Nick: harding Oggetto: Il buon Majakovski Data: 14/2/2004 15.6.33 Visite: 290
Lei alitava sul vetro e disegnava delle o. Non faceva cuori, non scriveva il suo nome, faceva solo delle o. Ogni volta che la o si riduceva fino a sparire lei rialitava sul vetro e disegnava una o. Era una ricerca caparbia di perfezione o un semplice gesto incantato costretto in quel solco da un pensiero preminente? Che ne so. Ero lì in pausa pranzo. Le lezioni sarebbero riprese dopo un po' ed io ero in cerca di un posto tranquillo dove inghiottire il mio prosciutto e mozzarella. C'era un mio posto preferito. Una specie di laboratorio abbandonato dove si erano dimenticati di staccare il riscaldamento, con le finestre sul cortile interno e qualche panca di legno consunto dove allestire il banchetto. Quel giorno mi ero portato anche un libricino di poesie di Majakovski. Quando il tuo mondo si fa di numeri e sigle la poesia diventa essenziale come il cibo che mangi. Entrai forzando leggermente la porta. Anche se mi sembrò che avesse opposto meno resistenza del solito. Percorsi il piccolo corridoio dimesso e sporco che mi separava dalla stanza e mi fermai sulla soglia. Vicino alla finestra c'era lei che faceva le o sul vetro e che non si accorse subito di me. Non era della mia facoltà. Vestiva un po' come i cannaroli di piazza del Gesù anche se c'era un so che di romantico e seducente in quella gonna al ginocchio, nella sciarpa di vaporosa lana, nei monili alle orecchie ed al polso. Si girò dopo un po' e mi disse "ciao" facendomi sentire un guardone ed anche un po' fuori posto. Aveva una voce un po' roca ma calda. Risposi al saluto con cortesia pensando già a dove sarei potuto andare per poter mangiare in tranquillità. Lei disse però "è Majakovski?" indicando il libricino che avevo nella stessa mano del panino. Dissi "Si" mentre la mia mente cercava furiosamente qualche battuta brillante da aggiungere, ma invano. "Leggevo Majakovsi" disse con aria sognante e vagando in luoghi della sua memoria che le invidiavo un po'. "Leggo Majakovski" le dissi indicando il panino e tutta quella dannata e fredda facoltà. Scoppiammo a ridere. Mi sentivo già meglio. Ma voi potreste? Imbrattai di colpo la carta dei giorni triti, spruzzandovi colore da un bicchiere; su un piatto di gelatina mostrai gli zigomi sghembi dell'oceano. Sulla squama d'un pesce di latta lessi gli inviti di nuove labbra. Ma voi potreste suonare un notturno su un flauto di grondaie? Lessi molte poesie assieme a lei. Non ero imbarazzato. Diceva che avevo una bella voce, la recitazione lasciava a desiderare ma il tono le piaceva. Notte di luna Ci sarà la luna. Ce ne sta già un po'. Eccola che pende piena nell'aria. E' Dio, probabilmente, che con un meraviglioso cucchiaio d'argento rimesta la zuppa di pesce delle stelle. Dopo un po' però (o era tanto che stavo lì?) lei mi chiese che ora fosse. Le annunciai che era sera e che avevo perso almeno un'ora di sequenze di incomprensibili numeri. Scattò in piedi e prese la sua roba di corsa. Fece per avviarsi verso il corridoio. Ci ripensò, tornò verso di me e mi regalò un sensuale bacio alla vaniglia, al timo ed a qualche altra decina di spezie che non seppi riconoscere. Poi andò via di corsa. Solo dopo una decina di minuti che ero rimasto a fissare il punto dove se ne era andata posai il libro. Mi avvicinai alla finestra e, in controluce, scorsi i segni delle tante o. |