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Nick: Mr_LiVi0
Oggetto: Rassegna Stampa Telecom
Data: 17/9/2006 14.3.13
Visite: 106

Brutte gatte da pelare per il presidente romano prodi, con il suo faccino da persona paciocca e padre di famiglia... voleva dare telecom in mano a murdoch: concorrente di berlusconi e, ovviamente, amico della sinistra. Prodi è in cina adesso e al suo ritorno potrà trovare la propria tattica difenzsiva. Come si comporterà secondo voi? dirà che ha sbagliato, oppure pronuncierà il solito:"non ne so niente". Intanto i suoi colleghi lo scaricano, un pò perchè ha già stufato e un pò perchè voleva mangiare una fetta di torta che avrebbe sfamato tutta la coalizione per un paio d'anni. Lui non l'ha fatto certo per lo stato, ma per il proprio tornaconto personale. Eh la gente... invece di ringraziare e baciare a terra per la fortuna che hanno, vogliono smepre compiere il salto + lungo della gamba.


Ecco chi ha costretto Marco a lasciare di OSCAR GIANNINO
Caro direttore, c'è una premessa necessaria, per capire meglio gli ultimi sviluppi dell'affaire Telecom. Una considerazione che viene prima del ruolo che nell'azienda potrà rappresentare Guido Rossi al posto di Marco Tronchetti Provera, e degli sviluppi che avverranno sulla telefonia fissa e mobile nel nostro Paese. È presto detta: cento giorni e l'Italia s'è resa conto, di che cosa significhi avere un due volte ex presidente dell'Iri nuovamente presidente del Consiglio: e, questa volta, con il dente avvelenato di non consentire più a nessuno - alleato o avversario in politica, alleato o avversario nell'economia e nella finanza - di poter anche solo pensare di mettergli i bastoni tra le ruote. In tre mesi, sotto i colpi del bastone di Palazzo Chigi sono finiti gruppi imprenditoriali francamente assai più "amici" che ostili al centrosinistra, come i Benetton e Tronchetti Provera. In pochi giorni sotto ferragosto, Banca Intesa dell'"amico" Bazoli ha ingoiato in men che non si dica il Sanpaolo di Torino. Alle Ferrovie, ecco Innocenzo Cipolletta presidente, che resta però anche presidente dell'editoriale Sole 24 ore. In Alitalia, vedremo tra pochi giorni, quale sarà il prescelto fidato di turno. Il tutto in un crescendo napoleonico, colpi a segno precisi e profondi vibrati grazie alle sottili arti di un pugno di banchieri d'affari che sono gli unici ormai candidati a fare affari di rilievo, nell'Italia prodiana, perché hanno passato anni e anni nelle Goldman Sachs che all'attuale premier e ai suoi sodali ha dato interessato ricetto, e oggi se ne vede abbondantemente premiata. La mia è solo una deduzione logica, caro direttore, ma ho per te e i nostri lettori una domanda: ma se questa è la spietata e arcigna durezza di ciò che appare come un pieno e incondizionato disegno di presa del potere da parte di Prodi; se questi sono i metodi in atto persino con "amici", come imprenditori che in questi anni hanno dato una potente mano perché Confindustria e il Corriere della sera, la Stampa e il Sole 24 ore la smettessero di mettersi per traverso al centrosinistra, al suo statalismo e al suo dipendere in maniera tanto consistente dalle sue ali radicali; se questi dicevo sono i metodi con gli "amici", ma vogliamo immaginare che cosa davvero avverrà quando il governo metterà nel mirino direttamente le aziende del Cavalier Berlusconi, con la scusa magari di dover rivedere la legge Gasparri? Ci sarà da ridere, amici miei. E da piangere, per gli eredi Berlusconi. L'invasione di campo di Palazzo Chigi Ma tantè. Dopo la premessa, veniamo al dunque. Che si spiega in cinque punti, uno più grave dell'altro. Primo: Tronchetti Provera ha dovuto fare un passo indietro, ma perché? Per il peso degli errori finanziari e industriali compiuti in questi cinque anni, e che abbiamo spiegato ai lettori di Libero e Finanza&Mercati con spietata sincerità, mentre tutti gli altri tacevano? Niente affatto. Si è dovuto fare da parte perché la verità è che nemmeno il più fiero e duro tra i capitani d'industria italiani, quello che negli ultimi anni ha visto accrescere fino a livelli altissimi la stima in se stesso rispetto ai propri colleghi, nemmeno lui ha potuto permettersi di difendersi da Prodi restando al suo posto. Malgrado la gravitàdell'invasione di campo avvenuta da parte di Palazzo Chigi - prima indiretta, attraverso la proposta Telecom-Sky preparata da Claudio Costamagna di Goldman Sachs, poi quella plateale, con il dossier-Rovati che neanche in un paese del Quarto Mondo sarebbe pensabile ascrivere alla sola fantasia dell'ex cestista, collettore di finanziamenti per il premier - nell'Italia di Prodi bisogna dimettersi per potersi difendere. Secondo. Tronchetti ha fatto un passo indietro, ma chi lo ha consigliato? Tra i consiglieri indipendenti che siedono nel cda Telecom, se parlate a persone per benissimo come Luigi Fausti, l'ex capo della Comit, oppure Domenico De Sole, o ancora Pasquale Pistorio, vi diranno tutti che hanno cercato con la voce rotta in gola di fargli cambiare idea. Perché si rendono conto che il passo indietro di Tronchetti poteva apparire - e di fatto appare - come una resa incondizionata alle ragioni di un governo che ha vinto le elezioni accusando Berlusconi di non aver voluto e saputo privatizzare e liberalizzare, e poi di fatto invece, da Palazzo Chigi, vuole ora ristatalizzare tutto, affiancando la rete fissa di Telecom a quella elettrica di terra, a quella del gas di Snam, e a quella autostradale. La realtà è che a non far cambiare idea a Tronchetti, rispetto alle sue dimissioni, sono stati proprio i Benetton, per aprirsi almeno in Telecom una prospettiva me no conflittuale con Prodi rispetto allo scontro già al calor bianco che devono affrontare in Autostrade. E poi sono stati diversi banchieri "autorevoli", come si suol dire, a confortare Tronchetti della bontà della sua decisione di dimettersi. Sono pochi banchieri di fiducia, il vero pilastro del potere prodiano: perché chi in Italia ha amiche le banche, ha in pugno chi realizza le operazioni sul debito e sul capitale di tutti i maggiori gruppi privati italiani, ed è detentore dunque di un potere reale incommensurabilmente superiore a quello attribuito dalla malcerte fortune del suffragio universale. Quei segreti sui bilanci delle grandi bancheTerzo. Perché Guido Rossi al posto di Tronchetti? Per almeno quattro ordini di ragioni diverse. Perché con Prodi il professor Rossi ha buoni rapporti, ma spesso in passato ha saputo anche litigarci a muso duro, proprio sulle eredità dell'Iri che l'attuale premier ha due volte guidato. Poi perché Rossi ha ottimi rapporti con le banche che contano: non perché siano rapporti personalmente "consustanziali", come quelli che il premier coltiva con presidenti che si dilettano di esegesi biblica e amministratori delegati che pensano a un futuro politico, ma perché Rossi è al corrente delle peggiori magagne non emerse che hanno carat terizzato gli ultimi vent'anni di storia dei maggiori gruppi creditizi italiani. E poiché saranno le banche, alla fine, a propendere per questo o quel progetto industriale volto a diminuire i debiti perché non siano insostenibili per la catena di controllo di Tronchetti, è di un uomo forte con le banche, che Tronchetti aveva innanzitutto bisogno. Infine, quarta ragione e mica ultima, in ordine d'importanza: perché solo Guido Rossi, può evitare che la Procura di Milano approfitti della malaparata tronchettiana, e affondi il bisturi delle richieste di rinvio a giudizio per la ormai triennale indagine in corso sulle maxi intercettazioni illecite compiute in questi anni dall'ex monopolista telefonico. Sarebbe una botta esiziale, per chi ha controllato Telecom in questi anni. La domanda ultima è un'altra. Allo stato attuale, Tronchetti è da considerarsi come un proprietario sconfitto ormai uscente, che deve accontentarsi di una buonuscita negoziata con la politica, oppure ci stupirà? I grandi giornali del poter confindustrial-prodiano scommettono sulla prima ipotesi. Per far filotto domani con Mediaset, dopodomani con una Rcs multimediale e iperulivizzata. Motivo per cui io dico invece che c'è da sperare che Tronchetti combatta come una tigre, riflettendo su tutte le cazzate che ha fatto per anni. *vicedirettore Finanza& Mercati

TELEFONO AMICO, ANZI COMPAGNO di VITTORIO FELTRI
La vera storia di Telecom. Da Tronchetti a Rossi, sempre di sinistra. Ma il premier ha perso
Romano Prodi ha perso la partita e ha rimediato una brutta figura, specialità in cui eccelle. La nomina di Guido Rossi, già parlamentare diessino, a presidente della Telecom ha fatto pensare a molti, erroneamente, che il pasticciaccio brutto dei telefoni alla fine avrebbe fatto comodo al premier. Perché? Il ragionamento (sbagliato) ma semplice era questo: Prodi è di sinistra, Rossi è di sinistra; cane non mangia cane ma divora Tronchetti Provera, che se la prenderà in saccoccia. No cari amici. Certe semplificazioni schematiche non bastano a spiegare la realtà. La guerra si svolge tutta nell'area dell'Unione. Appassionante. Quelli di sinistra si menano fra loro. Infatti anche Tronchetti Provera è di sinistra. Anche Benetton è di sinistra. E Guido Rossi, che pure è stato nominato padrone del Calcio da Prodi, è avvocato sia di Tronchetti Provera sia di Benetton. Vi avverto cari lettori. È un casino; se però mi seguite - e se nel frattempo non mi sarò smarrito - capirete. Andiamo per gradi e fissiamo dei punti. Punto uno . Da dove salta fuori Tronchetti Provera? Sicuri sia un rampollo di nobile schiatta? Ma fatemi il piacere. Suo padre era un dirigente d'industria mediobasso, responsabile di un ufficio acquisti, posto strategico, per carità, chi non lo vorrebbe occupare? Però nulla di eccezionale sotto il profilo del rango. E il bambino Marco che faceva? Terminati gli studi fu assunto dalla Pirelli, dove si distinse in una scalata di successo: sposò Cecilia Pirelli, figlia del padrone. Idiota chi non rende onore al merito; anche perché Cecilia oltre ad essere la figlia del padrone era ed è una splendida ragazza, talmente bella che a un dato momento il mio amico e "benefattore" Carletto Scognamiglio (presidente del Senato) le ha messo gli occhi addosso e l'ha portata via al Tronchetti. Il quale si è consolato in due modi molto efficaci: primo modo, diventando proprietario della Pirelli e dintorni; secondo modo, rimpiazzando Cecilia con Afef, che è musulmana e piace un casino ai progressisti del multiculturalismo, del dialogo e roba del genere. Ovviamente piace ai Moratti nerazzurri, miliardari rivoluzionari nel senso che per loro nello sport più spendi e meno vinci a San Siro, però vinci in tribunale senza neanche tirare un cross. Per chi non lo sapesse, il Marco Tronchetti Provera in Pirelli è vicepresidente della neoscudettata Inter. Mi sono un po' dilungato in digressioni ma torno a bomba. Va segnalato che il Tronchetti, nonostante tutto, è riuscito se non ad arricchirsi ad apparire ricchissimo e affidabile. Qualche bel colpo d'altronde lo ha realizzato. Avete presenti le fibre ottiche? Con l'aiuto di Guido Rossi (semper lu), che con gli americani è culo e camicia, le ha rifilate agli americani medesimiincassando uno sproposito. Bestia di un Tronchetti, questa cosa qui del grano facile tanto maledetto e subito - gli ha permesso di farsi notare. Però 'sto giovanotto, oltre che con le donne ci sa fare anche con le palanche. Sicché gli hanno dato credito. Troppo. Pensate. Gli hanno venduto la Telecom al doppio del suo prezzo, a lui che se un mese prima lo mettevi piedi per aria e testa in giù non gli usciva un ghello dalle tasche. Ma aveva credito. E gli hanno prestato - le banche - una quantità di contanti sufficiente a pagare tutti i telefoni d'Italia, fissi e mobili. Ascolta Marco, come immaginavi di restituire i quattrini alle banche? Con le bollette del signor Brambilla e della sciura Maria? Illuso. Se ora sei nella palta una ragione ci sarà. Punto due . Chi è questo Guido Rossi che dovunque ci sia una pila di denaro lui è in zona? Per essere dritto è un dritto. Lo era fin da piccolo, immaginarsi adesso che passa il metro e novanta e i settanta anni. Ho già raccontato su Libero le sue vicissitudini familiari e d'infanzia e non mi va di tornarci su. Dico solo: in un mondo di cretini lui è un genio. Studia le cause e si mangia gli avversari. I magistrati pendono dalle sue labbra. È sempre stato al vertice di qualcosa. Adesso del calcio e di Telecom; secondo me sostituirà anche la Fallaci, e spero non si porti dietro Borrelli il quale da quando non può arrestare nessuno è pallido come Dracula e non vorrei si sfogasse sul collo degli utenti. Conviene ricordare che Rossi è stato presidente della Consob e editorialista della Repubblica ma soprattutto è già stato presidente della costituenda Telecom nel 1997. I politici si sciac quavano la bocca da mane a sera con le privatizzazioni da cui si aspettavano miracoli, poveri pirloni: l'appianamento del debito pubblico magari con l'avanzo di qualche miliardo da destinarsi a privatissime saccocce. Come si poteva privatizzare la Sip (la sigla era questa)? La Stet (Prodi, presidente del Consiglio, e Ciampi, ministro dell'Economia, consenzienti) si rivolge indovinate a chi? A Rossi, naturalmente. Il quale briga e si sbriga. Dovete sapere amici lettori che Rossi quando era ragazzo, da buon perticone giocava a pallacanestro ma non nel cortile del condominio con il figlio della portinaia, bensì nella miglior squadra dell'epoca: Simmenthalmonza, serie A. E qui Guido strinse amicizia con un compagno di spogliatoio statunitense, di cui non ricordo il nome. Ma rammento perfettamente che divenne un pezzo grosso di una multinazionale del suo Paese. Ed è a lui che Rossi si rivolse per privatizzare alla grande la Sip. Gli propose: io ti do il 15 per cento della società, tu mi dai tecnologie e soldi. Ok. Si può fare. Rossi torna in Italia, riferisce a Prodi e a Ciampi, che capiscono di economia come io capisco di tauromachia, i quali scuotono la testa: tu sei matto, al massimo gli diamo il 3 per cento, il tetto che abbiamo stabilito per tutti. Rossi ricomincia a tessere la tela. Dice al suo vecchio amico cestista: al massimo posso darti il 10 per cento. Nuovo colloquio con i cervelloni Prodi e Ciampi, e nuova bocciatura. Guido monta su tutte le furie e li manda letteralmente affanculo, che non è un'espressione elegante ma rende l'idea, e ricomincia a dedicarsi alla sua attività (di avvocato) capace di rendergli quanto dieci pozzi di petrolio. Punto tre . Tronchetti Provera, acquistata da Colaninno e Gnutti a prezzo folle la Telecom, dopo alcuni anni si rende conto di non avere denaro e di non guadagnarne abbastanza onde saldare i debiti. Sicché ne studia una al dì per uscire dalle sabbie mobili. Nisba. Prova a unire la telefonia mobile con quella fissa. Risultato modesto. In questi giorni riscorpora. E il mondo finanziario è in tumulto. Che succede? Tronchetti afferma di aver parlato del piano con Prodi, questi nega, e l'altro allora estrae dal cassetto un documento (carta intestata segreteria presidenza del Consiglio) su cui è scritto che lo Stato col finanziamento della Cassa depositi e prestiti ricomprerà la telefonia che tornerà ad essere un soggetto economico-industriale molto importante. E Tronchetti sarà salvo. Prodi giura e spergiura: non ne so niente. Ha fatto tutto il mio consiglieri economico Rovati senza riferirmi una parola. Rovati? Chi è? Anche lui come Rossi è un ex giocatore di pallacanestro. Davvero? Davverissimo. Giocava nel Cantù, serie A. Coincidenza? Massì, bisogna credere nelle coincidenze. Le due sole certezze sono che il piano di scorporo Telecom è stato studiato da Rossi tra un processo di calciopoli e un altro. E che Rovati ha inviato a Tronchetti un'ipotesi di acquisto statale della telefonia fissa. Che abbia inviato una proposta simile senza farne parola con Prodi non è però credibile. Prodi sapeva ma nega; preferisce prendere per i fondelli gli italiani. Probabili sbocchi. Rossi si divora Prodi e sistema senza di lui la Telecom. Oppure Prodi si mangia Rossi (non ci credo) e Telecom va a puttane. Oppure De Benedetti si piglia Tim, e con i soldi incassati per Tim si tacitano le banche. Comunque vada, Marco Tronchetti Provera sarà buttato fuori a calci dal salotto buono e sarà obbligato ad abbassare le arie e le spese. Dimenticavo. Gli azionisti (risparmiatori) di Telecom ci rimettono l'anima 'e chi t'è muorto.
LA VITA DI MR. PIRELLI

FIGLIO DI UN DIRIGENTE D'INDUSTRIA Il padre di Marco Tronchetti Provera era un dirigente d'industria responsabile di un ufficio acquisti. LA SCALATA ALLA PIRELLI Il giovane Tronchetti Provera nel 1986 sposò Cecilia Pirelli, figlia di Leopoldo, padrone dell'omonimo gruppo. Aiutò il suocero a gestire una fase difficile della società. Nel 1992 prese il timone della società. LA VENDITA DELLA DIVISIONE CAVI AGLI AMERICANI Con l'aiuto di Guido Rossi nel 2000 ha venduto la divisione cavi della Pirelli agli americani facendo incassare all'azienda 3,5 miliardi di euro. L'ACQUISTO DI TELECOM Nel 2001 grazie all'aiuto delle banche compra Telecom Italia da Gnutti e Colaninno rilevando il 23% del gruppo per 7 miliardi di euro. La precedente gestione gli lascia in eredità 43 miliardi di debiti, molti dei quali derivanti dalla precedente scalata effettuata dalla cordata della "finanza padana�?.

La vendetta corre sul filo di DAVIDE GIACALONE
Vendetta e procura, ecco i compagni di viaggio del tramonto Telecom. Prodi tira dritto, lavora in asse con Bazoli, consumando la vendetta contro chi ha potuto pensare di far crescere un potere finanziario prescindendo dalle cure del secondo, e di potere anche mettere le mani sul Corriere della Sera. Con vendicativo piglio regola conti antichi, anche con i morti (come Enrico Cuccia), e conti più recenti, quando la Telecom deragliò dall'iniziale indirizzo post malaprivatizzazione finendo nelle mani di Colaninno e Gnutti. Picchia al basso ventre l'avversario, quel D'Alema sempre accusato di avere un qualche legame con Berlusconi. Tronchetti Provera stava dalla parte sbagliata, e nonostante la sua principale abilità fosse il tenersi in equilibrio, il desiderio prodiano di ribaltare il tavolo era troppo forte. Al punto da travolgere ogni rispetto per il mercato e le sue leggi. L'arrivo di Guido Rossi alla presidenza Telecom, inutile girarci attorno, fa pensare ad un'incombente attività dei magistrati. Rossi legò il suo nome al tentativo di fare di Telecom Italia una public company. Oggi quel disegno non è difficile, bensì impossibile. Il professore torna con una diversa missione, la stessa cui Tronchetti Provera lo aveva chiamato quando gli chiese di evitare d'essere travolto dal fiume di quattrini che era corso, nelle banche estere, di nascosto, al momento in cui aveva pagato Gnutti. Ancora oggi non si sa dove quel fiume porta. Ho invocato per anni, in monastico isolamento, indagini su quelle faccende. Ora sento l'amaro della solita orologeria. I Riformatori Liberali hanno chiesto una commissione parlamentare d'inchiesta. La chieda anche la Rosa nel Pugno, si chiarisca, da una parte e dall'altra, che non si vuole andare avanti nella palta. Il problema non è più l'assetto di Telecom, troppo tardi. Oramai è tutto intero il nostro capitalismo a poggiare su travi tarlate. E la politica non è capace di cambiarle, o sanarle, ma approfitta delle debolezze per saltare al collo, profittare, acquisire fette di presunto potere. Più la trave cede più ci zompano sopra, dando al mondo l'impressione di un sistema al collasso, popolato da irresponsabili che non credono in niente, che lavorano solo per i propri famigli, come negli anni peggiori della nostra storia. (www.davidegiacalone.it) CINQUE ANNI AL TIMONE Marco Tronchetti Provera è arrivato alla Telecom nel 2001, rilevandone il controllo da Roberto Colaninno

Il dopo-Tronchetti finirà con lo spezzatino di NINO SUNSERI
La rete fissa andrà in una holding controllata dallo Stato, Tim ai fondi Usa e Telecom...
Per il momento solo una cosa è certa: Guido Rossi non resterà per molto tempo alla testa di Telecom. Non è sua abitudine. Lo conferma il fatto che le deleghe lasciate da Tronchetti sono state prese da Carlo Buora, il più fedele tra i fedelissimi dell'ex presidente. Sarà sempre Marco a tirare le fila in quanto presidente di Pirelli che conserva il ruolo di maggior azionista dei telefoni italiani. Soprattutto il compito di Rossi - che è intenzionato a non mollare la presidenza della Federcalcio - sembra quello di controllare la possibile offensiva della magistratura e ricucire i rapporti con il governo e le autorità di controllo. In passato mai si era visto un capo del governo e un grande industriale litigare con tanta violenza. Nemmeno ai tempi di Gardini. Ma soprattutto non era immaginabile una lite di queste dimensioni nel cuore stesso dei poteri forti della finanza. Perché, in fondo, Gardini era l'ultimo arrivato mentre Tronchetti, in quanto capo della Pirelli, ancor prima che di Telecom, è l'ospite d'onore in tutti i circoli che contano. Ecco perché le dimissioni aprono scenari del tutto nuovi. Nella finanza certamente, ma anche nella politica visto che i grandi salotti non avevano mancato di appoggiare la candidatura di Prodi come conferma il famoso editoriale del Corriere della Sera del 13 marzo con cui il direttore Paolo Mieli invitava a votare per l'Unione. Ora quel foglio appare veramente ingiallito. Il governo e i poteri forti hanno litigato e la ricomposizione non potrà che avvenire sulle spoglie di Telecom. Il gruppo, infatti, verrà spezzato. C'è l'obbligo di rimborsare l'ingente debito di 41,2 miliardi. Significa che il gruppo verrà venduto. Come? Difficile dirlo in questo momento. Di certo c'è una cosa sola: tutti i pezzi dovranno restare in Italia perché Prodi vuole costruire campioni nazionali. D'altronde anche Tronchetti è stato fermato perché si rifiutava di cedere la rete di Telecom allo Stato e minacciava di vendere Tim agli stranieri. Proprio su questo snodo è possibile disegnare uno scenario. Il più gettonato vede la nascita di una grande holding delle reti in cui mettere insieme Terna (che possiede gli impianti elettrici un tempo Enel), Snam Rete Gas (i grandi metanodotti internazionali dell'Eni) e adesso anche la rete Telecom. Il controllo potrebbe essere affidato alla Cassa Depositi e Prestiti dove sta per arrivare, secondo indiscrezioni, Franco Bernabè, manager molto caro a Prodi che l'aveva spostato da Eni a Telecom. Una grandissima società dotata di un ingente patrimonio e immenso potere (basti pensare agli investimenti per la manutenzione di impianti tanto importanti). Molto più articolata la partita su Tim. Si sta agitando molto Marco De Benedetti, ex amministratore delegato insieme a Massimo Sentinelli, ex direttore generale e inventore delle carte prepagate. Entrambi licenziati da Tronchetti che ora potrebbero prendersi la rivincita attraverso il fondo Carlyle di cui De Benedetti è gestore per l'Italia. Ovviamente non sarebbero soli. Con loro parteciperebbero altri fondi e soprattutto presenze italiane. Due su tutti : il vecchio Carlo De Benedetti e, forse Mediaset che, nonostante le smentite ufficiali alla convergenza tra tv e telefonini crede molto. Lo conferma il fatto che quattro anni fa il Cavaliere voleva acquistare il gruppo telefonico insieme a Tronchetti e poi si era fermato perché il prezzo di quattro euro era stato, giustamente, giudicato troppo elevato. Ora potrebbe riprovarci come lasciano immaginare alcune indiscrezioni comparse sul Corriere della Sera di ieri che riferiva i desideri di Fedele Confalonieri, presidente Mediaset. L'operazione verrebbe fatta con tutte le prudenze del caso insieme a De Benedetti per dargli una connotazione bipartisan. Per la vecchia Telecom il destino invece sembra segnato. Si trasformerà in una tv internet e quasi certamente verrà incorporata dal Corriere della Sera. Nascerà così il famoso terzo polo e certamente non ostile al centrosinistra. Che poi sia anche amico di Prodi è tutto da dimostrare. IN TRANSITO Guido Rossi, nominato venerdì alla presidenza, non resterà per molto

Anche Ds e Margherita scaricano il premier di PAOLO EMILIO RUSSO
ROMA Si aspettava le critiche della sinistra radicale. Del "Manifesto", di Oliviero Diliberto, pure quelle dei sindacati. Clemente Mastella è un po' meno spiegabile, ma non è la prima volta che decide di prendere posizioni "sociali". Idem per la "destra" dell'Ulivo, la Rosa nel pugno. Quelle che Romano Prodi proprio non aveva previsto erano le critiche dei suoi, quelle venute dal cuore del "Partito democratico". L'ala riformista della Margherita, quella più vicina a Francesco Rutelli, e l'area che fa capo a Massimo D'Alema nella Quercia, digeriscono a fatica il "neo-statalismo" del premier. L'iper attività del suo staff, lo schemino «artigianale» di Angelo Rovati, stanno creando non pochi imbarazzi dentro la maggioranza. Non sopiti nemmeno ora che al vertice di Telecom, la principale società telefonica del Paese, c'è un uomo non certo prodiano, Guido Rossi. Che l'aria non fosse proprio propizia per Palazzo Chigi, i suoi collaboratori l'hanno capito ieri mattina, dopo aver letto il fondo di "Europa", il quotidiano della Margherita: «Le dimissioni di Angelo Rovati consentirebbero al governo di affrontare il destino Telecom senza imbarazzi». Dunque l'appello: «Ora tutti a carte scoperte». Nel pomeriggio, è andata ancora peggio. A mettere a nudo la posizione critica dei dalemiani ci ha pensato Luciano Violante, presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio: «Anch'io, se fossi stato all'opposizione, avrei chiesto e preteso il governo in Aula», ha detto dal palco della Festa de l'Unità. Eppure il Professore aveva già detto no, che era «una cosa da matti». I Ds una volta tanto sono compatti. D'Alema, ma anche Piero Fassino. Era stato proprio il fassiniano Vannino Chiti, ministro dei Rapporti col parlamento, a dirsi favorevole per primo a una discussione sul caso Telecom. Il dibattito in Aula, come detto, ora lo chiedono anche il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, («Credo sia opportuno un confronto in Parlamento») e Capezzone («Appare ora indifferibile una presenza del Governo in Aula per chiudere una pagina opaca»). Fausto Bertinotti, il presidente della Camera, ha già detto sì: il Parlamento si deve confrontare col governo. Pure il segretario dell'Udeur, Mastella, entra a gamba tesa: «Le dimissioni di Tronchetti Provera lasciano l'amaro in bocca e dimostrano che chi aveva ritenuto che in alcuni settori strategici del nostro Paese bisognasse a tutti i costi privatizzare si sbagliava», dice il Guardasigilli. E le privatizzazioni, come è noto, le avviò proprio Prodi, dieci anni fa. Il Professore, ancora in Cina, fa muro. Urla coi suoi collaboratori, risponde a tono e difende, per quanto possibile, Rovati. Ai cronisti che gli chiedevano un commento alle dimissioni del presidente Telecom, ha risposto con una battuta: «Non ho niente da dire», afferma. Più tardi, dopo avere parlato con Luca Cordero di Montezemolo, tiene la posizione: «Non ero stato messo al corrente dei nuovi progetti». Poche parole, nessun sorriso. E a chi glielo fa notare risponde: «Io non sono per niente nervoso». Massimo D'Alema

I furboni del palazzo volevano imbrogliare perfino lo Stato di FRANCESCO FORTE
Ai furbetti del quartierino sono succeduti i furboni del palazzo, che stanno a Palazzo Chigi. Il piano per il gruppo Telecom trapelato dalla presidenza del Consiglio ha indotto l'ad del gruppo Marco Tronchetti Provera a dimettersi, mentre pare abbia generato turbative di quotazioni dei titoli telefonici. Però non è una raffinata operazione di finanza creativa, ma un semplice e indecoroso sistema per costituire una nuova Iri e distribuire benefici a spese del contribuente. Il gioco delle tre tavolette al paragone, è un'opera pia. L'ignoto finanziere che ha suggerito il piano, stima che la rete fissa di Telecom Italia valga «al minimo 25-30 miliardi di euro». Dice che altre stime la danno a 34, mentre nei libri contabili di Telecom, (guarda un po') essa è segnata per soli 9. L'ignoto "esperto" così afferma che se Telecom vende la rete fissa per 30 miliardi alla Cassa depositi e prestiti che è dello Stato, questa fa un affare, prendendo per 30 ciò che vale 34. Telecom, continua "l'esperto", cedendo la rete allo Stato per 30 miliardi realizza una bella plusvalenza di 21 miliardi (pari ai 30 incassati meno i 9, a cui la rete è segnata in bilancio). Però Telecom pagherebbe, su tale plusvalenza, imposte per il 40%, ossia 8,4 miliardi. Lo Stato, così, non spenderebbe 30 miliardi, ma solo 21,6, in quanto il Fisco girerebbe alla Cassa depositi e prestiti (Cassa Ddpp) gli 8,4 miliardi incassati. Poi, dice l'inventore del piano, dato che questa rete fissa vale 34 e non 30 miliardi, la Cassa Ddpp, potrà cederne facilmente, al prezzo di acquisto, il 60%, a operatori che ci guadagnerebbero. Poiché il 60% di 30 è 18 miliardi, lo Stato, che aveva versato 21,6 miliardi, rimarrebbe con un esborso netto di soli 3,6 miliardi (pari ai 21,2 meno 18) e avrebbe il pacchetto di controllo della rete fissa Telecom che varrebbe il 40 per cento di 34 miliardi, cioè 13,6 miliardi. Lo Stato avrebbe, così, un guadagno netto di 10 miliardi. Meraviglioso, geniale. Lo Stato s'arricchisce di 10 miliardi, il gruppo Telecom racimola 30 miliardi e può ripagare i debiti sotto cui stava per crollare. E la collettività dispone d'una rete telefonica fissa a cui si possono allacciare tutte le compagnie operanti in Italia . Ma è un imbroglio. Tutto nasce dalla stima iniziale di 30 miliardi che sarebbero meno dei 34 di valore vero. Se queste stime fossero realistiche non ci sarebbe bisogno della Cassa Ddpp per fare l'acquisto a 30 miliardi della rete di Telecom. Essa stessa potrebbe collocare in Borsa la sua rete per questa cifra. Può darsi che Tronchetti Provera si sia dimesso perché teme che una operazione di questa natura, ove fatta da lui, subirebbe il veto governativo, magari perché fra gli acquirenti ci sarebbero degli stranieri. Ma può anche darsi che queste stime siano eccessive e che i furboni del palazzo abbiano pensato che così possono indorare la pillola per il gruppo finanziario indebitato e per lo Stato, che dovrebbe acquistare a prezzo alto, ciò che il mercato prenderebbe solo a prezzo basso. In ogni caso la Cassa Dddpp, per versare i soldi per fare questa operazione dovrebbe fare un debito di 30 miliardi, oltre 2 punti di Pil. Il fisco statale ricaverebbe al massimo il 30% della plusvalenza, non il 40 perché il resto andrebbe in tributi locali e in spese detraibili dall'imponibile del venditore, in particolare per le consulenze di finanzieri e avvocati (pomposamente si dice merchant banks e consulting) che assisterebbero Telecom Italia nell'affare. Inoltre la Cassa Ddpp non potrebbe collocare sul mercato il 60% della rete fissa acquistata, allo stesso caro prezzo a cui se l'è addossata. Ma potrebbe vendere in perdita una buona fetta ad amici. L'operazione, alla fine, può comportare un maggior debito pubblico di 20 miliardi (1,5 punti di Pil) a fronte di una quota di rete fissa che vale la metà e che lo stato può controllare mediante le autorità di vigilanza, senza spendere un soldo per possederla.

My Speed Limit ??? 400 Km/h






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Rassegna Stampa Telecom   17/9/2006 14.3.13 (105 visite)   Mr_LiVi0
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