Nick: Aquilante Oggetto: Dove c'è fame, c'è guerra Data: 17/10/2006 0.28.39 Visite: 88
Fare musica a Napoli non è diverso dal fare qualsiasi altro tipo di mestiere precario. Fare il musicista in questa città significa apprendere, specializzarsi, è una volta che si è quasi un " operaio specializzato della musica " ci si ritrova come un operario specializzato in un posto in cui non ci sono fabbriche. Così si lavora con quello che offre la piazza e anche per la musica ci si abbandona a tutti i mali della propria terra. Gli impresari? Quei pochi " impresari " che operano in questa cità, cercano di piazzare la loro "merce" come vecchi venditori di biancheria: vendono sul venduto. Quasi sempre cercano un varco politico, un innesto, un sovvenzionamento, una nuova idea che possa interessare questo o quel politico alla regione, alla provincia, al comune e talvolta diventano diretti referenti di chi dal nord viene a speculare su quello che, musicalmente parlando, c’è in questa città e che può essere in qualche modo un " fenomeno " che stimoli la curiosità del resto della nazione. Ma in definitiva la domanda è: chi sono gli operatori nel campo della musica a Napoli? come lavorano? Ce ne sono di vario tipo, ma alla fine ottengono il medesimo precario risultato. Tutti sono impresari ma nessuno è imprenditore, tutti sono pronti a vendere quello che è già di per se vendibile poiché nel suo piccolo si è fatto spazio da solo. L’impresario napoletano, quasi sempre, per suo dire, è il manager di questo o di quell’artista, ha la sua bella agenzia e la sua bella lista di artisti. Cerca di appoggiarsi politicamente alle persone che contano per lavorare con la politica perché le istituzione possono pagare di più. Quello che funziona sempre è fregiarsi di un certo tipo di manifestazioni cosiddette culturali, tutto ciò che è legato in qualche modo alla tradizione, tutto ciò che poi è facilmente associabile al concetto e alla parola " cultura " che è sempre un buon biglietto da visita specie in quelle tipiche conferenze stampa per la presentazione di un evento. Quindi in una manifestazione che si rispetti col patrocinio del comune, della regione, della provincia non guastano mai nomi come: Peppe Barra, Eugenio Bennato, N.C.C.P, Enzo Gragnaniello… Poi ci sono quelli che da anni cercano di spremere finchè si può quegli artisti rimasti ancora sulla piazza e che un tempo erano associati al cosiddetto " Neapolitan Power " degli anni ’80, che senza ombra di dubbio resta l’ultima vera rivoluzione della musica napoletana. Chi costruì, gestiì e alimentò tutto ciò era un signore che si chiamava e si chiama Willy David, ma quel signore non era e non è napoletano. Quindi artisti che hanno inorgoglito la nostra infanzia o la nostra adolescenza oggi si ritrovano gestiti da gente spesso incapace che specula sul passato, così ci si ritrova ad ascoltare James Senese spesso in contesti non propriamente adatti; qualche anno fa lo si poteva sentire suonare anche in qualche pub di provincia, mentre tra i tavoli servivano panini, con un paio di musicisti al fianco senza batterista e col suo sax , che è sempre poesia, anche se suonato su basi preregistrate. Chi è riuscito invece a non suonare più nei pub è Enzo Avitabile che dal musicista funky, metropolitano, un po’ americano che era, oggi vive, fotunatamente, un periodo felice con strepitosi successi all’estero. Ha cambiato strada musicalmente parlando, e oggi fa musica etnica, attinge dalla tradizione popolare la sua musica, i musicisti sulpalco sono vestiti da battenti, devoti della madonna dell’arco, ci sono i bottari, e lui canta " Salvamme ‘ o munno " Francesco De Gregori in una canzone dice "…. la musica etnica la contaminazione, l’ultima spiaggia dei vigliacchi della comunicazione " , ma in questo caso ad Avitabile è andata bene il suo impresario ha avuto buon fiuto e intuizione, ma anche Andrea Aragosa non è napoletano è casertano in tutto il suo splendore. Poi c’è il Jazz napoletano che fa capitolo apparte e spesso si gestisce da solo con il risultato che nomi come Marco Zurzulo e Antonio Onorato rischi di trovarli a suonare anche al bar sport. Circa il Jazz napoletano ci sarebbe un discorso lungo da fare o forse no, forse breve nella mia personale conclusione: il Jazz napoletano non esiste. Fervore c’è stato negli anni ’90 con il dub napoletano, ma finita la tendenza è finito tutto il movimento; ogni tanto però può capitare di ascoltare Raiz duettare con Sal Da Vinci. Napoli è fossilizzata è chiusa nella sua stessa morsa della tradizione. Tutto è legato alla contaminazione con la radice della canzone napoletana, tutto in modo o nell’altro conserva un non so che di cartolina. Non si da spazio alla musica realmente contemporanea. Napoli non è rock, Napoli non è pop, Napoli è con ogni probabilità, in fatto di musica, la città più provinciale di tutta la nazione. E’ il linguaggio contemporaneo quello che manca è la musica del 2006, non dico avanguardia, ma 2006; c’è così poco, che quel poco che c’è non permette di vedere se c’è altro. E si sa: dove c’è fame c’è guerra e a a morire è tutta quella musica a cui non viene data la possibilità di crescere e di essere ascoltata. Buone cose (non solo per le donne) |