Sono passati 31 anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini .
Con Pasolini è morto un poeta, e come diceva Moravia di poeti non ne nascono tanti in un secolo.
È morto un grande intellettuale.
È morto un regista innovativo e geniale.
E' morta la coscienza critica del paese e nessuno più come lui è riuscito ad aprire squarci di verità.
  
  
  
  
  
Il romanzo delle stragi 
di Pier Paolo Pasolini 
dal "Corriere della sera" del 14 novembre 1974 col titolo 
"Che cos'è questo golpe?" 
Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere).  
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.  
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.  
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia, infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.  
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969), e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).  
Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e, in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del referendum.  
Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi neonazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine ai criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista).  
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.  
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killers e sicari.  
Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. 
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. 
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero. 
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il "progetto di romanzo" sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il 1968 non è poi così difficile. 
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una  
grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè  
non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio.  
Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi,  
dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974  
[L'editoriale di Paolo Meneghini era intitolato "L'ex-capo del Sid,  
generale Miceli arrestato per cospirazione politica]. 
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o,  
almeno, degli indizi. 
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo  
forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi. 
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo  
ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella  
pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da  
perdere: cioè un intellettuale. 
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei  
nomi: ma egli non ha né prove né indizi. 
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti  
pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per  
il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi. 
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e  
inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente  
politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e  
quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta  
probabilità, prove ed indizi. 
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è  
proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si  
identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la  
verità: cioè a fare i nomi. 
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due  
cose inconciliabili in Italia. 
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da  
tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto  
e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e  
ideologici. 
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del  
suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che  
questo) al "tradimento dei chierici". Gridare al "tradimento dei  
chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i  
servi del potere. 
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere.  
In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere  
essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano. 
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito  
all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza  
dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche. 
Il Partito comunista italiano è un paese pulito in un paese sporco, 
un paese onesto in un paese disonesto, un paese intelligente in un  
paese idiota, un paese colto in un paese ignorante, un paese  
umanistico in un paese consumistico.  
In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in  
senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di  
dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un  
baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto  
un "paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può  
oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo,  
corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici,  
quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono  
incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità.  
È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso",  
realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo  
sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra  
due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro. 
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista  
italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo. 
La divisione del paese in due paesi, uno affondato fino al collo  
nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non  
compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività. 
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo  
oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si  
identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere. 
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono  
non comportarsi anch'essi come uomini di potere. 
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci  
riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato  
stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - 
puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione  
di tutti, un traditore. 
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno -  
come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi  
dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpes e delle  
spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella  
misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un  
intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi,  
naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi  
l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del  
resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto. 
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene  
imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di  
intervento. 
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della  
storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia  
contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno.  
Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella  
che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a  
servire. 
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei  
tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo)  
io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro  
l'intera classe politica italiana. 
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei  
principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei  
partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è  
quella di un comunista. 
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto  
altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità,  
cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la  
possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei  
responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente  
egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi. 
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari  
decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò  
che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon -  
questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che  
hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro  
maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che  
siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero colpo di Stato. 
  
  
  
Poesia in forma di rosa (1961-64)  
I. La realtà 
Ballata delle madri
Mi domando che madri avete avuto.  
Se ora vi vedessero al lavoro  
in un mondo a loro sconosciuto,  
presi in un giro mai compiuto  
d’esperienze così diverse dalle loro,  
che sguardo avrebbero negli occhi?  
Se fossero lì, mentre voi scrivete  
il vostro pezzo, conformisti e barocchi,  
o lo passate a redattori rotti  
a ogni compromesso, capirebbero chi siete?  
Madri vili, con nel viso il timore  
antico, quello che come un male  
deforma i lineamenti in un biancore  
che li annebbia, li allontana dal cuore,  
li chiude nel vecchio rifiuto morale.  
Madri vili, poverine, preoccupate  
che i figli conoscano la viltà  
per chiedere un posto, per essere pratici,  
per non offendere anime privilegiate,  
per difendersi da ogni pietà.  
Madri mediocri, che hanno imparato  
con umiltà di bambine, di noi,  
un unico, nudo significato,  
con anime in cui il mondo è dannato  
a non dare né dolore né gioia.  
Madri mediocri, che non hanno avuto  
per voi mai una parola d’amore,  
se non d’un amore sordidamente muto  
di bestia, e in esso v’hanno cresciuto,  
impotenti ai reali richiami del cuore.  
Madri servili, abituate da secoli  
a chinare senza amore la testa,  
a trasmettere al loro feto  
l’antico, vergognoso segreto  
d’accontentarsi dei resti della festa.  
Madri servili, che vi hanno insegnato  
come il servo può essere felice  
odiando chi è, come lui, legato,  
come può essere, tradendo, beato,  
e sicuro, facendo ciò che non dice.  
Madri feroci, intente a difendere  
quel poco che, borghesi, possiedono,  
la normalità e lo stipendio,  
quasi con rabbia di chi si vendichi  
o sia stretto da un assurdo assedio.  
Madri feroci, che vi hanno detto:  
Sopravvivete! Pensate a voi!  
Non provate mai pietà o rispetto  
per nessuno, covate nel petto  
la vostra integrità di avvoltoi!  
Ecco, vili, mediocri, servi,  
feroci, le vostre povere madri!  
Che non hanno vergogna a sapervi  
– nel vostro odio – addirittura superbi,  
se non è questa che una valle di lacrime.  
È così che vi appartiene questo mondo:  
fatti fratelli nelle opposte passioni,  
o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo  
a essere diversi: a rispondere  
del selvaggio dolore di esser uomini.  
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|  omaggio a P.P.Pasolini   2/11/2006 11.0.45 (61 visite)   POMPEO   | 
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