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Nick: hightecno
Oggetto: eros & pathos (cap IV)
Data: 23/2/2004 15.1.40
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La chimica ci insegna che quando due elementi si uniscono per formarne un altro, essi devono perdere le loro caratteristiche originarie affinché possa essere creato il nuovo composto. Succede più o meno la stessa cosa nel momento dell’incontro di due esseri umani: quando ci apriamo a un rapporto, dobbiamo anche accettare il fatto che quanto ne scaturirà sarà qualcosa di completamente diverso, noi stessi ne usciremo trasformati.

Come è naturale che sia, tutto ciò incute molta paura, e spesso ci tiriamo indietro cercando protezione nell’abbraccio della solitudine. Non sarà nella chiusura in noi stessi, però, che troveremo il nutrimento di cui abbiamo bisogno per vivere e per dare un senso al nostro cammino. Per vivere pienamente il significato del rapporto amoroso, occorre essere aperti e pronti ad accogliere l’imprevisto.

Un aspetto singolare della dimensione amorosa, infatti, è dato dalla grande ironia con cui può travolgere le nostre vite. La scintilla dell’amore non sempre scocca tutto a un tratto, in modo repentino e folgorante: il sentimento può nascere lentamente anche tra due persone che, in un primo momento, si erano ignorate e mai avrebbero potuto sospettare che tra loro sarebbe nato qualcosa, un sentimento concreto. Gesti, stati d’animo, espressioni del volto reputate insignificanti, assumono poi, con il tempo, un contenuto preciso, colmo di un valore seducente e rivoluzionario. In seguito, con il crescere dell’esperienza, questa attrattiva viene vissuta come mancanza. Più che in termini positivi, essa è fenomenicamente descrivibile in termini negativi, nel senso che all’amore si accompagna il patimento per qualcosa di cui l’amante si sente privato e che l’Altro porta con sé.

Non si è mai sicuri se ciò che è stato dato verrà restituito, perché ogni amante vive il rapporto come una concessione momentanea, che può finire senza darci «un’altra possibilità», magari proprio quando stava incominciando a regalarci un po’ di gioia di vivere. Poiché questa sensazione non è appresa dall’esperienza ma, addirittura, caratterizza anche il cosiddetto «primo amore», appare logico e conseguenziale supporre che sia strutturale all’amore stesso, che ne costituisca il fondamento e il nucleo centrale.

Nello stato di innamoramento è impossibile distinguere l’esperienza del ricevere da quella del dare. Volendo essere più espliciti e diretti, diremo che il «vuoto» che percepiamo in assenza della persona amata può essere determinato sia dal fatto che ci è stato portato via qualcosa di indispensabile, sia dall’eventualità che la sua presenza abbia riempito un vuoto preesistente che, ora, viene nuovamente evidenziato dall’assenza.
Quando crediamo, con la forza e l’audacia dell’autoconvinzione, che il vuoto sia stato sconfitto, è probabile che stiamo ingannando noi stessi. Infatti, per quanto l’Altro riesca a incarnare i nostri desideri inconsci, il bisogno di totalità e di fusionalità è talmente smisurato che nessuna esperienza relazionale potrà mai veramente colmarlo. La possibilità di perdere la persona amata è una minaccia sempre presente, giacché nulla può durare stabilmente nella nostra esistenza. Questo timore finisce per rinnovarsi, con sempre maggiore veemenza, ogni volta che viviamo una nuova relazione. La mancanza e l’assenza sono il fondamento del desiderio, giacché proprio l’assenza contribuisce a insediare l’Altro nel nostro mondo interiore.

Anche quando l’Altro non c’è, egli riesce a riempire ogni istante della nostra vita, nell’alveo della mancanza l’immagine dell’amato diventa una sorta di presenza assoluta, un pensiero dominante e ossessivo. L’assenza dell’essere che si ama genera nostalgia e patimento, ma è proprio questo genere di emozioni che fanno sì che emergano nell’amante, ritrovatosi solo con se stesso, alcune dimensioni psicologiche sconosciute. La lontananza dalla persona amata, infatti, ci permette di dialogare con noi stessi in un modo che nessun’altra esperienza della vita ci consentirebbe.

Nei momenti in cui la non presenza dell’Altro viene percepita come un vuoto esistenziale, basterebbe anche il casuale incontro dei due sguardi a colmare la voragine che dilaga tra gli innamorati: non sono necessarie le parole per «sentire» l’Altro. Gli amanti si cercano con gli occhi, come immagini preziose di un bene perduto; si riconoscono anche in mezzo alla confusione e al clamore per quel particolare modo di camminare, di vestire o di sorridere. Tra loro si distende il magico spazio delle significatività condivise: la molla che può far scattare in ognuno di noi il desiderio di aprirci alla vita.



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