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Nick: /guevara/
Oggetto: la globalizzazione ....
Data: 11/10/2006 14.34.1
Visite: 88


e i suoi oppositori......
mi rendo conto che questo testo è impegnativo per chi nn ne capisce di macro-economia, però ho trovato questa sintesi in rete che mi sembra abbastanza chiara, non è breve ma se avete un minimo a cuore il futuro del mondo e volete cercare di capirne un minimo sui reali intenti di chi ci governa allora credo che dovreste cercare di trovare 15 minuti per leggere queste poche righe.....



LA GLOBALIZZAZIONE


E I SUOI OPPOSITORI



- sottolineature tratte dal libro di J.E.Stiglitz -



...dedicato ai “signori” del Wto che si stanno trovando in questi giorni a Cancun, per il


LORO vertice mondiale....



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(mediahacktivism@tatavasco.it)



“E che l’allegra ribellione riempia le strade di tutti i continenti !”


SubComandante Marcos



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Joseph E. Stiglitz



Professore di economia alla Columbia University, e' stato consigliere di Bill Clinton


alla Casa Bianca e, dal 1997 al 2000, senior vice president e chief economist della


Banca Mondiale, incarico che ha lasciato per protesta contro la gestione della crisi


asiatica.


Nel 2001 ha vinto il Premio Nobel per l’economia.



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PREFAZIONE



Non si tratta piu’ di capire se la globalizzazione sia buona o cattiva: la globalizzazione e’ una forza


positiva che ha portato enormi vantaggi ad alcuni, ma per il modo in cui e’ stata gestita, tanti milioni


di persone non ne hanno tratto alcun beneficio e moltissime altre stanno peggio di prima.


La sfida che ci attende oggi e’ la riforma della globalizzazione, affinche’ non porti vantaggi solo ai


paesi ricchi e maggiormente industrializzati, ma anche a quelli piu’ poveri e meno sviluppati.


Mentre mi trovavo alla Banca Mondiale, ho preso atto in prima persona degli effetti devastanti che


la globalizzazione puo’ avere sui paesi in via di sviluppo e in particolare, sui poveri che vi abitano.


Ritengo che la globalizzazione, ossia l’eliminazione di barriere al libero commercio e la maggiore


integrazione tra le economie nazionali, abbia tutte le potenzialita’ per arricchire chiunque nel mondo,


in particolare i poveri.


Ma perche’ cio’ avvenga, e’ necessario un ripensamento attento del modo in cui essa e’ stata


gestita, degli accordi commerciali internazionali che tanto hanno fatto per eliminare quelle barriere, e


delle politiche che sono state imposte ai paesi in via di sviluppo durante il processo di


globalizzazione.


Avevo studiato i fallimenti sia dei mercati sia dei governi e non ero tanto ingenuo da pensare che


l’intervento pubblico potesse rimediare a ogni guasto del mercato.


Non ero neppure cosi’ sciocco da ritenere che i mercati da soli, potessero risolvere qualsiasi


problema sociale.


Disuguaglianza, disoccupazione, inquinamento: erano questi i nodi in cui il governo doveva svolgere


un ruolo decisivo.


Quando sopraggiungevano le crisi, il FMI (il Fondo Monetario Internazionale) prescriveva soluzioni


“standard” sorpassate e inadeguate, senza considerare gli effetti che queste politiche avrebbero


avuto sui paesi che dovevano adottarle.


Raramente ho sentito fare previsioni delle conseguenze che queste politiche avrebbero avuto sulla


poverta’. Di rado ho assistito a discussioni o analisi attente sulle conseguenze di eventuali politiche


alternative.


La ricetta era una, e unica.


Non si cercavano ne’ si chiedevano altre opinioni. Per il dibattito aperto non c’era spazio e veniva


scoraggiato. Alla base delle indicazioni politiche c’era l’ideologia e i paesi dovevano seguire le


direttive dell’ FMI senza discutere.


I problemi che affliggono i paesi in via di sviluppo sono complessi, e l’ FMI viene interpellato nelle


situazioni peggiori, quando il paese sta affrontando una crisi. Ma i rimedi che si sono rivelati


fallimentari sono forse piu’ numerosi di quelli che hanno funzionato.


Le politiche di adeguamento strutturale dell’ FMI hanno portato alla fame e alla sommossa molti


popoli.


E anche quando i risultati non sono stati cosi’ disastrosi, quando i provvedimenti hanno favorito una


crescita temporanea, spesso ne hanno tratto vantaggio solo i piu’ abbienti, mentre i poveri sono


diventati ancora piu’ poveri.


I barbari attacchi dell’11 settembre ci hanno aperto improvvisamente gli occhi sul fatto che viviamo


tutti sullo stesso pianeta.


Siamo una comunita’ globale, e come tutte le comunita’ dobbiamo seguire alcune regole che ci


permettano di convivere. Queste regole devono essere -ed essere considerate- eque e giuste,


devono pensare tanto ai poveri quanto ai potenti ed essere animate dai principi fondamentali della


decenza e della giustizia sociale.


Nel mondo di oggi, si deve arrivare a regole simili attraverso processi democratici.


Le regole in base alle quali lavorano gli organismi e le autorita’ di governo devono andare incontro ai


desideri e rispondere alle esigenze di tutti i soggetti coinvolti in politiche e decisioni che arrivano da


lontano.


Le persone le cui vite saranno influenzate dalle decisioni relative al modo di gestire la globalizzazione


hanno il diritto di partecipare al dibattito e di sapere come sono state prese queste decisioni in


passato.


Una maggiore informazione portera’ sicuramente a politiche migliori, e di conseguenza, a risultati


migliori.


Se questo accadra’, sentiro’ di aver dato un contributo.



LA PROMESSA DELLE ISTITUZIONI GLOBALI



I burocrati internazionali -simboli senza volto dell’ordine economico mondiale- sono sotto accusa


ovunque.


Riunioni tra oscuri tecnocrati che prima passavano del tutto inosservate, sono oggi teatro di violenti


scontri di piazza e imponenti dimostrazioni.


La contestazione di Seattle contro il vertice dell’ Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC /


WTO) del 1999 ha provocato uno sconvolgimento profondo.


Da allora, il movimento e’ cresciuto e la rabbia si e’ diffusa.


Praticamente ogni riunione al vertice del FMI, della Banca mondiale e del WTO e’ accompagnata


da scontri e disordini, e Carlo Giuliani, il dimostrante morto a Genova nel 2001, potrebbe essere il


primo di una lunga serie di vittime della guerra contro la globalizzazione.


I tumulti e le contestazioni contro la politica e gli interventi delle istituzioni della globalizzazione nei


paesi in cia di sviluppo non sono una novita’. La novita’ e’ rappresentata dall’ondata di


contestazione nei paesi sviluppati.


L’apertura al commercio internazionale ha aiutato tanti paesi a crescere in modo rapido. La crescita


basata sulle esportazioni ha arricchito gran parte dell’Asia.


La globalizzazione ha ridotto il senso di isolamento, consentendo a molti di accedere a conoscenze


di gran lunga superiori a quelle di cui cent’anni fa erano in possesso i ricchi di qualsiasi altro paese.


Le contestazioni antiglobalizzazione sono il frutto di questa interconnessione. I collegamenti tra gli


attivisti in diverse parti del mondo hanno generato la pressione che ha portato alla messa al bando


delle mine antiuomo, e alla cancellazione del debito di alcuni dei paesi piu’ poveri.


Ma per molti nel mondo in via di sviluppo la globalizzazione non ha portato i vantaggi economici


sperati.


Un divario progressivamente piu’ accentuato tra ricchi e poveri ha ridotto in miseria un numero


sempre maggiore di persone del Terzo mondo, costrette a sopravvivere con meno di 1 euro al


giorno.


Il numero di persone che vivono in poverta’ e’ aumentato di quasi cento milioni (1990:


2.718.000.000, 1998: 2.801.000.000, fonte Banca Mondiale), mentre il reddito mondiale


complessivo e’ cresciuto in media del 2,5 per cento annuo.


Se la globalizzazione non e’ riuscita a ridurre la poverta’, non e’ riuscita neppure ad assicurare la


stabilita’.


Le crisi in Asia e in America latina hanno minacciato le economie e l’equilibrio politico di tutti i paesi


in via di sviluppo.


Il passaggio a un’economia di mercato non hanno prodotto i risultati sperati ne’ in Russia, ne’ nella


maggior parte delle economie in fase di transizione.


L’Occidente ha persuaso questi paesi che il nuovo sistema economico li avrebbe portati a una


prosperita’ senza precedenti. Senza precedenti, invece, e’ stata la poverta’ nella quale sono


sprofondati.


Sostanzialmente, la globalizzazione e’ una maggiore integrazione tra i paesi e i popoli del mondo,


determinata dall’enorme riduzione dei costi dei trasporti e delle comunicazioni e dall’abbattimento


delle barriere artificiali alla circolazione internazionale di beni, servizi, capitali, conoscenze e (in


minore misura) delle persone.


La globalizzazione e’ stata accompagnata dalla creazione di nuove istituzioni che si sono affiancate a


quelle esistenti per operare a livello transnazionale (Wto, Fmi, Banca mondiale)


La globalizzazione e’ guidata con forza dalle multinazionali che fanno circolare capitali, merci e


tecnologia.



FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE (FMI),


BANCA MONDIALE (BM) e ORGANIZZAZIONE


MONDIALE DEL COMMERCIO (WTO)



Le prime due istituzioni furono create nel 1944 durante la seconda guerra mondiale a seguito della


Conferenza di Bretton Woods, nel contesto di uno sforzo concertato per finanziare la ricostruzione


dell’Europa e salvare il mondo da future depressioni economiche.


Il nome esatto della Banca mondiale -Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo”, riflette


la sua missione d’origine.


Il compito piu’ difficile per assicurare la stabilita’ economica globale fu assegnato all’FMI, incaricato


di esercitare una pressione internazionale sui paesi che lasciavano sprofondare le loro economie.


L’FMI e’ un’istituzione pubblica, finanziata dai contribuenti di tutto il mondo. E’ importante


sottolineare questo aspetto, perche’ di fatto questo organismo non risponde direttamente ne’ ai


cittadini che lo finanziano, ne’ alle persone coinvolte nelle sue politiche, bensi’ ai ministeri delle


Finanze e alle banche centrali dei vari governi, i quali esercitano il loro controllo attraverso un


complicato sistema di votazione basato principalmente su quello che era il potere economico dei


diversi paesi alla fine della seconda guerra mondiale.


Da allora sono state introdotte alcune modifiche di modesta entita’, ma sono le principali nazioni


industrializzate a comandare, e un solo paese, gli Stati Uniti, ad avere un effettivo diritto di veto.


L’FMI, nato sul presupposto che i mercati spesso funzionino male, ora sostiene con fervore


ideologico la supremazia del mercato.


Mezzo secolo dopo la sua fondazione, e’ chiaro che l’FMI da fallito nella propria missione. Non ha


fatto cio’ che doveva fare, cioe’ fornire ai paesi afflitti da una contrazione economica fondi per


consentire la ripresa e aiutarli nel tentativo della piena occupazione.


Le crisi nel mondo sono sempre piu’ frequenti e piu’ gravi.


Il fatto grave e’ che molte delle politiche sostenute dall’ FMI hanno contribuito all’instabilita’


globale; nei paesi in crisi in molti casi l’hanno addirittura peggiorata, specialmente per i poveri.


Gli accordi di Bretton Woods avevano evidenziato la necessita’ di una terza organizzazione, il


WTO, per governare i rapporti commerciali internazionali, un compito simile a quello del FMI nel


regolare le relazioni finanziarie internazionali. Fu solo nel 1995 che prese forma il WTO, che


differisce profondamente dalle altre due organizzazioni. Non stabilisce regole, ma fornisce una


tribuna per lo svolgimento dei negoziati commerciali e assicura che gli accordi vengano rispettati.


Le idee e le intenzioni che hanno animato la creazione delle istituzioni economiche internazionali


erano buone, ma hanno subito un’evoluzione graduale nel tempo fino a trasformarsi completamente.


Le loro politiche sono spesso troppo allineate agli interessi economici e finanziari dei paesi


industrializzati. La globalizzazione, cosi’ come e’ stata praticata finora, non ha mantenuto le


promesse ne’ha realizzato nulla di cio’ che avrebbe dovuto. In alcuni casi non ha nemmeno portato


alla crescita, ma anche quando lo ha fatto, i vantaggi non sono stati distribuiti equamente; l’effetto


netto delle politiche del “Washington Consensus” e’ stato spesso quello di avvantaggiare pochi a


spese di molti, i ricchi a spese dei poveri. In molti casi, gli interessi e i valori commerciali si sono


sostituiti alle preoccupazioni per l’ambiente, la democrazia, i diritti umani e la giustizia sociale.


Di per se’ la globalizzazione non e’ ne’ buona ne’ cattiva.


E’ giunto il momento di cambiare alcune delle regole alla base dell’ordine economico internazionale,


di attribuire meno importanza alle ideologie e di preoccuparsi piuttosto che le cose funzionino,


ripensando a come vengono prese le decisioni a livello internazionale e nell’interesse di chi.


La globalizzazione puo’ essere corretta e quando cio’ avviene, quando cioe’ viene gestita in modo


equo e giusto, dando voce a tutti i paesi coinvolti nelle politiche applicate, e’ possibile che aiuti a


creare una nuova economia globale in cui la crescita non sara’ soltanto piu’ sostenibile, ma anche


piu’ equamente distribuita.



PROMESSE INFRANTE



La guerra moderna, fortemente tecnologica, mira ad eliminare il contatto umano: sganciare bombe


da un’altezza di 15000 metri permette di non “sentire” quello che si fa.


La gestione economica moderna e’ simile: dalla lussuosa suite di un albergo si possono imporre con


assoluta’ imperturbabilita’ politiche che distruggeranno la vita di molte persone, ma la cosa lascia


tutti piuttosto indifferenti, perche’ nessuno le conosce.


Purtroppo i macroeconomisti ricevono spesso una formazione che non li prepara adeguatamente ai


problemi che dovranno affrontare nei paesi in via di sviluppo.


In alcune universita’ a cui l’FMI attinge regolarmente per reclutare nuovo personale, i modelli


studiati nei corsi non prevedono il fattore disoccupazione.


Poiche’ nel fondamentalismo di mercato - in cui per definizione i mercati funzionano perfettamente e


la domanda deve equivalere all’offerta di manodopera, come per qualsiasi altra merce o fattore -


non puo’ esistere disoccupazione, il problema non puo’ essere attribuito ai mercati.


Deve, per forza, risiedere altrove: nell’avidita’ dei sindacati e dei politici che interferiscono con il


naturale funzionamento dei mercati chiedendo, e ottenendo, salari eccessivi.


L’implicazione politica e’ evidente: se c’e’ disoccupazione, bisogna ridurre i salari.


Il “fondamentalismo di mercato” richiede poca o nessuna considerazione delle circostanze particolari


e dei problemi immediati di un paese.


Sofferenza e dolore diventano quindi parte integrante del cammino verso la redenzione, a riprova


che il paese ha intrapreso la via giusta.


La deriva graduale che ha condotto l’FMI al di fuori della sua area di competenza, sul piano


macroeconomico, per portarlo ad occuparsi di questioni strutturali come la privatizzazione, il


mercato del lavoro, le riforme pensionistiche e via dicendo, e di temi piu’ vasti in materia di strategie


di sviluppo, ha determinato un’ulteriore alterazione dell’equilibrio delle forze intellettuali.


L’ FMI, naturalmente, sostiene di non imporre mai, bensi’ di negoziare sempre le condizioni di


qualsiasi contratto di prestito con il paese mutuatario, ma di fatto si tratta di negoziati a senso unico


in cui tutto il potere e’ nelle sue mani, principalmente perche’ molti paesi che chiedono aiuto all’FMI


hanno un bisogno disperato di finanziamenti.


Questo aspetto mi colpi’ di nuovo durante la mia visita nella Corea del Sud nel dicembre 1997,


mentre si cominciavano ad osservare i primi segni della crisi dell’Est asiatico.


I funzionari coreani mi spiegarono con riluttanza che avevano avuto paura di esprimere apertamente


il loro dissenso perche’ l’FMI avrebbe avrebbe potuto non soltanto tagliare i propri finanziamenti,


ma anche sfruttare la propria autorita’, manifestando dubbi sull’ economia coreana, per scoraggiare


gli investimenti delle istituzioni finanziarie private.


La Corea quindi non aveva scelta, e persino una critica velata al programma dell’FMI avrebbe


potuto avere effetti disastrosi.


E quando erano irritati, i dirigenti dell’FMI potevano ritardare l’erogazione dei prestiti, prospettiva


decisamente allarmante per un paese in crisi.


L’FMI non puo’ ignorare completamente le richieste, sempre piu’ diffuse, di una maggiore


partecipazione dei paesi poveri nella formulazione delle strategie di sviluppo e di una piu’ profonda


attenzione nei confronti della poverta’.


Le istituzioni internazionali sono sfuggite a quel tipo di responsabilita’ etico-sociale che ci attendiamo


dagli organismi pubblici nelle democrazie moderne.


E’ arrivato il momento di “dare un voto” all’operato delle istituzioni economiche internazionali e di


valutare se e in che misura abbiano contribuito a promuovere la crescita e a ridurre la poverta’.



LIBERTA’ DI SCELTA



Quando la liberalizzazione del commercio avviene nei modie nei tempi dovuti, contribuendo alla


creazione di nuovi posti di lavoro a fronte della perdita di posti di lavoro inefficienti, i vantaggi


possono essere notevoli.


Il problema e’ stato che molte di queste politiche sono diventate un fine in se’, e non piu’ un mezzo


per ottenere una crescita piu’ equa e sostenibile.



LA PRIVATIZZAZIONE



Nel complesso, aziende private in concorrenza fra loro possono svolgere le loro funzioni con


maggiore efficienza. E’ questo l’argomento a favore della privatizzazione.


Sfortunatamente l’FMI e la Banca mondiale hanno affrontato questa problematica da un punto di


vista ideologico molto ristretto: la privatizzazione doveva essere perseguita velocemente.


Il risultato, spesso, e’ che la privatizzazione non ha portato i vantaggi promessi e i problemi legati a


questi fallimenti hanno suscitato antipatia nei confronti del concetto stesso di privatizzazione.


Nei paesi in via di sviluppo, questi problemi sono ancora piu’ gravi: l’eliminazione di un’azienda di


stato puo’ lasciare un vuoto profondo e, anche se in seguito subentrano dei privati, la sofferenza che


si viene a creare nel frattempo puo’ essere enorme.


La privatizzazione e’ stata cosi’ aspramente criticata perche’ spesso distrugge posti di lavoro


anziche’ crearne di nuovi. I costi della disoccupazione sono altissimi e questi costi sociali vanno oltre


l’immediatezza del licenziamento. Trasformare i lavoratori di un’impresa pubblica scarsamente


produttiva in discoccupati non contribuisce certo ad aumentare il reddito di un paese ne’ tantomeno


il benessere dei lavoratori.


L’aspetto piu’ grave associato alla privatizzazione, cosi’ come e’ stata condotta in tanti casi, e’ forse


la corruzione.


La Russia costituisce un esempio devastante dei danni provocati dalla “privatizzazione a tutti i costi”.


La privatizzazione, non accompagnata da politiche di regolamentazione della concorrenza capaci di


impedire l’abuso dei poteri monopolistici, puo’ provocare un aumento anziche’ una riduzione dei


prezzi per i consumatori. L’austerita’ fiscale, perseguita ciecamente, nelle circostanze sbagliate puo’


portare ad un aumento della disoccupazione e alla disgregazione del contratto sociale.


Chiedere alle popolazioni dei paesi in via di sviluppo di pagare le tasse scolastiche e’ un altro


esempio di questa ristrettezza di vedute.



LA LIBERALIZZAZIONE



Ossia l’eliminazione dell’interferenza del governo sui mercati finanziari e sui capitali, e delle barriere


al commercio.


Oggi, persino l’FMI ammette di aver premuto troppo sull’acceleratore.


Infatti, la liberalizzazione ha contribuito alle crisi finanziarie internazionali degli anni Novanta e, in un


piccolo paese in via di sviluppo, puo’ provocare distruzione e caos.


La liberalizzazione degli scambi dovrebbe favorire l’incremento del reddito di un paese spostando le


risorse verso impieghi piu’ produttivi: ma spostarle verso aree a produttivita’ zero non arricchiesce


un paese e, molto spesso, i programmi dell’FMI hanno fatto proprio questo.


Il fatto che la liberalizzazione del commercio conduca semplicemente ad un aumento della


disoccupazione, e’ la ragione che provoca una forte opposizione.


I paesi occidentali hanno spinto la liberalizzazione del commercio per i loro prodotti di esportazione,


ma al tempo stesso hanno continuato a proteggere i settori che potevano risentire della concorrenza


dei paesi in via di sviluppo.


E’ stata questa una delle basi dell’opposizione contro i negoziati di Seattle.


Oggi i mercati emergenti vengono obbligati ad aprirsi attraverso la potenza economica, con la


minaccia di sanzioni o del rifiuto dell’aiuto necessario nei momenti di crisi.


La situazione peggiora ulteriormente quando gli Stati Uniti agiscono unilateralmente, anziche’ dietro il


paravento dell’FMI.


Le strategie alternative esistono.


Sono strategie diverse, non soltanto in termini di priorita’, ma anche di politiche.


Politiche di riforma fondiaria, ma non liberalizzazione dei mercati finanziari; politiche di salvaguardia


della concorrenza, prima di procedere alla privatizzazione; politiche che garantiscono la


liberalizzazione del commercio di pari passo con la creazione di nuovi posti di lavoro.


Queste alternative si richiamano ai mercati, ma attribuiscono un ruolo importante anche al governo.


Interpretano il cambiamento non come una semplice questione economica, ma come parte di una


piu’ ampia evoluzione della societa’, e se il sostegno deve essere ampio, allora i vantaggi devono


essere distribuiti equamente fra tutti.


Il compito delle istituzioni economiche internazionali dovrebbe essere quello di fornire ai paesi i


mezzi necessari per prendere da soli decisioni informate.


L’essenza della liberta’ consiste nel diritto di compiere una scelta, accettando la responsabilita’ che


ne consegue.



STRADE MIGLIORI VERSO IL MERCATO



La Polonia e’ il paese dell’est europeo che ha ottenuto risultati migliori; la Cina ha registrato il tasso


di crescita piu’ rapido di qualsiasi altra grande economia del mondo negli ultimi vent’anni,


producendo la piu’ vasta riduzione della poverta’ nella storia.


L’ex premier e ministro delle finanze polacco, Kolodko, ha affermato che il successo del suo paese


e’ dovuto al rifiuto esplicito delle dottrine del Washington Consensus.


La Cina non ha privatizzato le aziende di stato: ha riconosciuto i pericoli di una liberalizzazione totale


del mercato dei capitali, pur aprendo le porte agli investimenti esteri diretti.


Una caratteristica del casi di successo e’ che sono “nostrani”, studiati all’interno di ciscun paese da


esperti in grado di tenere conto delle esigenze e delle caratteristiche nazionali specifiche.


Coloro che sono responsabili degli errori del passato non hanno molti consigli da dare alla Russia


per il futuro. Si ostinano a ripetere gli stessi dogmi: la necessita’ di continuare sulla strada della


stabilizzazione, della privatizzazione e della liberalizzazione.



LA STRADA DA PERCORRERE



La globalizzazione, oggi, non funziona per molti poveri del mondo.


Non funziona per gran parte dell’ambiente. Non funziona per la stabilita’ dell’economia globale. La


transizione dal comunismo all’economia di mercato e’ stata gestita talmente male che, fatta


eccezione per la Cina, il Vietnam e qualche paese dell’Europa orientale, la poverta’ e’ aumentata a


dismisura e i redditi sono crollati.


Per alcuni la risposta e’ semplice: abbandonare la globalizzazione.


Questo pero’ non e’ fattibile, ne’ auspicabile.


Una richiesta di riforme e’ palpabile: credo che la globalizzazione possa essere pensata in modo


diverso allo scopo di realizzare appieno il suo potenziale positivo, e ritengo che le istituzioni


economiche internazionali possano essere ristrutturate in maniera utile affinche’ questo possa


avvenire.


Proprio come l’FMI riserva scarsa attenzione ai problemi dei poveri, il WTO antepone il commercio


a qualsiasi altra considerazione.


La sfida principale non e’ rappresentata dalle istituzioni in quanto tale, ma dalla mentalita’ che le


governa: l’attenzione per l’ambiente, l’esigenza che i poveri abbiano voce in capitolo nelle decisioni


che li riguarda, la salvaguardia della democrazia e del libero mercato sono necessari se vogliamo


realizzare il potenziale beneficio della globalizzazione.


Il problema e’ che le istituzioni hanno cominciato a riflettere la mentalita’ di coloro a cui rispondono.


Il cambiamento piu’ sostanziale, necessario per far funzionare la globalizzazione nel modo dovuto, e’


un cambiamento di governo di queste istituzioni. Al FMI e alla Banca mondiale sarebbe necessaria


una modifica del sistema di voto e dare a tutti la possibilita’ di far sentire la propria voce (al WTO si


ascolta solo l’opinione dei ministeri del commercio, e al FMI-Banca mondiale solo i rappresentanti


dei dicasteri delle finanze e del tesoro).


Il malcontento nei confronti della globalizzazione deriva non soltanto dal fatto che le considerazioni di


ordine economico sembrano prevalere su tutto il resto, ma anche dal predominio assoluto di una


visione particolare dell’economia su tutte le altre: il fondamentalismo del mercato.


Gran parte del resto del mondo si sente privata del proprio diritto di scegliere, se non addirittura


costretta a compiere scelte che paesi come gli Stati Uniti hanno rifiutato.



DIVERSO GOVERNO DELLE ISTITUZIONI



Non possiamo tornare indietro solla globalizzazione: la questione e’ come farla funzionare. E per


farla funzionare, devono esistere delle istituzioni pubbliche globali che stabiliscano le regole.


Con la globalizzazione, l’intervento in molti settori ha conseguenze che si ripercuotono a livello


globale ed e’ proprio in questi che si richiede un’azione collettiva e si sente la necessita’ si un sistema


di governo globale.


Esistono questioni universali in materia di ambiente, in particolare quelle che riguardano gli oceani e


l’atmosfera (gas serra e buco nell’ozono).



TRASPARENZA



Il modo migliore per far si che le istituzioni economiche internazionali siano piu’ sensibili alle esigenze


dei poveri, all’ambiente e alle tematiche politiche e sociali di interesse generale e’ quello di operare


con maggiore apertura e trasparenza. Ancora piu’ importante perche’ i loro leader non sono eletti


dai cittadini.


La segretezza non solo semplifica loro la vita, ma li mette in condizione di curare tutta una serie di


interessi particolari.


La segretezza minaccia anche la democrazia.



DIBATTITO PUBBLICO



L’ assenza di un dibattito aperto fa si che modelli e politiche non vengano sottoposti a critiche


tempestive. Se le azioni e le politiche dell’ FMI durante la crisi del 1997 fossero state poste a


processi democratici tradizionali e si fosse svolto un dibattito generale e aperto nei paesi in crisi a


proposito delle politiche proposte dall’FMI, queste non sarebbero forse mai state adottate, mentre


se ne sarebbero potute individuare altre, sicuramente piu’ valide.



RIFORMA DEL SISTEMA FINANZIARIO INTERNAZIONALE



Una delle distinzioni importanti tra ideologia e scienza e’ che quest’ultima prende atto dei limiti di


cio’ che conosce.


Come si puo’ imparare dagli errori, se nemmeno si ammettono ?


L’FMI non si e’ mai chiesto come mai i suoi modelli abbiano sistematicamente sottovalutato la


gravita’ delle recessioni o perche’ le sue politiche siano state sistematicamente troppo recessive.


Il Fondo monetario cerca di difendere la propria posizione di infallibilita’ istituzionale dicendo che se


si dimostrasse incerto a proposito della validita’ delle sue politiche perderebbe credibilita’.


Atttualmente l’FMI e’ responsabile della raccolta di importanti statistiche economiche e sebbene, in


linea di massima, svolga questo compito efficacemente , i dati che riferisce sono compromessi dalle


sue responsabilita’ operative.


Un’altra attivita’ del Fondo monetario e’ la sorveglianza, vale a dire la valutazione dei risultati


economici di un paese.


E’ il meccanismo attraverso il quale l’FMI impone i suoi particolari punti di vista ai paesi in via di


sviluppo.


Riportando l’FMI alla sua missione originaria e restringendone il campo di azione, sarebbe possibile


esercitare un maggior controllo su di esso.



TENTATIVI DI RIFORMA?



Le istituzioni hanno cambiato linguaggio: parlano di trasparenza, poverta’, partecipazione.


Ma per quanto profondi questi cambiamenti possano sembrare a coloro che operano all’interno


delle istituzioni, all’esterno appaiono superficiali.


L’FMI e la Banca mondiale continuano a seguire criteri di divulgazione delle informazioni molto piu’


restrittivi rispetto a quelli a cui si attengono governi democratici di paesi come Stati Uniti, Svezia,


Canada e cercano di tenere nascoste relazioni di importanza critica



RIFORMARE IL WTO E RIEQUILIBRARE IL COMMERCIO


INTERNAZIONALE



Le proteste internazionali contro la globalizzazione cominciarono in occasione del vertice del WTO a


Seattle perche’ questa organizzazione rappresentava il simbolo piu’ ovvio delle iniquita’ globali e


dell’ipocrisia dei paesi industrializzati: mentre da un lato proclamavano che i paesi in via di sviluppo


non dovevano sovvenzionare le industrie, dall’altro continuavano a fornire sussidi per miliardi ai loro


agricoltori, rendendo di fatto impossibile qualsiasi tipo di concorrenza da parte dei paesi piu’


svantaggiati.


Una delle aree che hanno suscitato particolare preoccupazione a Doha e’ stata quella dei diritti di


proprieta’ intellettuale.


Lo sdegno internazionale nel contesto della fornitura di medicinali anti aids in Sudafrica, ha costretto


le aziende farmaceutiche a cedere.


Esiste un altro pericolo: la biopirateria. Le multinazionali del settore farmaceutico avevano


cominciato a brevettare farmaci e prodotti alimentari tradizionali.


Il problema non e’ solo che cercano di ricavare profitti da rirsorse che appartengono di diritto ai


paesi in via di sviluppo, ma anche che, cosi’ facendo, tentano di soffocare le aziende locali che da


sempre forniscono questi prodotti.


Per riformare il WTO sara’ necessario pensare a un modo piu’ ponderato di gestire i rapporti


commerciali -piu’ bilanciato nel tutelare gli interessi dei paesi in via di sviluppo e piu’ equilibrato


nell’affrontare temi non strettamente commerciali, come per esempio l’ambiente.


Perche’ si possa parlare di giustizia economica internazionale occorre che i paesi sviluppati aprano le


loro frontiere al commercio equo e si decidano a intrattenere rapporti paritari con i paesi in via di


sviluppo.



VERSO UNA GLOBALIZZAZIONE DAL VOLTO UMANO



Le riforme che ho descritto a grandi linee contribuirebbero a tendere la globalizzazione piu’ equa e


piu’ efficace nel migliorare il tenore di vita delle popolazioni, e in particolare dei poveri.


Non si tratta semplicemente di modificare le strutture istituzionali. E’ proprio il modo di intendere la


globalizzazione che deve cambiare.


Una delle ragioni per cui la globalizzazione viene criticata e’ che sembra mettere in pericolo i valori


tradizionali.


Altrettanto importanti sono le conseguenze che la globalizzazione ha sulla democrazia.


La globalizzazione, cosi’ come e’ stata propugnata, sembra spesso sostituire le vecchie dittature


delle elite nazionali con le nuove dittature della finanza internazionale.


Fintantoche’ la globalizzazione continuera’ ad essere presentata cosi’ com’e’ avvenuto finora, essa


costituisce una privazione dei diritti civili.


Senza riforme, la reazione violenta che e’ gia’ cominciata si fara’ ancora piu’ aspra e il malcontento


nei confronti della globalizzazione non potra’ che crescere.


Sebbene dal punto di vista economico saranno le popolazioni dei paesi in via di sviluppo a rimetterci


di piu’, le conseguenze politiche si faranno sentire anche nei paesi industrializzati.


Oggi, milioni di persone in tutto il mondo sono in attesa di vedere se sia possibile riformare la


globalizzazione affinche’ i suoi vantaggi possano essere ripartiti in modo equo.


Per fortuna, c’e’ una sempre maggiore consapevolezza di questi problemi e una crescente volonta’


politica di fare qualcosa.


L’ideologia neoliberista dovrebbe essere sostituita da analisi basate sulle scienze economiche, con


una visione piu’ equilibrata del ruolo del governo che derivi dalla comprensione dei difetti sia del


mercato sia dell’intervento pubblico.


I paesi in via di sviluppo devono assumersi in prima persona la responsabilita’ del loro benessere.


Quelle che servono sono politiche per una crescita sostenibile, giusta e democratica. Questa e’ la


ragione dello sviluppo. Lo sviluppo non e’ uno strumento per aiutare poche persone ad arricchirsi o


per creare una manciata di inutili settori protetti da cui trae vantaggio solo un’elite ristretta.


Sviluppo significa trasformare la societa’, migliorare la vita dei poveri, dare a tutti una possibilita’ di


successo e garantire a chiunque l’accesso ai servizi sanitari e all’istruzione.


Significa anche che la partecipazione deve essere ampia e andare oltr gli esperti e i politici.


L’Occidente deve fare la propria parte per riformare le istituzioni internazionali che governano la


globalizzazione.


Siamo noi che abbiamo creato queste istituzioni e ora dobbiamo impegnarci per farle funzionare.


Se vogliamo prendere in cosiderazione le preocupazioni legittime di chi ha espresso il proprio


malcontento nei confronti della globalizzazione, se vogliamo che la globalizzazione funzioni per i


miliardi di persone che finora non hanno tratto alcun beneficio, se vogliamo che la globalizzazione dal


volto umano diventi una realta’, allora dobbiamo alzare la voce.


Non possiamo, non dobbiamo, rimanere in disparte relegandoci al ruolo di semplici e inerti


spettatori.



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MediaH@CKtivism Project



settembre 2003





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