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Nick: POMPEO
Oggetto: Napoli e i clan...
Data: 17/9/2006 11.13.32
Visite: 147

NAPOLI - Portano nomi di battaglia. Uno è Lo Specchiato, ha occhiali neri che gli nascondono lo sguardo. Un altro lo conoscono come il Che Guevara, è un ribelle, un disubbidiente del crimine. Famelici e sbandati, i più vecchi hanno vent'anni e i più piccoli neanche quattordici. Sono fuori di testa e stanno facendo saltare in aria Napoli. Si mangiano babà e pastarelle per festeggiare omicidi, sparano nel mucchio, sniffano quella nuova droga che chiamano "la bottiglina". Coca, ammoniaca e due dita d'acqua. La tirano su dal naso con la cannuccia e poi scendono dai Quartieri Spagnoli o salgono dalla Sanità per avventarsi su Napoli e prendersela. Sono loro i padroni della città da quando non ci sono più padroni.

Fino all'altro giorno sfrecciavano lungo via Monte di Dio sulle loro motociclette, esibizione di massa per spaventare e segnare confini. Ma ormai sono frontiere aperte quelle delle piccole e grandi camorre napoletane, ormai si spaccia e si rapina e si ammazza anche senza un ordine e anche senza un boss: Napoli è terra di tutti e di nessuno, Napoli è un gorgo che sta risucchiando Napoli. Fino all'altro giorno erano là a farsi vedere e a inseguire quel ragazzino che volevano uccidere. E invece hanno ferito il turista canadese, una sparatoria da pazzi, una fuga facile. Sono spariti in un ascensore che scende in via Chiaia e se la sono squagliata. "Ma oggi quelli sono rintanati, non escono, hanno paura degli altri", mi racconta Ciro, testimone oculare dell'agguato fallito.

Sono nascosti qui, fra i Quartieri Spagnoli e il Pallonetto di Santa Lucia, perché qui sta per esplodere una guerra. Un pericolo annunciato anche dai nostri servizi segreti nella loro relazione semestrale, presentata venerdì al Parlamento: "C'è il rischio di sanguinose faide nei quartieri centrali partenopei". Ma non sono veri e propri clan, sono brandelli di una sotto specie di camorra, sono colonne infami che si incontrano e si scontrano giorno dopo giorno in una città che sopravvive di assalto e di saccheggio.

Ne sono usciti più di 1300 per indulto da Poggioreale e da Pozzuoli e da Secondigliano, molti di loro saranno i disperati attori della guerra che verrà. "Le troppe scarcerazioni hanno rafforzato il senso di impunità, che è un obiettivo incoraggiamento a delinquere ancora", ha spiegato Franco Roberti, il procuratore aggiunto che è a capo del pool anticamorra.

Le statistiche al momento non confermano un collegamento diretto tra indulto e scorribande napoletane, ma i numeri non hanno anima e non hanno paure. "Con l'indulto ci hanno fatto proprio un bel regalo", sussurra Marianna del bar Pascal, due passi dall'ultimo tiro al bersaglio al turista. "Mastella ci ha reso la vita impossibile", borbotta il macellaio di Vico Lungo Montecalvario mentre al tramonto chiude la sua bottega.

Fino a qualche anno fa c'era una strada che tagliava in due i Quartieri Spagnoli, a nord era regno dei Mariano e a sud dei Picuozzo. Oggi via Emanuele Dedeo è una strada come tutte le altre in quell'enclave che sono i Quartieri Spagnoli, sacca putrefatta in mezzo alla Napoli colta e perbene che sognava il suo rinascimento, la Napoli delle grandi opere e dei grandi progetti che ora si ritrova prigioniera degli Specchiato e dei Che Guevara.

Scorrazzano da piazza Plebiscito fino alla promenade di via Caracciolo. La camorra li ha lasciati liberi, è la flessibilità l'arma vincente della criminalità napoletana.
È nelle loro mani Napoli. Nonostante quei 13mila poliziotti e carabinieri e finanzieri che la presidiano. Sono più di quanto saranno a forza dispiegata i caschi blu a Beirut. Nonostante quei 2222 vigili urbani, sei volte di più dei poliziotti di Manhattan distaccati al traffico. È dei ragazzini che sognano di diventare killer Napoli, dei killer che sognano di diventare boss, dei boss che sono già imprenditori quasi rispettabili. Sono i giovanissimi i più pericolosi. Colpiscono a casaccio, feriscono bambine, fanno a pezzi i loro coetanei. Sono quelli che hanno scoperto "la bottiglina" e la comprano per 10 o 15 euro, dopo tre tiri l'hanno già finita e hanno bisogno di un'altra, uno sballo e poi ancora uno sballo.

Sono quelli dei Rolex. Ci sono gli specialisti, li riconoscono a distanza al polso della vittima. La pedinano per i vicoli, avvertono con il cellulare i "cacciatori" che arrivano e glieli strappano. Dicono che a Napoli di Rolex ne abbiano rubati più di 20 mila.
L'ultimo attacco l'ha subito venerdì sera un turco. Era appena sceso da una nave da crociera, in via Toledo i soliti due in motorino hanno fatto il colpo.

Martedì l'avevano portato via a un parlamentare inglese. Era capitato qualche giorno prima anche a due norvegesi. Molto peggio è andata all'americano Thomas Matthew Godfrey. Scippato in Vico dei Maiorani, quando si è ribellato i napoletani della zona dei Decumani hanno picchiato lui e fatto fuggire il rapinatore. Basta sbagliare una strada e da Palazzo Reale si finisce all'inferno.

Negli alberghi di Napoli stanno cominciando a distribuire gli orologi antiscippo. Il turista mette in cassaforte il suo Rolex e in cambio gliene consegnano uno di plastica per tutta la vacanza.
La Regione e il Comune ne hanno ordinati 10 mila, sono costati 6 euro ciascuno. Un altro bell'affare napoletano.

C'è chi vorrebbe il coprifuoco. E chi l'esercito. Nel frattempo si infuoca la polemica sul "numero" dei poliziotti. "Ne servono 500 in più", denuncia Antonio Dente, il vice segretario campano della Uil Ps che due giorni fa ha accompagnato un funerale per le vie della città. "Qui giace la sicurezza", c'era scritto sulla bara sistemata davanti alla Prefettura, il cadavere della legalità in una piazza del Plebiscito insolitamente deserta. Da Roma non vogliono mandare altri poliziotti e da Napoli li chiedono, il ministro Amato e il capo della polizia De Gennaro da una parte e il governatore Bassolino e il procuratore capo Lepore dall'altra.
Conflittualità. Tensioni. Paure. C'è qualcosa di indicibile che sale dal ventre di Napoli.

Da lì vengono quelli come Vincenzino Gallo, uno mandato a uccidere dal suo amico Giacomo Selva, pregiudicato di mezza tacca che ad agosto era stato scarcerato per indulto. Il 2 settembre Vincenzino ha ammazzato un uomo in un garage, poi è tornato a casa a far festa. E ha cominciato a parlare al telefono, una linea intercettata. Raccontava Vincenzino: "Il momento più brutto fu quando mi lavai le mani con la pisciazza, poi ci passai la crema, mi risciacquai e mi rilavai un'altra volta con la varechina".

Voleva cancellare le tracce della polvere da sparo. E raccontava ancora: "Poi mi mangiai una guantiera di pastarelle, mi aprii una birra e tenevo pure una sciampagnella e mi bevvi pure la sciampagnella". Così finì quella giornata con omicidio di Vincenzino. Una come tante nell'ultima estate di Napoli.

di ATTILIO BOLZONI

(17 settembre 2006)



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