Nick: giGGinocon2G Oggetto: la storia di carlo Data: 13/11/2006 17.56.27 Visite: 100
Quella sera Carlo salì di nuovo sul colle. Appoggiò come solito il suo vecchio Free al pino, e percorse i 35 passi verso est che lo separavano dalla panchina. Ad ogni suo passo, una nuvoletta di fumo nasceva dalla sua bocca e si increspava verso l'alto per poi scomparire subito. Il tragitto a bordo del suo fedele compagno, pieno di ammaccature e di adesivi, gli aveva reso insensibile le mani e la faccia. La mamma non voleva che mettesse su quello stupido passamontagna marrone. "Finiranno per scambiarti per un bandito", gli diceva, ma in fondo sperava che lo mettesse per proteggere quelle guance scarne sulle quali cominciavano a spuntare fili di barba sempre più ispidi e regolari. La zippo illuminò per un attimo l'aria intorno al suo naso, distogliendolo dal paesaggio che giaceva sotto i suoi piedi. Tutta la città era in fermento: c'era chi si adoperava a preparare la cena, chi invece si affrettava a rientrare a casa; le saracinesche dei negozi si abbassavano come effetto di un gigantesco domino invisibile. Se si concentrava bene, Carlo riusciva perfino a distinguere quelle coppiette che camminavano abbracciate lungo il corso strette in abbracci infreddoliti. Le macchine, con i loro fari, dipingevano lunghe scie psichedeliche. Eppure lì su tutto arrivava attutito, quasi come se si avesse dell'ovatta infilata nelle orecchie. Carlo amava quel posto, quella panchina, anche per questo. E anche Gaia lo amava. L'orange che gli aveva portato Ruggiero dall'Olanda era decisamente merce pregiata, e dai suoi polmoni una sensazione di calma andava spargendosi per tutto il corpo. Finalmente la sua gamba cominciò a tremare di meno. Tic-Tac lo aveva chiamato proprio ieri a scuola Mauro, per quanto faceva vibrare il banco con quel suo moto nervoso. Non era mai stato bello Carlo, con quel suo fisico scheletrico ed un naso sempre pronto a ricordargli la discendenza diretta con la famiglia paterna. Lui però aveva uno sguardo particolare; nei suoi occhi color cioccolata capivi tutto ciò che lui era, se ti ci fermavi un attimo ad osservare. In quei giorni erano tutti alla ricerca di una risposta da quegli occhi. Tutti cercavano un segno, una reazione. Anche lo psicologo a scuola gli aveva detto che non era giusto reprimere così le sue reazioni. "Esistono tempi per gioire e tempi per soffrire", gli aveva sussurrato qualche settimana prima. Eppure Carlo rimase lì, quasi incantato, ad osservare una delle tante macchie di umido sul muro dietro la testa pelata del dottore. Fumare maria gli portava sempre sete, così aveva ben pensato di fermarsi al Bar Azzurro in piazza prima di salire. Aveva beccato Franco e gli aveva offerto una Peroni familiare. "Oggi festeggi anche tu con me Franchetto...e cerca di fartela durare, perchè non sarò qui di nuovo tra cinque minuti a farti riempire il bicchiere!" Il barista, sorridendo con quei suoi baffoni macchiati dal fumo, gli mise tre bottiglie di Desperados in un sacchetto, gli diede il resto e lo salutò con un cennò della testa. "Poverino" - pensò, mentre il vecchio Pietro gli chiedeva un altro giro di Centerbe. Carlo aveva sempre apprezzato il nome di quella birra. "Desperados, la birra del disperato!", ripeteva tutte le volte che aveva di fronte una ragazza sulla quale tentava di fare colpo. Sperava in quel modo di suscitare un pò di tenerezza nel cuore della bella di turno, così che un pò di quei suoi difetti fossero messi da parte. Giusto il tempo di provare a baciarla e dirle quanto fosse bella proprio quella sera. Con il suo accendino fece saltare il tappo che, cadendo, spaventò una lucertola. Ne bevve un sorso, avido. Poi un secondo e un terzo. Si asciugò le labbra con i guanti neri. Con le lacrime agli occhi per le bollicine ingerite, tirò un rutto fragoroso che si sparse tutto intorno a lui. Rise e ne bevve ancora un pò. Quando portò per la prima volta Gaia lì su era l'inizio della primavera. L'aria era fredda ed aveva un sapore buono, quasi dolce. Intorno a loro, gli alberi stavano cominciando a riprendere forma e già qualche bocciolo spuntava sui rami. Era impaziente quel giorno, così salì sul colle quando ancora troppa gente lo popolava. C'erano vecchietti che leggevano il giornale, mamme isteriche con figli isterici, coppiette che furtivamente litigavano o si baciavano. Fu quello un errore che non si perdonò mai. Il posto che le aveva descritto come il più bello del mondo, apparve agli occhi di Gaia come uno dei tanti luoghi da cui si può osservare un pò di panorama e basta. No, lui non poteva accettare tutto ciò! Fu per questo che quasi la costrinse ad aspettare con lui che il sole calasse, colorando il mondo di rosso. Rimasero fermi ad osservarlo mentre pian pianino il buio ritornava a donare magia a quell'angolo di mondo. Man mano che il piazzale e la pineta si spopolavano, Carlo le faceva notare alcuni di quegli angoli a lui così cari. Aveva il cuore che gli batteva forte. Temeva di essere banale, di fare il ragazzino proprio con lei che era 8 mesi più grande e così incredibilmente bella. Eppure, più guardava quei capelli rossi e quegli occhi stretti, più vedeva quelle labbra rosa incresparsi in timidi sorrisi, più lui si sentiva fiero di se. Proprio lì, seduti su quella panchina di legno, zeppa di incisioni con nomi e cuori, Gaia gli afferrò il braccio, e lo baciò mentre lui tentava di mostrarle il tetto di casa sua. Carlo ha sempre raccontato che quel bacio aveva il sapore più buono del mondo. Un sapore di buono che non si può spiegare. Quel matto qualche tempo fa ha anche litigato con il gelataio di Piazza Cavour, perchè, a suo dire, era scorretto mettere in vendita un gelato al gusto bacio, quando questi aveva il sapore di cioccolato e non di bacio. Mentre aspirava da quel filtro fatto con un biglietto da visita del papà, Carlo ripensò a molti di quei momenti. La birra gli rinfrescava la gola che era sempre pronta a seccarsi. Chiudendo gli occhi gli sembrava di riviverle quelle emozioni, come se fosse tutto reale. Per un attimo avvertì del calore sul suo braccio destro. Aprì gli occhi di scatto. Intorno a lui era sempre lo stesso buio silente. Quel calore non poteva esistere più. Quelle braccia esili e spigolose non avrebbero potuto più stringerlo. Sul giornale avevano scritto che Gaia era morta sul colpo, senza soffrire. Una tragedia, scrissero, dettata dalle cattive condizioni meteo. Uno schianto in autostrada a 120 orari. Tutti morti. Lei, il papà, la mamma e la domestica. Si era salvato solo il cane. Nessuno volle prenderlo ed era finito al canile. Dicevano che era un cane maledetto, che portasse sfortuna. Nessuno però sapeva quali atti di bontà e di riconoscenza era in grado di compiere il vecchio Poldo per un osso da spolpare... Carlo si alzò in piedi, stringendosi nel cappotto verde bottiglia, ed osservò un cielo che quella sera gli nascondeva le stelle. Cercava l'Orsa Maggiore, quella costellazione che aveva imparato a riconoscere guardando Ken Shiro. Una volta la mostrò a Gaia, per essere un pò romantico. Come poteva immaginare che quella ragazza con una spolverata di lentigini sul nasino, fosse un'esperta di astri e corpi celesti? Ci rimase malissimo, e lei non perdeva mai occasione di prenderlo in giro davanti agli altri. "Sai, quella è l'Orsa Maggiore", civettava lei, toccandosi nervosamente un finto pizzetto. Carlo puntualmente faceva l'offeso, ma adorava vederla così felice accanto a lui. Eppoi imbronciarsi era un buon motivo per avere un abbraccio senza dover pregare troppo... Al funerale c'erano un pò tutti: alle prime file la famiglia, la nonna, le zie, i cugini. Poi il sindaco, rappresentanti delle forze dell'ordine, colleghi ed amici di famiglia. E poi c'erano gli amici di scuola. Tantissimi ragazzini in lacrime, persone che non avevano mai rivolto la parola a Gaia, la sua Gaia, che erano lì, a piangere, a disperarsi. Carlo fu pervaso da una rabbia enorme. Si guardava intorno e il suo odio verso quelle persone montava all'inverosimile. "BASTA!" urlò ad un tratto. Tutti si voltarono a guardarlo. Anche il prete interruppe la celebrazione. Lui come suo solito divenne tutto rosso in viso. Poi corse via, veloce. La mamma provò a seguirlo, ma quando fu fuori dalla chiesa, era già in sella al suo motorino. Carlo corse per le vie del paese, sfrecciando tra macchine e biciclette, cadde, si rialzò e riprese a correre di nuovo. Fermò la sua corsa al canile. Diede 20 euro ad un tizio per lasciarlo da solo con Poldo. Per un tempo che gli parve infinito, lo abbracciò forte, bagnandogli il pelo bianco con lacrime salate. In cambio ottenne delle vigorose leccate ed un calore che probabilmente nessun essere parlante gli avrebbe potuto regalare. Carlo le stelle quella sera non le vedeva. E allora cominciò a passeggiare nervosamente intorno alla panchina, la sua panchina. Le luci della case e delle strade brillavano lontane e lui si perse in quello spettacolo. Senza accorgersene, Carlo era lì, con i piedi sul ciglio dello spiazzo. Aveva scavalcato la recinzione e si era messo lì, sulla punta, a lasciarsi sfregiare il viso dal vento freddo. Fu in quel momento che Carlo capì. Capì che nulla e nessuno al mondo mai gli avrebbero restituito la gioia di quei momenti che lui si ostinava a ricordare. Le sue lacrime, i suoi pianti non sarebbero serviti a nulla. Fu in quel momento che Carlo ebbe la certezza. Nessuno mai avrebbe recapitato a Gaia quelle lettere che ogni giorno scriveva. Non avrebbe più goduto nel vederla sorridere. Mai più quel sapore di buono avrebbe inondato la sua bocca. Fu in quel momento che Carlo saltò. Per un attimo il vento smise di tagliargli la faccia. Intorno a lui tutto appariva fermo, immobile, come un fotogramma di un film messo in pausa. Poi la discesa, veloce. Mentre volava, Carlo la vide. I suoi occhi erano belli proprio come li ricordava lui. Il carabiniere che per primo ha trovato il suo corpo ha parlato di un ghigno che gli adornava il viso sfigurato. Accanto alla panchina, in una bottiglia di Desperados vuota, un piccolo biglietto scritto a mano: "Dite alla mamma di non disperarsi. Carletto era morto 23 giorni fa in un incidente d'auto". p.s. vorrei dedicare questo raccontino del cazzo a Franti, perchè oggi ho passato 3 ore di orologio a rileggermi tutti i suoi vecchi interventi qui sul forum.se qualcuno lo conosce, per favore, glielo dica.
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