Nick: POMPEO Oggetto: camorra Data: 18/10/2006 17.12.26 Visite: 122
’Tore ’e Criscienzo», citato nelle cronache cittadine di metà Ottocento come il «capintesta» della camorra partenopea, viveva a Montecalvario. La sua influenza si estendeva dalla Vicaria al Porto e assieme alla famiglia gestiva, praticamente in regime di monopolio assoluto, il florido mercato della carne di maiale. Tangenti e imposizione di forniture a tutte le taverne della città. Praticamente racket ante litteram. Allora come adesso, dunque, il cuore della malavita locale pulsava nel Centro storico di Napoli. Allora come adesso, inoltre, la strategia della camorra era di carattere prettamente economico. Com’è cambiata in un secolo e mezzo di storia partenopea l’organizzazione e la struttura dei clan malavitosi? Molto, e al tempo stesso pochissimo. Si sono diversificati enormemente, questo è chiaro, gli affari criminali. Se l’attività estorsiva e il controllo della prostituzione che ancora oggi costituiscono una fetta rilevante del bilancio della camorra — rispettivamente 4703 e 587 milioni di euro di fatturato nel 2004 secondo Eurispes — fruttavano potere e denaro già nell’Ottocento, i due grandi business del contrabbando di sigarette e del traffico di droga emergono solo nella seconda metà del Novecento. Oggi, poi, le indagini della magistratura dimostrano come la camorra, seguendo il trend della globalizzazione, si sia spinta sempre più sui mercati internazionali, riciclando il denaro sporco in attività commerciali e imprenditoriali dalla Scozia alla Cina. Ciò che invece non appare soggetto a cambiamenti rapidi e significativi nel corso dei decenni è il complessivo assetto geografico e familistico della camorra partenopea. I gruppi criminali, soprattutto quelli storicamente radicati sul territorio, appaiono infatti duri a morire. Soltanto da alcuni mesi, ad esempio, gli investigatori non sembrano avere più dubbi rispetto al fatto che la famiglia Giuliano, egemone a Forcella per oltre mezzo secolo, possa essere considerata estinta dal punto di vista della sua forza criminale. Più di una vicenda giudiziaria che la riguarda, però, è ancora in corso: mentre le rivelazioni dei pentiti Luigi e Salvatore continuano a fornire materiale significativo per la comprensione delle dinamiche interne alla scena criminale partenopea, l’ultimo rampollo della famiglia, Salvatore «il rosso», ventidue anni appena, è stato condannato il 31 marzo scorso per l’omicidio della giovane Annalisa Durante. Come i Giuliano altre storiche famiglie della camorra partenopea hanno mantenuto per decenni potere e controllo del territorio, grazie alla capacità dei loro boss di gestire alleanze e soffocare i conflitti sul nascere. Tra queste il gruppo dei Licciardi, già storica componente dell’Alleanza di Secondigliano, e quello capeggiato dal boss latitante Edoardo Contini, detto «’o romano» per i suoi interessi nella capitale, egemone nella zona della stazione centrale. Oltre vent’anni di potere anche per il clan di Giuseppe Misso, «’o Nasone», il boss della Sanità simpatizzante dell’estrema destra che finì sotto processo, ma fu poi assolto dall’accusa, per una sua presunta partecipazione alla strage del rapido 904 nella notte del 23 dicembre 1984. Il nome di Misso, oggi in carcere, negli anni Ottanta fece il giro del mondo per la rapina miliardaria realizzata dal suo clan ai danni del Monte dei Pegni del Banco di Napoli. Teorizzare e praticare furti e rapine, definiti «prelievi forzati», come una delle principali attività del gruppo è un’anomalia che ha a lungo contraddistinto il clan Misso in un panorama criminale che vedeva fiorire ben altro genere di affari. Tra le poche novità rilevanti dell’ultimo decennio emerge l’avanzata del clan guidato da Paolo Di Lauro, che inizia la sua carriera come uomo dei Nuvoletta alla fine degli anni ’80 e poi si muove alla conquista delle piazze di spaccio di Secondigliano e Scampia, investendo nella creazione di un sistema del narcotraffico che riproduce i mecanismi e la struttura di un’azienda multilevel. Oltre al filo rosso fuoco, ce n’è un altro che lega le guerre di camorra scoppiate, a distanza di circa un anno l’una dall’altra, a Scampia e alla Sanità. In entrambi i casi a mettere a rischio la tenuta del potere criminale del gruppo originario, e a determinarne una frattura, è stata l’avanzata, all’interno del clan dominante, delle nuove leve: i figli di Paolo Di Lauro e i nipoti di Peppe Misso. Dopo gli arresti dei boss e di decine e decine di affiliati, entrambe le mattanze hanno subito una forte battuta d’arresto. Appare però impossibile affermare con certezza che i due focolai, tenuti sotto stretta osservazione da parte degli investigatori, si siano spenti per sempre. Un nuovo rischio, intanto, si profila all’orizzonte: i clan Di Biase dei Quartieri Spagnoli, Festa del Cavone e Sabatino-Torino della Sanità, starebbero lavorando alla costruzione di un’alleanza del Centro storico in grado di entrare in concorrenza con il cartello dei gruppi criminali di Secondigliano. Oggi una mappa dei clan partenopei che voglia essere, se non del tutto esaustiva, almeno comprensiva dei nuclei che mostrano un certo radicamento in determinati quartieri della città o nelle aree dell’hinterland, conta almeno quaranta nomi diversi. Se si contano anche le organizzazioni criminali presenti nelle altre quattro province campane, però, si arriva ad una stima di circa cento clan. Almeno venti dei gruppi presenti nell’area napoletana possono essere considerati egemoni, cioè in posizione di supremazia " militare" ed economica, rispetto ai concorrenti che si muovono nella loro zone d’influenza. Stilare un’ipotetica top ten dei clan di camorra è poi operazione complicata: la classifica muta infatti notevolmente in base al parametro prescelto. Gruppi come i casalesi del Casertano e i Fabbrocino della zona vesuviana mostrano una strategia imprenditoriale e una capacità di penetrazione nell’ambito degli appalti pubblici che li pone in una posizione di supremazia rispetto agli altri clan. Organizzazioni come quella messa in piedi dal boss Paolo Di Lauro e quella derivata degli scissionisti, noti anche come Spagnoli, si distinguono invece, sulla scena cittadina, per il maggior numero di affiliati, stimato intorno alle cinquemila unità. La scena camorristica partenopea conferma dunque, con il passare degli anni, il carattere che l’ha sempre distinta dalla mafia: il suo essere un’organizzazione orizzontale, del tutto priva di una strutturazione verticistica, piramidale. Il tentativo più concreto di ricomporre i molteplici gruppi criminali sotto un’unica cupola fu compiuto dal boss della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo, «’o Professore», che negli anni ’80 dal carcere di Poggioreale, tesseva la sua trama politico-criminale. Ma fallì. (di Chiara Marasca e Roberto Saviano, pubblicato il 7/5/2006 dal Corriere del Mezzogiorno) |