convinto che «a farci male qualcuno ci pensa». «E a Romano Prodi - dice - non dispiace poter fare qualche dispetto a Berlusconi». Confalonieri boccia anche l'idea di fare adesso una grande coalizione con Ds e Forza Italia perché «ora sarebbe un inciucio». Poi guardando alla Cdl incalza: «Chi vuol essere leader si faccia avanti, se Fini e Casini sono così bravi, vengano fuori». Inoltre il presidente di Mediaset ha ribadito la posizione dell'azienda sulla bocciatura della Commissione europea sulla legge Gasparri che ridisegna il sistema radiotelevisivo. «Si sono tutti scandalizzati - ha detto Confalonieri a margine della relazione annuale dell'Autorità garante delle telecomunicazioni - ma la decisione di Bruxelles non riguarda la Gasparri. Riguarda invece il trading delle frequenze, che era già stato consentito dalla legge 66/2001 approvata dal governo Amato». Mercoledì la Commissione europea aveva approvato l'avvio della procedura di infrazione contro l'Italia con una lettera di messa in mora che chiede chiarimenti sulla legge Gasparri. Secondo l'autorità di Bruxelles, c'è il rischio che le posizioni dominanti di Rai e Mediaset nell'analogico si ripropongano anche nel nuovo sistema televisivo basato sul digitale.


L'azienda Italia vola: sconfitti i declinisti
Prodi & C. parlavano di «situazione disastrosa» e di «rischio tracollo» ma la produzione industriale sale del 12,2%
MILANO Tommaso Padoa Schioppa: «L'Italia è un Paese con il conto del reddito in rosso e fortemente indebitato». Vincenzo Visco: «Siamo nella dimensione del declino possibile, che va incontro a un lento impoverimento. Bisogna evitare di finire così e bisogna essere consapevoli di questo rischio per non finire come Venezia che continuò a fare le feste finché Napoleone la prese senza sparare un colpo». Citazioni storiche a parte, a leggere i dati diffusi nelle ultime settimane da Istat e Bankitalia, sembra che i due rappresentanti del ministero dell'Economia vivano in un Paese che non è l'Italia. O forse sono rimasti aggrappati agli slogan declinisti della campagna elettorale: «Non arriviamo a fine mese», «i conti pubblici sono al collasso», «il governo Berlusconi ha portato la recessione». Solo ieri si è scoperto che il fatturato dell'industria a maggio è salito del 12,2% rispetto allo stesso periodo del 2005 e un +3,3% su aprile. Ma soprattutto sono gli ordinativi che hanno letteralmente preso il volo: +16,1% (ad aprile si era registrato un +9,7%). La variazione più alta da ottobre 2000 (+18,4%). Chiaramente questi numeri sono figli della politica economica del governo di centrodestra, visto che l'Unione è sbarcata a Palazzo Chigi a fine maggio. Ma perché allora Visco parla di «declino possibile»? E dire che pure i conti pubblici sono nettamente migliorati. Anche qui non certo per merito di Prodi, visto che, da quando è in carica, ha soltanto varato tre decreti. Allora non resta che una spiegazione: la sinistra non può ammettere di aver sbagliato. Rileggendo infatti le dichiarazioni pre-elettorali dei leader ulivisti emerge scenario opposto a quello che poi hanno trovato al governo. «Dopo mesi di accuse che si rivelano ora ingiustificate - aveva chiesto l'ex ministro Giulio Tremonti - mi aspetto un Ballarò di scuse». Eccole le accuse. Quattordici marzo 2006. Prodi: «L'enorme quantità di condoni ha portato notevoli irregolarità nel sistema tributario, abbiamo un bilancio in situazione disastrosa». Primo aprile. Sempre il Professore: con il governo Berlusconi c'è stato un «sostanziale azzeramento dell'avanzo di bilancio». Tre aprile: «Il centrodestra ha perso il controllo della spesa pubblica... hanno buttato 40 miliardi». Ventidue maggio. Tommaso Padoa Schioppa: «I conti pubblici sono tornati a livello dei primi anni '90, quando l'Italia rischiò il tracollo». Peccato che i dati diffusi due settimane fa dal Tesoro, riferiti ai primi cinque mesi del 2006, dipingano una situazione completamente opposta. E cioè: a maggio le entrate tributarie dello Stato sono cresciute del 16,3%, superiori per 4.190 milioni a quelle del maggio 2005. Non solo. Da inizio anno sono state accertate entrate per 133.004 milioni di euro (+10,6 miliardi, pari a un +8,7%). Che dire? «Quante balle hanno raccontato agli italiani», aveva commentato Francesco Storace di An. Anche sull'industria il leitmotiv era catastrofista. Bersani, 13 febbraio: questi 5 anni «di recessione sono passati senza che il governo facesse un solo cenno». Nove marzo, Prodi: «Dobbiamo uscire dal buco in cui siamo». Un mese fa, Padoa Schioppa: «L'industria italiana continua a perdere terreno rispetto all'area euro». Smentiti. Come era accaduto per le entrate, in particolare sull'Iva, che da gennaio a maggio ha fatto arrivare nelle casse dello Stato 41,305 miliardi (+9,4%). Un dato che messo assieme a quelli industriali testimonia la ritrovata crescita dell'azienda Italia. Tutto merito di Berlusconi e Tremonti. E pensare che qualcuno parlava di rischio Argentina. GIULIANO ZULIN FORTUNATO Che fortuna per il presidente del Consiglio, Romano Prodi: ha incontrato la ripresa economica

Legali in sciopero E sui conti correnti la chiusura è gratis
Tocca agli avvocati. Saranno loro oggi che, in sciopero, sfileranno a Roma contro il decreto Bersani. Sperano di ottenere il risultato raggiunto dai taxisti: dopo i blocchi il provvedimento sulle liberalizzazioni è stato smontato. Un'operazione cominciata anche in Parlamento. Ieri infatti la commissione Bilancio di Palazzo Madama ha approvato l'emendamento presentato dall'esecutivo sulla variazione dei tassi dei conti correnti bancari. Una modifica votata anche da una parte dell'opposizione. È passato anche un emendamento della Cdl che obbliga gli istituti di credito a comunicare con evidenza al cliente le variazioni unilaterali contrattuali e ad avvisarlo che altre banche potrebbero aver variato i tassi: sia quelli debitori che creditori. Non da ultimo è stato approvato dal Senato anche una norma che permette al cliente di recedere dal contratto senza pagare penalità e senza spese di chiusura. Quindi via libera alla libertà di conto corrente. Forse l'unica vera liberalizzazione.


Hanno liberalizzato le farmacie per creare il monopolio delle coop
di FRANCESCO FORTE Chiamatela pure liberalizzazione dei farmaci da banco ed automedicali. Io questa liberalizzazione pelosa la chiamo "favore monopolistico alla grande distribuzione della Lega delle cooperative". Che lo sia, lo si capisce benissimo, perché le Coop sono in festa. Dichiarano che son pronte a vendere la aspirina (o meglio un prodotto equivalente, perché il nome "aspirina" è della Bayer) scontata, col proprio marchio, facendola fabbricare da case minori a ciò interessate. Nulla da obbiettare sulla libertà delle coop di vendere aspirina, Benagol, pillole per digerire e antidolorifici, se non han bisogno di ricetta medica. E quindi so no comuni derrate, per il cui uso basta il foglio illustrativo. Ma perché stabilire che il negozio che vende queste merci, comprabili da chiunque, senza rischio, senza ricetta, possa farlo solo tramite un farmacista, laureato e iscritto all'ordine professionale dei farmacisti, ancorché operante nel supermarket? I casi sono due: o queste sono merci che, non avendo bisogno di ricetta del medico, sono comprabili, a piacere, da tutti e allora non si capisce perché a porgerle ci debba essere un farmacista iscritto a un ordine, oppure queste merci, in quanto farmaci, non possono essere comprate da tutti liberamente e allora o ci vuole la ricetta medica o ci vuole un qualche sistema restrittivo, co me la vendita in appositi locali, quali le farmacie. Tertium non datur, come usa scrivere Vittorio Feltri nei suoi articoli (e mi scuso con lui, del plagio, visto che si può plagiare anche la veneranda aspirina). Ma è chiaro. L'obbligo del farmacista rende difficile a una drogheria o a un tabaccaio di vendere l'aspirina o l'analgesico, come accade nei Paesi di vera liberalizzazione. Questa regola, apparentemente liberista, è pelosa: favorisce i supermercati rispetto alla piccola distribuzione e in particolare le Coop, che possono permettersi farmacisti, perché hanno la catena distributiva più grossa, coordinata dalla Lega delle Coop, con relativa assicurazione (Unipol), banca (Unipol Banca) etc. Dunque s'intacca un monopolio per rafforzarne un altro. Ma questa norma che obbliga a tenere il farmacista iscritto all'ordine per vendere un bene che chiunque può comprare, senza limiti, appare illegittima e suscettibile di ricorsi agli organi giudiziari italiani ed europei. Infatti lo stesso decreto Bersani abroga, in quanto discriminatorie, tutte le regole che limitano la lista di beni vendibile nei vari esercizi commerciali o che richiedono particolari titoli di studio per vendere tali beni, salvo per le merci pericolose. Dunque il decreto imponendo un farmacista per vendere beni di libero uso "che non hanno bisogno di ricetta" introduce una discriminazione vietata dallo stesso decreto, in via generale, in un'altra norma. Se non ci vuole la laurea in lettere per vendere i libri, perché ci vuole la laurea in farmacia e l'iscrizione all'ordine per stare nel supermarket a vendere Benagol? E poi perché occorre un farmacista e non un laureato in medicina o in scienze biologiche? Che cosa si vuol dimostrare con questa limitazione? Forse si vuol far supporre che quel bancone di supermarket è "come una farmacia, pur non essendolo": e che, quindi, bisogna avere fiducia nelle merci a prezzo scontato, simili a quelle che si trovano "nella vera farmacia". Un po' come quando si vendevano le auto con le pinne, per dare l'idea che fossero "aereo dinamiche", come gli aerei. Nessuna obiezione, ma allora si consenta, agli altri esercizi, di vendere questi beni, senza farmacista iscritto all'ordine. O c'è libera concorrenza o no.


Mastella: modifiche al decreto Bersani
Clemente Mastella interviene ancora sul decreto di riforma delle professioni, materia di sua competenza. «Il mio suggerimento è quello di pensare ad alcune modifiche degli articoli 2 e 21», ha detto il ministro della Giustizia, «le prime riguardano le tariffe professionali, le seconde le spese di giustizia».


Serve un'opposizione come quella contro Berlusconi
di CARLO TAORMINA Io penso che Berlusconi l'abbia capito, ma lo deve anche dire, subito e con forza. Non c'è tempo per attendere i risultati delle consultazione e delle riflessioni di Villa Certosa. La gente è disorientata, non sa a cosa credere, è rincorsa dalle più disparate e contraddittorie voci, da quella dello scioglimento di Forza Italia a quella del grande inciucio con la sinistra, attende il segnale del Leader e non sentendo nulla, si guarda intorno, anche perchè le sirene non mancano in tempi di così risicata maggioranza. La mattina ti svegli con il pensiero che Napolitano sia anche il tuo presidente; che il Parlamento debba avere al suo vertice il leader dei Caruso e degli Agnolotto; che tra le prime cose fatte da questa maggioranza ci sono state la grazia all'assassino di Calabresi e la elezione di un assassino brigatista rosso a segretario della Camera; che a commercianti e professionisti si sta tagliando la testa perché hanno votato Berlusconi; che devi essere rappresentato da un governo antiamericano e favoreggiatore dei terroristi, si tratti dell'islam integralista o della cosca criminale palestinese. Quando, poi, la mattina sei assalito dall'idea di dover vedere la faccia del "puffo nazionale" che telefona ad Ahmadinejad per chiedergli aiuto a risolvere la crisi mediorientale da lui stesso provocata, non solo passa la voglia di cominciare la giornata, ma viene quella di andarsene da questo Paese. È vero che queste tristezze possono persino fare crescere un consenso verso Berlusconi e Forza Italia, come suol dirsi, per demerito altrui. È anche vero che, per una certa parte, la gente liberale si merita questo sprofondo perché l'ha decretato con il suo voto e con l'idea di far pagare alla vecchia maggioranza i non pochi errori compiuti. Ma la cosa più importante è che stiamo rischiando di crescere e morire nel comunismo, ma in quello vero, perché c'è da temere, più dagli scontri, il trasformismo di stampo leninista dei Bertinotti e dei Diliberto che votano a favore delle truppe in Afghanistan per non creare pericoli al governo. È necessario che Berlusconi colga subito, non oltre domani, questa situazione magica perché pur nello sconcerto, c'è indomita volontà di riscatto della gente liberale dalla bruciante sconfitta. Per fare questo, sono necessarie due cose. Occorre rompere gli indugi dando a Forza Italia una missione aggressiva, decisa, e capace di esaltare le grandi idealità privilegiando forti temi etici accanto agli ineludibili problemi economici. Ed è un modulo operativo, questo, che esige uno scossone organizzativo sui territori ed un repulisti che porti a scegliere messaggeri che abbiano facce presentabili e nuove. Parallelamente, deve essere non soltanto attuata ma fatta sentire la pratica di una opposizione senza sconti, dura, aggressiva, esattamente speculare a quella che la sinistra ha fatto contro di noi e che l'ha fatta vincere. Bisogna stare attenti anche ai gesti simbolici: è male dare del bipartisan ad un Napolitano che sta, invece, sottilmente facendo il gioco dei comunisti; è male dare del liberal a Bertinotti che ha perso il pelo ma non il vizio; è male, anche se giusto, voler venire in soccorso del governo sul rifinanziamento della missione in Afghanistan. Questi sono brutti segnali perché chi ha votato Berlusconi, in questo momento, vuole solo che egli torni a Palazzo Chigi, utilizzando sistemi tanto duri quanto legali. Squilli, dunque, la voce forte e chiara di Berlusconi, perché tutti sappiano che è tornato il condottiero di sempre. Ma lo faccia prima delle vacanze agostane.


La presidenta rossa ha già stancato il Cile
Gaffes e rimpasti di governo, la Bachelet crolla nei sondaggi
SANTIAGO DEL CILE Michelle Bachelet, la prima "presidenta" del Cile (così viene chiamata qui), deve già affrontare una crisi profonda. I sondaggi segnalano una perdita di consensi vicina al 20%, gli studenti sono in piazza e l'Argentina raddoppia il prezzo del combustibile verso il Paese, tutto ciò mentre delinquenza e maltempo mietono troppe vittime. La stampa è compatta contro di lei, che ammette qualche errore di gestione e prende le prime contromisure, mandando a casa 3 ministri. Molti intellettuali e opinionisti già prevedono, più che una caduta del governo, una sconfitta elettorale del centrosinistra alle prossime elezioni, risultato che riporterebbe al potere la destra dopo 20 anni. Sono passati solo quattro mesi da quel pomeriggio del 11 marzo scorso, quando la prima presidenta del Cile percorreva le strade di Santiago tra due ali di folla e faceva infine il suo ingresso nel palazzo della Moneda. Fuori del palazzo, mentre Bachelet si preparava a tenere il discorso d'insediamento, il clima era quello di una grande festa: bandiere, coriandoli, cori, una folla esultante composta anche di bambini e anziani. Tutti si stringevano intorno alla nuova Presidenta, mentre la stampa celebrava la prima donna a capo del Paese e il suo stile innovativo di dialogo e attenzione ai cittadini, così come di lì a poco avrebbe celebrato il nuovo gabinetto, perfettamente paritario tra uomini e donne e con molte facce nuove. Ora la situazione è cambiata. E' arrivato l'inverno (qui siamo nell'emisfero australe) e pare essersi portato via, insieme al sole, tutto l'affetto che circondava la presidenta. Basta ascoltare le chiacchiere nei bar, leggere le scritte sui muri o più semplicemente comprare un giornale, qualsiasi giornale. Tutta la stampa che conta infatti è schierata all'opposizione, visto che da più di quindici anni, ossia dalla caduta di Pinochet, il Cile è governato dal centrosinistra della "Concertaciòn por la democracia", di cui Bachelet era candidata alle ultime elezioni contro il multimilionario Sebastian Pinera, candidato del centrodestra. La maggioranza dei cileni si innamorò dell'idea di essere governata da una donna., ma i ministri poco conosciuti non hanno fatto breccia nell'opinione pubblica e nessuno capisce bene in cosa consista il famoso "governo dei cittadini". La grande spallata alla Bachelet è arrivata da una recente indagine della Adimark, che parla di una perdita di consensi del 10,6% in 30 giorni e del 18% in due mesi. Due mesi in cui sono successe tante cose: gli studenti sono scesi in piazza in massa per chiedere la riforma di un sistema scolastico; il maltempo ha causato la morte di più di 20 persone nel Sud del Paese e l'Argentina di Nestor Kirchner, che partiva come grande alleato della Bachelet, ha raddoppiato il prezzo del combustibile. Questo aumento, unito alla svalutazione del dollaro, ha fatto schizzare alle stelle il prezzo della benzina e del gas per il riscaldamento. Tutto ciò in un periodo in cui i soldi dovrebbero esserci, visto che sui mercati mondiali il prezzo del rame (la principale materia prima del Paese) è triplicato. La sintonia con la gente sembra essersi notevolmente affievolita, e specchio ne è stato un episodio che ha molto colpito l'opinione pubblica: dopo gli ultimi violenti temporali, che hanno causato diverse inondazioni e una ventina di morti nel Sud del Cile, la presidenta si è recata a Chiguayante, una delle località disastrate. Durante il discorso che stava tenendo davanti alla telecamere, la figlia di un pompiere morto durante le operazioni di salvataggio si è rivolta commossa alla Bachelet chiedendole di andarsene e di permettere così che le macchine della protezione civile, fermatesi per il suo arrivo, potessero riprendere a lavorare. ALFONSO TAGLIAFERRI CHI È Figlia di un generale ucciso dagli ufficiali di Pinochet, ha militato da giovane negli ambienti della sinistra radicale, si è laureata in medicina in Germania; entrata in politica, si è conquistata la fiducia dell'ex presidente Lagos, che l'ha voluta come ministro della Salute e poi della Difesa OLY


Castro ospite d'onore in Argentina
BUENOS AIRES La delegazione cubana è arrivata con tre aerei e un ampio gruppo di agenti di scorta di Castro. Fidel è sbarcato ieri sera (alle 18 ora locale) nell'aeroporto di Cordoba, in Argentina, per la riunione del Mercosur, l'alleanza economica di Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela. Ospiti esterni all'alleanza saranno, con Castro, la presidentessa cilena Michelle Bachelet e il presidente boliviano Evo Morales. L'incontro di Cordoba avrà lo scopo di ufficializzare l'accordo economico tra Cuba e il Mercosur, ma sarà anche la prima riunione del blocco economi co con il Venezuela, l'ultimo socio annesso. Alla riunione parteciperanno i presidenti Nestor Kirchner (Argentina), Nicanor Duarte (Paraguay), Hugo Chavez (Venezuela), Luiz Inacio Lula da Silva (Brasile) e Tabarè Vazquez (Uruguay). Il ministro dell'Economia argentino, Felisa Miceli, ha proposto che tutti i Paesi del Mercosur si associno al "Bono del Sur" (Bond del Sud), un ambizioso titolo argentino-venezuelano da offrire ai mercati varato due settimane fa durante una visita del presidente Nestor Kirchner in Venezuela.


Prove d'intesa Sky-Telecom
Murdoch discute con Tronchetti per la fornitura di contenuti per il web
. MILANO Prove di fidanzamento tra Telecom Italia e Sky. Un legame che potrebbe essere la prima pietra per quel terzo polo tv, di cui si è sempre tanto parlato. L'intesa sarebbe stata al centro della visita di Marco Tronchetti Provera a Romano Prodi (disertando il summit di Milano fra Confindustria e Padoa Schioppa). Le voci di un interesse di Rupert Murdoch per una partecipazione in Olimpia (la scatola da cui dipende Telecom) circolavano da diversi giorni. Ieri Marco Tronchetti Provera, ha confermato. «Telecom Italia sta lavorando ad un accordo con Murdoch sui contenuti, collegati al televisione sul web. Credo che troveremo un accordo, noi siamo per gli accordi». Secondo le indiscrezioni riportate dal settimanale Panorama, il protocollo commerciale sarebbe l'aperitivo per qualcosa di più sostanzioso. Un matrimonio finanziario così costruito: Murdoch gira Sky Italia a Telecom. In pagamento ottiene azioni del gruppo telefonico pari al 14% del capitale. Subito dopo le gira in Olimpia raggiungendo una presenza paragonabile a quello di Tronchetti. Nella pancia dell'azienda telefonica nascerebbe un blocco televisivo di assoluto rispetto: i canali satellitari di Sky da aggiungere a La 7 ed Mtv. Insomma il famoso terzo polo tv. Una preoccupazione in più per Rai e Mediaset. Ma anche per Carlo De Benedetti che non nasconde l' interesse per il settore televisivo dopo l'acquisto di Rete A. C'è da dire che prove di convivenza tra Telecom Italia e Murdo ch non erano andate a buon fine all'epoca di Stream. A cinque anni di distanza, il rilievo degli interessi in gioco potrebbero convincere Tronchetti all'accordo. A costringerlo le crescenti difficoltà finanziarie e una concorrenza sempre più agguerrita nelle tlc. Inoltre avere Murdoch come nemico significherebbe per Telecom la guerra sui prezzi della banda larga: uno scenario da evitare. In Italia l'imprenditore australiano, forte anche del recente cambio di governo, potrebbe replicare la strategia di conquista portata avanti nel Regno Unito. Murdoch in Italia ha raccolto successi e sconfitte: Sky fatica ad affermarsi. Ulteriori intoppi sono in arrivo con la decisione di rimandare lo spegnimento del segnale analogico al 2012. L'Italia comunque rappresenta un mercato interessantissimo: il 58% delle famiglie è in possesso di un pc, 6,7 milioni di persone accedono al web con la banda larga (dato di fine 2005) e soprattutto c'è abbondanza di teledipendenti. Certo non tutto sarebbe semplice. La convivenza tra due personalità forti come Tronchetti e Murdoch non sarebbe proprio agevole. Funzionerebbe solo a condizione di una rigorosa distinzione di ruoli: all'imprenditore australiano la tv. Agli italiani il resto. Non è facile mai si può provare. Anche perchè ben difficilmente il governo lascerebbe in mani totalmente straniere un centro di potere grande come l'agglomerato Telecom-Sky-La 7. N. SUN.


Padoa Schioppa chiude l'era delle privatizzazioni
Privatizzazioni addio. I carrozzoni di Stato è bene che rimangano tali. Perché ormai sono rimaste da vendere, salvo qualche eccezione, solo aziende considerate strategiche per il Paese. E dismettere queste società-chiave è troppo rischioso. Semmai c'è da studiare il modo di trasformare i carrozzoni in aziende moderne e competitive anche grazie all'ingresso del capitale privato. Ma guai fare uscire completamente lo Stato dalle grandi aziende pubbliche. Il rischio è che qualcuno se le scali. Ieri il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, la fine dell'era delle grandi privatizzazioni, in cui la sinistra ha avuto un ruolo non secondario, l'ha spiegata così. Aggiungendo, riguardo alle società energetiche quali Eni ed Enel, che se lo Stato dovesse abbassare ulteriormente la sua quota, c'è il rischio di un'opa. Per Poste e Fs «esiste la possibilità dell'ingresso di capitale privato... Cosi come è avvenuto per l'Eni e per l'Enel può avvenire anche per altri soggetti», ha detto il ministro nel corso di un'audizione. «L'ingresso di capitale privato ha un suo significato non solo nel senso che fornisce un'entrata nel conto patrimoniale ma introduce anche un'ulteriore logica di conformità al mercato e di governo delle imprese che può essere positiva». Ma un conto è fare entrare i privati limitatamente a una quota del capitale, un'altra è la privatizzazione completa. In ogni caso «la lunga stagione nella quale la privatizzazione era imposta dall'urgenza della situazione dei conti pubblici ritengo che si debba ritenere chiusa». Oggi, secondo Padoa Schioppa, «certamente c'è una componente che è privatizzabile, che è nelle stesse condizioni in cui si trovavano le imprese che sono state privatizzate, da cui lo Stato è uscito completamente nel corso degli anni. In altri campi la privatizzazione è molto più difficile da concepire, penso a Ferrovie, Poste, Enel e Eni dove se la partecipazione dello Stato non può scendere al di sotto di un limite oltre il quale queste aziende sarebbero sottoposte a un'offerta pubblica di acquisto. Penso a settori come a quelli che fanno parte in Finmeccanica e che sono legati alla Difesa». ANT. S.


Fiumi inglesi troppo inquinati: i pesci cambiano sesso
�?��?��?� (r.s.) L'inquinamento dei fiumi britannici ha preoccupanti ripercussioni sui pesci, un terzo dei quali, per l'eccessiva sporcizia delle acque, cambia sesso. Sono i dati di una ricerca dell'Agenzia per l'ambiente britannica. Il 33% dei pesci di sesso maschile sviluppa organi sessuali femminili e produce uova. La causa sono gli estrogeni, ormoni femminili presenti in grandi quantità nei fiumi inglesi, dove vengono quotidianamente gettati pillole contraccettive, altri medicinali e scarichi industriali di varia natura.

Anche un solo calice di vino danneggia il feto
Che in gravidanza non si debba esagerare con gli alcolici è noto. Recenti studi suggeriscono però regole ancora più severe per preservare i nascituri dalla "sindrome da alcol del feto". La malattia è stata soprannominata "Fas" dai medici statunitensi che la stanno seguendo. Bastano soltanto sette bicchieri alcolici a settimana, infatti, perché ci sia la possibilità che il feto si ammali di questa strana sindrome i cui sintomi sono molto particolari. Primo fra tutti una vivacità "eccessiva": dai al bimbo che ne soffre qualche istruzione di comportamento e lui dopo qualche secondo se ne sarà dimenticato. Oppure avrà difficoltà a fare amicizia con i coetanei. Non solo: i bambini con questa sindrome sono di solito più piccoli del comune e hanno anche tratti distintivi sul volto, come un labbro più alto, più rughe del solito agli angoli degli occhi e una piega appiattita tra naso e labbra. Si pensava che questa sindrome colpisse solo i figli di persone con pesanti problemi di alcolismo, ma un crescente numero di ricercatori sostiene che basta una piccola quantità di alcol per danneggiare il feto. Come preservarsi allora dai rischi? E' importante che quando si beve lo si faccia durante i pasti, in modo che l'alcol venga assorbito. Importante è anche quanti bicchieri si bevono in una sera. Meglio dilazionarli e fermarsi soltanto a uno durante la cena che berne due in poche ore e il giorno dopo niente. G.C.




My Speed Limit ??? 400 Km/h






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Giornale del giorno   21/7/2006 9.19.25 (169 visite)   Mr_LiVi0
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